Pornografia: un sito su 100 contiene materiali per soli adulti. Gli Usa riportano alla ribalta il COPA Act

di Alessandra Talarico |

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Una pagina web su 100 ospita materiali pornografici, secondo uno studio commissionato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Sebbene si tratti di una percentuale effettivamente limitata rispetto alla mole di materiale disponibile in rete, l’1% corrisponde a milioni di pagine, tranquillamente e liberamente consultabili da chiunque disponga di un collegamento internet.

 

I risultati dello studio, secondo molti osservatori, potrebbero spingere il governo americano a ‘riesumare’ il COPA Act, una legge che intende limitare la portata della pornografia online, ma è stata finora fortemente ostacolata dai difensori della libertà di espressione.

 

“Misurare ogni cosa in termini di percentuale è uno strano approccio al problema, poiché sul web non ci sono limiti di proprietà”, ha spiegato il professor Jonathan Zittrain, docente di internet governance e regulation all’Università di Oxford.

Non è insomma come definire quanto spazio, in una città, viene assegnato al quartiere a luci rosse.

 

Lo studio del Dipartimento di Giustizia è stato promosso per valutare quanti siti pornografici siano disponibili liberamente in rete e quanto siano efficaci i filtri che i motori di ricerca utilizzano per identificarli e rimuoverli, nell’ennesimo tentativo di riportare alla ribalta il contestato COPA Act, la legge varata dal Presidente Clinton nel 1998 per proteggere i minori su Internet. Secondo quanto stabilito dal COPA, chi gestisce un sito Internet è obbligato ad accertarsi dell’identità di quegli utenti che vogliono accedere a materiale pornografico o comunque inadatto a minori.

 

L’applicazione del COPA è stata però bloccata fin dall’inizio perché le associazioni di tutela per le  libertà civili  sostengono che esso viola il diritto alla libertà di parola sancito dal Primo Emendamento. E così la legge che prevedeva una condanna fino a 6 mesi di prigione e una multa di 50mila dollari – non è mai stata applicata.

 

Nel 2002 poi il COPA è stato invalidato da tre giudici in seguito al ricorso dell’Unione americana per le libertà civili (American Civil Liberties Union) e di un gruppo di società. La Corte d’appello confermò l’ingiunzione, con la motivazione che per rispettare la legge gli operatori avrebbero dovuto censurare drasticamente i loro siti o adottare costosi sistemi per verificare la veridicità dei dati ricevuti. Il rischio era inoltre quello di dar vita ad un meccanismo censorio per cui si sarebbe dovuto considerare “inappropriato” tutto quello che veniva così reputato dalle comunità più puritane in ogni Stato.

 

Il COPA è tornato a far discutere all’inizio di quest’anno per il rifiuto di Google di fornire al governo informazioni dettagliate sulle ricerche effettuate attraverso il motore di ricerca. La questione è poi finita in tribunale e i giudici hanno imposto a Google di rispettare la richiesta, sebbene non fornendo tutti i dettagli richiesti.

Secondo lo studio, l’1,1% delle pagine web contiene materiali esplicitamente pornografici e il 6% delle ricerche fornisce link a siti per soli adulti.

 

Il prof Zittrain ha riferito che, sebbene internet sia ancora pieno di siti per soli adulti, le minacce di cause legali sono riuscite almeno in parte a far sì che questi siti non siano accessibili ai bambini.

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