Ipse 2000: Telefonica pronta ad azioni legali contro l’Italia

di Alessandra Talarico |

Europa


Telefonica

La società spagnola di telefonia mobile Telefonica Moviles potrebbe procedere per vie legali contro la decisione del governo italiano di revocare la licenza Umts a Ipse, di cui il gruppo iberico, con una percentuale del 45,6%, è il maggiore azionista.

 

L’azzeramento del valore della licenza ha avuto un impatto di 89 milioni di euro sui risultati della società, che ha chiuso il 2005 con un utile netto di 1,92 miliardi di euro, un  fatturato in crescita del 40,5% a 16,51 miliardi e un risultato operativo prima degli ammortamenti di 5,81 miliardi grazie anche al consolidamento delle attività di BellSouth in America Latina.

 

Escludendo l’impatto della svalutazione della licenza italiana, l’utile netto avrebbe superato i 2 miliardi di euro, registrando una crescita del 18,7%.

 

“Il 31 gennaio 2006 – fa sapere il gruppo – il governo italiano ha informato Ipse 2000, in cui Telefonica Moviles detiene una quota del 45,6%, della sua decisione di ritirare la licenza Umts concessa alla compagnia nel 2000″ . Telefonica Moviles, dunque, “sta analizzando l’opportunità di intraprendere le opportune azioni legali contro questa decisone”.

 

Già nel febbraio 2004 Telefonica Moviles aveva  fatto ricorso alla Commissione europea contro la decisione del governo italiano di non permettere la restituzione delle frequenze aggiuntive ricevute al momento dell’acquisto della licenza Umts.

 

Nel novembre del 2002, infatti, il consorzio Ipse 2000 aveva chiesto di poter restituire i 5 Mhz per potersi liberare dall’obbligo di pagamento delle restanti 8 rate annuali (per un valore complessivo di 826 milioni di euro), ma il governo ha bocciato la richiesta.

 

Secondo Telefonica Moviles il Governo italiano non avrebbe rispettato le norme in materia di concorrenza: altri operatori avrebbero acquistato le frequenze ad un prezzo inferiore rispetto a quanto versato da Ipse per lo spettro aggiuntivo.

 

Le attività di Ipse, che non ha mai iniziato i lavori di costruzione della rete di terza generazione, erano state congelate nel febbraio 2003 in seguito al ridimensionamento delle stime di redditività dei servizi 3G.

 

In base agli accordi contrattuali, l’operatore avrebbe dovuto coprire i capoluoghi di regione entro giugno 2004 e i capoluoghi di provincia entro i 30 mesi successivi.

 

L’epilogo della vicenda Ipse è giunto a gennaio di quest’anno, con la revoca della licenza, dopo mesi di trattative e una serie infinita di riunioni interlocutorie per trovare un accordo sulla cessione delle frequenze.

 

In un estremo tentativo di risolvere la difficile situazione, la società telefonica aveva fatto pervenire al ministero la bozza di un accordo preliminare del valore di circa 250 milioni di euro, in base al quale Ipse, dietro un compenso economico, avrebbe ceduto il suo pacchetto di frequenze a tre operatori (verosimilmente TIM, Vodafone e Wind) mentre al quarto (che avrebbe dovuto dunque essere H3G) sarebbe andato un corrispettivo in denaro girato dalla stessa Ipse.

 

Il risarcimento sarebbe stato di natura tecnica: l’assegnazione di nuove frequenze, infatti, prevede una sorta di riordino generale delle stesse perché siano successive una all’altra, operazione per la quale le società devono sostenere un costo.

 

Oltre che sulla sistemazione delle frequenze, gli operatori non hanno trovato un terreno condiviso neanche sulle soluzioni economiche: il problema riguardava sia la somma da versare a Ipse per i 15 Mgh di frequenze, sia il ristoro economico che  la stessa Ipse avrebbe poi dovuto girare al gestore non interessato all’asset.

 

La revoca della licenza di Ipse ha implicato perdite per oltre 3,3 miliardi di euro, la maggior parte delle quali peseranno sulle casse del gruppo iberico, che ha rilevato nel tempo le quote dei soci italiani e non è poi più riuscito a cedere la società e l’asset delle frequenze.