Quando la Tv porta in scena la scienza: contaminazione dei paradigmi comunicativi  

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Franco Del Campo

Il Corecom Friuli Venezia Giulia ha partecipato al FEST (Festival Editoria Scientifica Trieste), che si tiene dal 17 al 20 maggio a Trieste. Ha, inoltre, collaborato all’organizzazione di cinque panel dedicati al rapporto tra scienza e mass media. Riportiamo di seguito l’intervento del presidente Franco Del Campo, all’incontro “Screen – I colori della scienza sul piccolo e grande schermo”.  

 

Partirei da tre domande, che mi sembrano particolarmente coerenti con gli obiettivi del FEST.

A) Qual è il rapporto originario tra la scienza e la comunicazione?

B) Cosa succede alla scienza quando entra nel circuito mediatico?

C) Cosa succede – nel bene e/o nel male – ai media quando trattano di scienza?

 

Tentiamo di avanzare – in modo semplificato – qualche ipotesi.

 

A) Il rapporto tra scienza e comunicazione è metodologicamente funzionale. Anzi la scienza, come si è strutturata fin dal secolo XVII con Galilei e Newton, nasce con un preciso paradigma comunicativo. Oltre all’aspetto sperimentale e quantitativo, la scienza moderna si caratterizza per la sua trasparenza, per il suo dialogo permanente all’interno della comunità degli scienziati, si fonda sul controllo reciproco, sulla possibilità di ripetere gli esperimenti e di “falsificarli” (Popper).

La scienza moderna apre davvero un mondo nuovo, in cui non esiste il principio di autorità, in cui tutti (volendo e studiando) possono accedere alla conoscenza e confutare/confermare (se si è capaci) le ipotesi e le teorie degli altri.

Non è un caso, allora, se esiste -fin dall’inizio- un rapporto strettissimo tra ricerca e divulgazione. L’esempio più clamoroso è Galileo Galilei, che non solo pone le basi della scienza moderna e si sporca le mani con la tecnica, ma capisce che la sua “battaglia” è soprattutto culturale.

Ha bisogno di acquisire consenso alle sue teorie (sperava che la Chiesa lo appoggiasse) e quindi si lancia -utilizzando una lingua elegante che si ispira ad Ariosto- in un poderoso sforzo divulgativo.

Galilei è talmente bravo che vince e perde la sua battaglia comunicativa. Vince perché raccoglie un successo mediatico (per i suoi tempi) senza precedenti prima con il Saggiatore e poi soprattutto con il Dialogo sui massimi sistemi, che è un best seller mancato solo perché la sua pubblicazione è stata bloccata dall’Inquisizione. Perde perché la sua abilità divulgativa, elegante e ironica, lo porta alla condanna da parte del Sant’Uffizio (1633) e alla famigerata abiura (il suo cervello continuerà a pensare, ma dovrà pubblicare gli “innocui” trattati sull’ottica in Olanda).

 

In fondo è stata la sua “ansia divulgativa” a tradirlo e farlo processare per eresia; se si fosse accontentato di presentare “ipotesi matematiche”, non avrebbe avuto tanti problemi con l’Inquisizione…

La vicenda di Galilei, comunque, definisce l’intreccio indissolubile tra libertà della ricerca, comunicazione aperta e divulgazione (che rappresenta una “ricaduta” importante della ricerca scientifica sui non addetti ai lavori).

Senza questi aspetti -libertà, comunicazione e divulgazione- non ci può essere scienza (naturalmente ci vogliono anche i finanziamenti, e anche qui Galilei conferma la sua modernità: ha venduto i brevetti del compasso marino e del cannocchiale alla Repubblica di Venezia …).

Con Galilei il metodo scientifico si contrappone e nega definitivamente l’altro tentativo di conoscere e controllare la natura: la magia.

Tanto la scienza deve essere aperta, trasparente e dialogica, quanto la magia è chiusa, esoterica, segreta (Galilei lo sapeva bene, ma quando aveva bisogno di soldi si metteva a vendere anche degli oroscopi…).

Ma attenzione: la scienza, con le sue procedure e controlli, rischia di essere lenta e noiosa, mentre la magia offre il fascino del mistero, soluzioni rapide e apparentemente a buon mercato (come dimostra la diffusione di maghe e stregoni in televisione).

La scienza, invece, definisce lo statuto comunicativo della modernità: trasparenza, dialogo, confronto, reciprocità (e naturalmente tanti investimenti, tempo e lavoro).

 

B) Ma cosa succede alla scienza se e quando entra nel circuito dei moderni mass media?

Il rapporto tra scienza e mass media è tutt’altro che facile e scontato. I linguaggi della scienza -soprattutto nel XX secolo- sono diventati sempre più complessi e specialistici, accessibili a una comunità di esperti sempre più ristretta e qualificata (comunque più aperta ed estesa dei chierici medievali). La mediazione tra scienziati e “gente comune” è sempre più difficile. Non è facile trovare un altro Galileo Galilei, capace di studiare, sperimentare, dibattere e divulgare, ma questa è una sfida che la nostra società della conoscenza deve assolutamente affrontare e vincere (il FEST serve anche a questo).

Il ritmo narrativo del libro, lento, analitico, riflessivo e lineare, è coerente con la buona divulgazione scientifica. Ma le cose cambiano quando la scienza entra in contatto con i nuovi media e soprattutto con la televisione, che ormai è il medium di riferimento.

