l'analisi

Zuckerberg come Grillo? Ecco perché Facebook potrebbe fare politica

di |

Il Financial Times analizza il ‘manifesto’ politico di Mark Zuckerberg e considera plausibile il ‘cambio di pelle’ di Facebook in un ‘movimento ideologico’ per sostenere il suo fondatore verso la Casa Bianca, però, secondo il prestigioso giornale, è alto il rischio di generare solo speranza come è avvenuto con la primavera araba.

Da social network a movimento ideologico. E molto probabilmente poi “megafono” del suo fondatore in corsa per la Casa Bianca nel 2020. Facebook è pronta a cambiare pelle, a diventare “una comunità globale” come ha annunciato Mark Zuckerberg recentemente. “Oggi mettiamo in contatto il mondo, ma siamo sicuri che stiamo costruendo il mondo che vogliamo”, ha scritto nella lettera pubblicata sul social network e indirizzata a tutti gli utenti. Dunque, l’utilizzo della Rete per fare community e politica, così come fa Beppe Grillo con il suo blog per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle.

Il manifesto politico del CEO di Facebook è stato analizzato e commentato oggi sul Financial Times da Yuval Noah Harari, scrittore e docente all’università ebraica di Gerusalemme. Secondo Harari il pensiero-politico di Zuckerberg parte da un assunto molto convincente: “il progresso richiede ora l’umanità e questa rivoluzione sociale si esprime non solo come città o nazioni, ma anche come una comunità globale”. Ecco che Facebook ha iniziato il percorso per cambiare identità e modello di business, da mero social network e piattaforma di strumenti tecnologici punta a diventare una comunità che fa politica offline, che si occupa di dare risposte globali, “come fermare il terrorismo, combattere il cambiamento climatico e prevenire le epidemie”, queste le parole usate da Zuckerberg nel messaggio.

Zuck

“E’ un buon segno che il social network punti a diventare qualcosa d’altro, una comunità globale”, scrive Harari, che però nutre forte dubbi sul fatto che Facebook sia disposto a rinunciare al business per l’ideologia. “Non si può unire l’umanità con la vendita di pubblicità”, chiosa lo scrittore sulle pagine del Ft. Poi aggiunge che il vero scoglio da superare è unire il consenso ottenuto online (più facile raggiungere milioni di ‘Like’ che voti nelle urne elettorali) con quello offline. Il forte rischio, aggiunge il docente Harari, è quello di generare solo tanta speranza nel popolo attraverso il web, proprio com’è già avvenuto con la primavera araba, le cui rivolte sono nate grazie al passaparola su Facebook e Twitter, ma poi sono state domate con i vecchi metodi.

Internet, in origine, è nato come strumento per la rivoluzione sociale, piuttosto che per fare soldi, come, invece, sta avvenendo oggi soprattutto con gli Over the Top, ha concluso l’opinionista del Financial Times. E proprio uno di questi Ott, Facebook, vorrebbe diventare il leader della rivoluzione sociale. Dipenderà molto da quanti “Like” riceverà sul web e quanti poi saranno trasformati in voti alle urne.