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Welfare aziendale, potrebbe valere 21 miliardi in italia. Italtel entra nel WBR-Lab di Milano

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In Italia la leva del welfare aziendale è poco sfruttata: solo il 17,9% degli occupati ne ha una conoscenza esatta. Una stima del suo valore è stata fatta dal primo Rapporto Censis sul tema. WBR-Lab: c’è un ritorno di valore che si attesta fra il 15% e 25% dell’investimento iniziale.

Investire sulle persone significa guadagnare in competitività, efficienza e redditività. Offrire benefit e prestazioni ai propri dipendenti da la possibilità concreta di migliorare la qualità della vita lavorativa in azienda. I piani di welfare aziendale, attivabili da grandi come da piccole e medie imprese, servono sia a premiare il lavoratore, sia ad aumentare il potere di acquisto del beneficiario.

In tal modo si rende positivo il clima aziendale e si aumenta la produttività. Secondo un nuovo Rapporto Censis – Eudaimon, il primo sul welfare aziendale, il settore potrebbe arrivare a valere in Italia più di 21 miliardi di euro.

Un dato calcolato sulla base delle prestazioni e dei servizi di welfare aziendale estesi a tutti i lavoratori del settore privato: “un valore pari a quasi una mensilità di stipendio in più all’anno per lavoratore. Perciò è indispensabile che il welfare aziendale sia promosso come un pilastro aggiuntivo del più generale sistema di welfare italiano e non venga percepito come un premio che avvantaggia soprattutto i livelli occupazionali più alti”.

Per raggiungere questo obiettivo, però, è fondamentale una comunicazione capillare sul contenuto e sul ruolo strategico di questo strumento.

Parliamo di benefit di diverso tipo, dall’assicurazione sanitaria all’auto, dalla palestra al telefonino, dal tablet/laptop ai corsi di formazione, dai buoni pasto agli abbonamenti ai trasporti pubblici, dai centri vacanze all’asilo nido, dai servizi digitali alle convenzioni con alcuni negozi. Tutti centrali per la crescita professionale del dipendente, per il suo benessere (e quello della sua famiglia) e per un miglioramento anche della produttività stessa.

Sono in molti ad apprezzare questa forma di retribuzione in alternativa al denaro: il 58,7% dei lavoratori si dice favorevole, il 23,5% è contrario e il 17,8% non ha una opinione in merito. Ad essere più favorevoli sono i dirigenti e i quadri (73,6%), i lavoratori con figli piccoli, fino a 3 anni (68,2%), i laureati (63,5%), i lavoratori con redditi medio-alti (62,2%).

Meno favorevoli sono gli operai, i lavoratori esecutivi e quelli con redditi bassi.

A Milano è partita l’attività del laboratorio di ricerca “Wbr-Lab” (Welfare Benefit Return), che si propone di definire una metodologia per la misurazione della “creazione di valore” economico (lato azienda) derivante dall’adozione di programmi di welfare aziendale.

L’iniziativa è frutto della collaborazione dell’Università Milano-Bicocca con Valore Welfare e sono diverse le aziende che parteciperanno ai lavori di ricerca e di validazione della metodologia, tra cui: Italtel, Aeroporto di Bologna, Axa Italia, havas Media, Bper Banca.

Compito del centro di ricerca è misurare i “ritorni di valore” che iniziative di welfare aziendale e di flexible benefit possono generare sul piano economico: “dove tali progetti sono stati da noi misurati, il ritorno si attesta fra il 15% e 25% dell’investimento iniziale”, ha spiegato in una nota stampa Antonio Manzoni, co-fondatore di Valore Welfare.

A un’iniziale fase di ricerca e di studio seguirà una fase di validazione e di test per l’applicazione della metodologia WBR nei diversi contesti aziendali dei partecipanti al laboratorio.

Nel nostro Paese la leva del welfare aziendale è ancora relativamente poco sfruttata: solo il 17,9% degli occupati ne ha una conoscenza esatta, il 58,5% ne ha solo una vaga idea, il 23,6% proprio non la conosce.

C’è da dire che il welfare aziendale non può assumere la funzione di surrogato di aumenti salariali per gli occupati nelle fasce stipendiali più basse