Il medium trasforma davvero il messaggio e la scienza deve adeguarsi ai suoi modelli comunicativi televisivi: deve diventare spettacolare, deve sorprendere ed intrattenere (meglio se diverte), deve essere rapida (per non stancare ed annoiare), deve semplificare (cercando di non banalizzare o addirittura stravolgere il messaggio). In sostanza la scienza deve diventare “leggera”, o se si vuole “liquida” (Bauman) senza tradire se stessa. E’ possibile? Forse sì, ma solo in parte.

Gli spazi dedicati alla scienza nella televisione italiana, nelle varie piattaforme, sono sostanzialmente ridotti.

Lo sforzo maggiore viene sostenuto dal servizio pubblico (RAI), grazie all’antica consuetudine con Quark (che ora, giustamente, è diventata anche “super”) e la sua “filiazione” (in tutti i sensi) Ulisse.

 

La Terza rete ospita quotidianamente (cinque giorni alla settimana) due programmi “scientifici”: Leonardo (alle ore 14.50 dalla redazione di Torino) e NeaPolis (alle ore 15.00 dalla redazione di Napoli), poco prima della TV dei ragazzi. Ci sono anche Geo&Geo, Gaia, Voyager (con richiami a Indiana Jones) e vari programmi divulgativi di medicina (da segnalare, tra tutti Elisir).

Mediaset, dopo la chiusura della Macchina del Tempo, è quasi del tutto assente in questo panorama.

La7, con StarGate parla di scienza e di storia, con qualche contaminazione esoterica (sempre molto gettonati i templari).

Su canali satellitari, oltre a National Geografic, Discovery Channel e Leonardo non c’è molto.

Per scoprire la vera “contaminazione” tra scienza e televisione, però, bisogna guardare altrove. Bisogna guardare ai telefilm, in particolare a quelli prodotti dalla FOX.

Le due serie televisive di maggiore successo e che -a mio avviso- hanno una più forte “valenza scientifica” sono C.S.I. e il dottor House (ampiamente imitati).

 

I protagonisti di C.S.I. spesso si presentano come “scienziati” (con la pistola): strumentazione avanzatissima (siamo nella ricca Las Vegas), solida cultura e paziente metodo sperimentale (inevitabilmente accelerato nelle sequenze televisive) assicurano quasi sempre l’assassino alla giustizia e il raggiungimento della verità. L’ideologia dominante potrebbe essere vagamente positivista, se gli autori non facessero filtrare nella sceneggiatura anche i sentimenti e le imperfezioni degli esseri umani.

Anche il dottor House, per i risolvere i suoi casi, applica il metodo sperimentale e induttivo, ma lo fa con una energia dirompente, sottolineando la dimensione maleducata e quindi fastidiosamente “eretica” delle sue ipotesi. Il vero “difetto” del dottor House è che le sue ipotesi sono quasi sempre esatte, innescando così una sorta di neo “principio di autorità” (possibile che abbia sempre ragione? forse per questo gli autori incrinano la sua figura facendolo zoppicare…)

 

A mio avviso, quindi, le serie televisive più che specifici programmi di contenuto scientifico diffondono il metodo scientifico tra il grande pubblico (è interessante notare che molto spesso i telefilm si riferiscano alla sanità: E.R. è l’archetipo fondante, visto che si è persa la memoria del dottor Kildare).

 

C) Cosa succede -nel bene e/o nel male- ai media quando trattano di scienza?

In realtà poco o niente, vista la marginalità che i programmi scientifici hanno nei vari palinsesti (con la generosa eccezione della RAI, che però è impegnata a realizzare programmi di qualità e di divulgazione in base al Contratto di Servizio).

Eppure, se da una parte i media riducono tutti i messaggi alle proprie esigenze (la principale è l’Auditel, che determina il successo in base agli ascolti, ai tempi e alla pubblicità che si può raccogliere), dall’altra i media si fanno modificare dai contenuti che trasmettono?

Solo in minima parte. I programmi “scientifici” più diffusi trattano di natura e ambiente, puntando sul ruolo e il fascino di immagini spettacolari.

I risultati culturalmente più interessanti -a mio avviso- si raggiungono nella ricostruzione e narrazione storica, con documenti, parole e immagini (“La Storia siamo noi” è senza dubbio la forma più alta, raffinata e comunicativa del nostro prodotto televisivo di qualità).

 

Ma con la “scienza” propriamente detta (hard) le cose sono molto più difficili, anche se la tecnologia e la realtà virtuale potrebbero aiutare uno sforzo divulgativo, rivolto prevalentemente ai giovani.

Eppure la scienza, o meglio il metodo scientifico, potrebbe avere un ruolo importantissimo: potrebbe ricondurre la sterminata chiacchiera televisiva, che se ne frega del principio di non contraddizione (tutti, nella stessa frase -quando sono in televisione- possono dire tutto e il contrario di tutto: e questa la chiamano democrazia televisiva o pluralismo delle opinioni), all’ascolto e al rispetto delle opinioni altrui, al rigore dell’argomentazione e della dimostrazione (non si può fare un dibattito, un sondaggio o un referendum per abolire il secondo principio della termodinamica…).

 

Nella nostra televisione, allora, non solo ci vorrebbe un po’ più di seria divulgazione scientifica, ma anche un po’ di metodo, applicando l’antico “rasoio di Ockham”, per eliminare, come è successo per la vecchia e verbosa scolastica, tanta assordante chiacchiera superflua.

Sarà possibile? Per saperlo bisognerà contrattare la soluzione con Bruno Vespa e Maurizio Costanzo…

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