Google, due pesi due misure? Nuova versione del sito cinese autocensurata e priva di blog, forum e ricerca video

di Alessandra Talarico |

Cina


Google

Il rapporto tra la Cina e Internet è sempre più controverso: a fronte di un numero di utenti altissimo (111 milioni secondo le ultime statistiche) il governo infatti opera una censura senza confronti per metodi all’avanguardia e rigidità.

 

Le società occidentali sembra dunque non abbiano altra scelta che sottostare alle pressioni del governo di Pechino e così ha deciso di fare anche Google.

 

Il re dei motori di ricerca ha appena reso noto il lancio di una nuova versione del suo sito, www.google.cn, che restringerà l’accesso a migliaia di pagine Web e ai servizi sgraditi al governo di Pechino.

Spariranno ad esempio il celebre servizio di posta elettronica Gmail e la ricerca di file video e audio, nonché l’accesso a forum e blog.

 

Resteranno invece gli strumenti essenziali quali il motore di ricerca web e immagini, le news e il motore locale.

 

La decisione di autocensurarsi permetterà a Google di restare sul mercato cinese e, ha fatto sapere la società, meglio consentire un accesso limitato ai servizi che non consentirlo affatto. Gli utenti cinesi, infatti, non erano più in grado di accedere alla pagina del motore di ricerca, spesso oscurato o costretto a velocità di connessione minime e frustranti.

 

“Google.cn sarà conforme alle leggi cinesi”, ha spiegato Andrew McLaughlin, senior policy counsel di Google.

“Dovendo decidere l’approccio migliore al mercato cinese – come a ogni altro – dobbiamo bilanciare il nostro impegno a soddisfare gli interessi degli utenti, espandere l’accesso alle informazioni e tener conto delle condizioni locali”.

 

D’ora in poi sarà dunque impossibile per i cinesi, accedere attraverso Google – così come attraverso qualsiasi altro motore – a informazioni sgradite al governo, come quelle relative al Tibet, ai diritti umani, al movimento religioso Falun gong, alla democrazia.

 

E così, denuncia Reporters sans frontières, “mentre Google si erge a strenuo difensore dei diritti degli utenti americani contro le richieste abusive del governo, oltraggia i diritti degli utenti cinesi”, scrivendo il giorno più nero per la libertà di espressione in Cina e velando di ipocrisia le dichiarazioni sul rispetto degli internauti che transitano dal suo sito.

 

“Come i suoi concorrenti – ha spiegato RsF – Google ci spiega che non ha scelta…ma la libertà di espressione non è un principio accessorio, che si può mettere da parte se si opera sotto dittatura. È un valore riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e iscritta nella costituzione cinese”.

 

Le aziende occidentali continuano a giustificarsi invocando l’effetto benefico delle loro scelte sul lungo periodo, ma una cosa è certa: “Gli internauti cinesi sono sempre più isolati e la loro libertà di espressione ridotta al lumicino. Le profezie di queste imprese sull’avvenire di una rete libera e senza frontiere servono a dissimulare divagazioni etiche inaccettabili”, conclude l’associazione.

 

RsF ha denunciato più volte il delirio etico di alcune aziende Internet operanti in regime repressivo.

 

Yahoo!, ad esempio, accetta dal 2002 di censurare i risultati della versione cinese del suo motore di ricerca, in base a una black list fornita dalle autorità di Pechino. RsF ha inoltre provato che la società ha aiutato la polizia cinese a identificare e un giornalista che criticava il mancato rispetto dei diritti umani nel suo paese.

 

Anche Microsoft, secondo RsF, censura la versione cinese del suo servizio blog, Msn Space. Parole come ‘democrazia’ e ‘diritti umani’ vengono infatti rifiutate dal sistema. Microsoft avrebbe anche chiuso il blog di un giornalista cinese in seguito alle pressioni subite dal governo di Pechino.

 

Fino a ora, invece, Google censurava soltanto la versione cinese di Google News, il resto dei servizi non era filtrato. La società di Mountain View era tra l’altro uno degli ultimi grandi motori di ricerca a non censurare la sua versione cinese.

 

Col lancio di una nuova versione del suo sito che non comprende contenuti ritenuti ‘sovversivi’, l’azienda non fa che facilitare il lavoro di filtraggio delle Autorità di Pechino, che controllano rigorosamente i siti Web visibili agli internauti cinesi, bloccando definitivamente la già difficile diffusione di documenti essenziali su argomenti come i diritti umani, da sempre il tallone d’Achille della Cina.