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Web Tax, sul tavolo di Tallinn anche l’adeguamento dell’Iva del digitale

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Italia, Francia, Germania e Spagna rilanciano sulla web tax e dopo la proposta di tassare l’economia digitale sul fatturato anziché sugli utili puntano il faro anche sull’equiparazione dell’Imposta a valore aggiunto.

A tre giorni dal ‘Digital Summit’ di Tallinn, il vertice dei capi di Stato e di governo della Ue per discutere di web tax, Italia, Francia, Germania e Spagna, già promotori dell’iniziativa per tassare il fatturato e non gli utili delle web company presentato all’Ecofin, firmano una nuova proposta congiunta per equiparare il versamento dell’Iva dell’economia digitale a quello delle aziende tradizionali. Garantendo che l’imposta sul valore aggiunto sia versta nel paese dove si fattura.

Italia in prima fila con Francia Germania e Spagna

Italia quindi ancora in prima fila per introdurre un regime fiscale equo per i cosiddetti Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple) e gli attori della sharing economy come Airbnb e Booking.com per ricordare i più noti. Bisogna assicurare che “lo stesso contenuto, bene o servizio sia soggetto a Iva nello Stato di consumo, senza pensare alla sua natura fisica o digitale”, scrivono i quattro Governi. Perché bisogna fare in modo che “i nuovi modelli di business siano tassati efficacemente”. “Non ha senso applicare un doppio standard che in ultima analisi altera le condizioni della concorrenza”.

Sulla web tax, il documento ribadisce l’approccio dell’Ecofin cioè che “servono cambiamenti” alla legislazione “per assicurare che i profitti tassabili siano attribuiti dove viene generato il valore, per evitare l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti (BEPS)”. Bisogna però cambiare l’attuale sistema, “basato sullo stabilimento permanente” delle imprese (stabile impresa), perché è un approccio “non adatto al business digitale”, che ha una ridotta presenza materiale. “Questo ha portato ad una situazione di mancate entrate per quei Paesi dove le aziende generano profitti in modo remoto”, cioè “con scarsa o nessuna presenza”. E “spiana la strada a una evasione sistematica”. Secondo i quattro, “la Ue è il contesto più appropriato per definire un approccio comune che possa agire come leva per una soluzione globale”, cioè a livello Ocse o G20. “Perciò chiediamo al Consiglio di discutere e decidere in fretta – e sulla base della proposta della Commissione in linea con l’approccio G20/Ocse – le misure necessarie per affrontare le sfide della tassazione digitale, mentre sosteniamo il progresso tecnologico”.

Le tre proposte della Commissione Ue

La stessa Commissione ha messo a punto tre proposte per tassare l’economia digitale:

  1. Un’imposta sul fatturato delle società digitali.
  2. Una trattenuta alla fonte sulle transazioni.
  3. Una tassa sui redditi generati dalla fornitura di servizi digitali o sulle attività pubblicitarie.

Le tre proposte saranno subito sul tavolo del Digital summit al quale parteciperanno i capi di Stato e di governo della Ue venerdì prossimo a Tallinn, in Estonia.

Nella comunicazione Ue non c’è, però, traccia di aliquote, ma si sa che se dovesse passare l’idea di un’imposta sul giro d’affari e non sui profitti l’aliquota dovrà essere inevitabilmente bassa (si parla di una forchetta 1-6%). La soluzione migliore per la Ue, ha indicato la Commissione, è un accordo a livello globale (G20).

Cooperazione rafforzata

Per questo gli Stati Ue devono avere una forte e chiara posizione comune. Bruxelles chiede che si trovi una soluzione internazionale entro la primavera 2018. Se non ci saranno progressi, la Ue è pronta a definire proprie soluzioni. E in assenza dell’unanimità dei 27 Paesi (Uk è in uscita) ci sarebbe comunque un’alternativa, ricorrere alla “cooperazione rafforzata”: è una procedura, prevista dai Trattati dell’Ue, che consente ad almeno nove Paesi di applicare la tassazione ai giganti del web, che supera quindi l’obbligo di raggiungere una posizione unanime. La procedura è stata progettata proprio per superare la paralisi che si verifica quando una proposta è bloccata da un singolo Stato o da un piccolo gruppo di Paesi che non vogliono far parte dell’iniziativa. Tra questi ci sono, nel caso specifico, Irlanda, Lussemburgo, Olanda: gli Stati con regimi da paradiso fiscale per i giganti della Rete, che non sembrano affatto intenzionati a dare l’ok.

C’è da dire che l’Italia potrebbe introdurre la web tax anche senza il permesso della Ue. Tanto più che l’ammanco per le casse della Ue per le pratiche di elusione di Google e Facebook nel periodo 2013-2015 è stato calcolato in 5,4 miliardi di euro.