TLC: necessaria un’Autorità sovranazionale, ma nel pieno rispetto delle autonomie e delle diversità di mercato

di di Roberto Barzanti (Docente di Istituzioni e politiche audiovisive nella Ue - Università di Siena) |

Unione Europea


Roberto Barzanti

L’ipotesi, formulata al Bitkom dal Commissario Ue alla società dell’informazione Viviane Reding, di istituire un regolatore europeo indipendente per le telecomunicazioni merita di essere esaminata con attenzione.
Per certi versi è il rilancio di una proposta che già era accennata nel Rapporto Bangemann del 1994, che rappresenta un po’ il punto d’origine della linea comunitaria sulle politiche di liberalizzazione. Anche allora sembrava opportuno istituire un’Autorità su scala europea che agisse per eliminare ostacoli e smantellare posizioni monopolistiche. Si temette, però, che l’Autorità sommariamente prospettata ubbidisse ad una logica troppo liberista e chi per un verso – i protezionisti occulti -, chi per un altro – quanti erano preoccupati di un’invadenza che forse avrebbe travolto indirizzi utili in tema di gradualità e pluralismo – fece orecchi da mercante.

Ma il quadro regolamentare scaturito dopo la Review ’99 con il pacchetto di direttive del 2002 fu abbastanza equilibrato e in grado di dare soddisfazione sia a coloro che desideravano un’accelerazione dei processi di liberalizzazione armonizzata su scala europea sia a coloro che chiedevano – a ragione – norme stringenti per favorire l’universalità dei servizi della società dell’informazione e tenerli distinti dal campo dell’audiovisivo e della telediffusione, bisognoso di una sua specificità.

Ora si è messa in moto la Review 2006, con una solerzia ammirevole e sospettabile, e, proprio quando si avvia, risorge con connotati assai definiti l’idea depositata nelle pagine di un rapporto che fece molto discutere. Che si vogliano esaminare gli effetti scaturiti da un insieme di norme messe a punto tanto recentemente in sé non è allarmante: tutto sta a vedere se la revisione è motivata dalla volontà di migliorare l’equilibrio che tiene le norme varate o ubbidisce alla voglia di indiscriminato alleggerimento, per taluni di vanificazione, incarnata dagli incumbents ed in genere dagli operatori di telecomunicazione.

Il governo tedesco, sicuramente, non è estraneo all’impulso che spinge al riesame. In realtà la prescritta divisione tra gli operatori di rete, i fornitori di servizi e i fornitori di contenuti può far ritenere che sia l’ora di separare nettamente anche le relative funzioni di controllo e di garanzia.
Dall’intreccio tra queste realtà derivano o possono derivare nuove posizioni di dominio, tali da impedire una reale concorrenza nei mercati e un’autonoma decisionalità, anche nazionale, in ambiti da non valutare con parametri esclusivamente competitivi. Insomma esistono continui raccordi e reciproche influenze, che chiedono valutazioni unitarie pur nella distinzione dei ruoli e delle finalità.
Si sa che un’Autorità europea indipendente, in grado di verificare l’uniformità nell’attuazione del quadro regolamentare delle comunicazioni e al tempo stesso di tener conto della sua generale compatibilità con il necessario pluralismo, soprattutto esterno, è progetto di enorme difficoltà. Ma è di una sede di questo genere, di un’Autorità consapevole della convergenza delle tecnologie e dei conseguenti fenomeni, che ci sarebbe bisogno.

Regolare le reti ignorando il resto sarebbe come gestire le autostrade ignorando i mezzi che devono transitarvi. Il modello dell’italiana Agcom è stato apprezzato da molti anche per la sua antiveggenza e per la feconda complementarità che sollecitava, e sollecita. Anche da noi si sono ascoltate proposte che puntano a istituire un’Autorità delle reti, non solo di quelle di comunicazione, del tutto separata da ogni altro ambito amministrativo. Giustamente si è fatto notare che questo sarebbe un passo indietro rispetto a quanto si è scritto e detto spesso a livello europeo.

Un regolatore del tipo di quello ipotizzato dalla Reding oggi sarebbe in ritardo a fronte degli obiettivi maturati e smentirebbe l’acquista consapevolezza di essere davanti ad una complessità che richiede una governance articolata, nazionale e sovranazionale, fatta di autonomie e collegamenti, e alimentata da orientamenti condivisi in vista di politiche che, mentre perseguono sacrosanti scopi di ulteriore sviluppo concorrenziale, non dimenticano che la tutela delle diversità e la valorizzazione delle differenze nei contenuti audiovisivi non è impresa meno impegnativa e meno urgente. E la revisione della direttiva 89/552/CEE anche se portasse al rafforzamento e all’estensione da taluni auspicato sarà insufficiente, se non si definiscono sedi adeguate di coordinamento per osservare quello che accade e intervenire con consequenziale tempestività.

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