Aboliamo l’audience nell’informazione Rai. E’ la dittatura dell’Auditel a far sì che le notizie rispondano a esigenze commerciali

di di Massimo de Angelis (Inviato Tg1 Rai) |

Italia


Auditel

L’architrave sul quale dovrebbe fondarsi un sistema di servizio pubblico radiotelevisivo è quello dell’informazione, intesa come diritto del cittadino-utente di venire informato in maniera completa e corretta di tutti gli avvenimenti, nazionali e internazionali, che contribuiscano ad accrescere e/o a formare il proprio patrimonio di conoscenze e la propria coscienza civile.

La Rai, dunque, in quanto azienda di servizio pubblico, deve assicurare sia il rispetto della libertà d’informazione sancito dalla Costituzione, sia il diritto del cittadino-utente di usufruire di questa libera informazione.

Tutto ciò oggi non si verifica: a causa di condizionamenti partitici e clientelari; perché le notizie sono verità parziali, assoggettate a un pluralismo politico che ostacola la corretta informazione; perché, sempre più spesso, è la dittatura degli ascolti dell’Auditel a far sì che la scelta e la confezione delle notizie rispondano a esigenze commerciali, piuttosto che alle regole universali dell’informazione.

Notizie come dentifrici, dunque. Se l’involucro d’un dentifricio è considerato poco appetibile dai venditori, l’ufficio marketing cambia la confezione; se il dentifricio non si vende, il marketing lo ritira dal mercato, salvo ricommercializzarlo con un nome differente. Un criterio analogo viene applicato oggi all’informazione, soprattutto a quella televisiva.

Se un evento-notizia contiene messaggi che non siano in linea con scelte editoriali “quantitative”, si prova ad agire sulla “confezione”: magari appiccicandoci un lieto-fine che attiri un maggior numero di spettatori, e pazienza se la cosmesi della notizia ne smorza l’impatto sociale. Ma se il problema non è la confezione, bensì la notizia-dentifricio a essere sospettata di non attirare audience, beh! si cancella la notizia.

Per raggiungere l’obiettivo di ottenere un’audience significativa, di cui fregiarsi per rintuzzare con discutibili dati quantitativi le accuse di scarsa qualità dell’informazione, si pesca nel torbido: riesumando il fattaccio di cronaca di grande richiamo; puntando sulla licenziosità degli utenti; proponendo il gossip mondano. E’ così che temi sociali del nostro tempo – quali povertà, guerre delle periferie del mondo, bambini-schiavi – vengono sacrificati alla cronaca a luci rosse, ai risvolti delle fiction, all’ultimo amore della velina di turno; oppure al sempreverde delitto di Cogne, e chi se ne importa se viola la Carta di Treviso.

Scrive Giovanni Sartori in “Homo videns“: fra una notizia sull’integrazione europea e quella di un ammazzamento, chi dirige un telegiornale sceglierà l’ammazzamento per due ragioni: intanto eviterà la grana di dover commentare la notizia europea, e poi accontenterà i gusti di un pubblico da intrattenimento con le immagini assai più spettacolari del cadavere.

Aggiungiamo noi: e se il cadavere fa più ascolti dell’Europa, invece di giustificarsi un direttore si vanterà addirittura del risultato! Difatti, anche in conseguenza dell’importanza tributata all’Auditel dalla stampa, il concetto di “quantità degli ascolti” è diventato purtroppo sinonimo di “qualità dei programmi”.

Nato per misurare le quantità degli ascolti a scopi pubblicitari, l’Auditel si è trasformato da mezzo in fine. Per raggiungere il suo scopo, questo sistema necessita però di una massa di spettatori-consumatori quanto maggiore possibile; per creare la quale vanno veicolati messaggi uniformi e indifferenziati. Per tali ragioni, l’Auditel è responsabile sia dell’omogeinizzazione culturale dei programmi, sia dell’omogeneizzazione del pubblico.

Se vuole rispondere all’esigenza commerciale di ascolti ponderosi, il prodotto-programma non può corrispondere nel contempo all’esigenza di rappresentare la società vera, che come sappiamo è formata da un insieme variegato di realtà, di culture, di aspirazioni.

Se è giusto che la commercializzazione di un prodotto risponda a regole soprattutto commerciali, è altrettanto giusto che un evento generato dalla realtà sociale vi torni sotto forma di notizia, senza essere assoggettato a criteri che ne alterino la sua natura sociale complessa.

Perplessità e sospetti sull’Auditel riguardano anche il suo funzionamento. Come ha ben documentato Roberta Gisotti nel suo libro “La favola dell’Auditel“- il campione di famiglie selezionato per rilevare gli ascolti è stato definito di “dubbia e falsa rappresentatività” dal Consiglio consultivo degli utenti e ha raccolto forti e motivate critiche anche dall’Istat, dal Censis, dal Codacons, dall’Autorità per le garanzie nella comunicazione.

Sulla validità della rilevazione dei dati di ascolto valgano due esempi inquietanti. Quando la trasmissione “Quelli che il calcio” fu improvvisamente interrotta in segno di lutto e di protesta per l’uccisione di un tifoso allo stadio, per quasi un’ora restò in onda l’immagine fissa dello studio vuoto: ebbene, l’Auditel non registrò alcuna variazione degli ascolti. E quando a causa d’un violento temporale durante la diretta del programma “Katia e Mara verso Oriente” venne mandato in onda per un quarto d’ora il segnale orario, l’Auditel registrò uno share del 15% : 3 milioni di spettatori ipnotizzati da un orologio!

Fino al 1984 la Rai, nel rispetto della sua missione di servizio erga omnes, effettuava la rilevazione degli indici di gradimento, finalizzata alla qualità dei programmi. Passando dagli indici di gradimento alla quantità degli ascolti dell’Auditel, la Rai ha contraddetto la propria etica di entità di servizio pubblico e ha contribuito a trasformare il cittadino-utente in utente-consumatore.

La comunità civile di un Paese democratico ha il diritto di ricevere una informazione completa e corretta. I programmi di informazione – soprattutto, o almeno, quelli di un’azienda di servizio pubblico – non possono essere assoggettati ai criteri commerciali della rilevazione degli ascolti. Se si vuole ripristinare l’etica dell’informazione del servizio pubblico, non resta pertanto che una strada: liberare dall’Auditel tutta l’informazione della Rai.

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