Professioni digitali

Vorticidigitali. L’Italia non è un paese per lavoratori digitali?

di Andrea Boscaro, fondatore di The Vortex |

Secondo il Desi Index nel nostro paese infrastruttura, capitale umano e digitalizzazione della PA presentano ampi ritardi, ecco perché l'Italia è uno dei Paesi per i quali l'Ocse rileva più rischi in merito all'impatto occupazionale dell'innovazione.

Vorticidigitali è una rubrica settimanale a cura di @andrea_boscaro promossa da Key4biz e www.thevortex.it. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Al Web-marketing Festival dello scorso weekend ho avuto il piacere di tenere un intervento sulle nuove professioni digitali e sulla spinta che l’evoluzione tecnologica produrrà in termini di erosione di alcuni lavori – prevalentemente legati all’amministrazione e alla produzione – e di creazione di nuove opportunità.

Ma il nostro Paese è pronto a cogliere questo cambiamento? Il Desi Index – l’indice di digitalizzazione che la Commissione Europea aggiorna ogni anno – è impietoso nei nostri confronti: infrastruttura, capitale umano e digitalizzazione della PA presentano ampi ritardi ed ecco perché l’Italia è uno dei Paesi per i quali l’Ocse rileva più rischi in merito all’impatto occupazionale dell’innovazione.

Eppure ci sono tante debolezze e minacce quante opportunità legate ai punti di forza della nostra economia.

Sul piano macro, l’Inefficienza del sistema amministrativo e il gigantismo della burocrazia italiane si affiancano all’assenza di player digital rilevanti e ci espongono a debolezze fiscali e regolamentari nei confronti dei giganti americani e orientali mentre sul fronte micro, vi sono gli oggettivi limiti delle forme tradizionali della rappresentanza che rendono il tradizionale welfare state meno efficace e incisive.

Le minacce sono poi legate, sul piano occupazionale, soprattutto ad un mismatch fra competenze disponibili e competenze richieste: il 20% delle offerte di lavoro sono di difficile reperimento e, in particolare nel mondo del digitale, mancano 120 mila professionisti.

Più tecnologia può pertanto significare una “Jobless Society” o, più realisticamente, un taylorismo digitale che si traduca in stagnazione di redditi e salari e in polarizzazione della società fra professionisti super-qualificati e ad alto reddito e una vasta schiera di mestieri routinari e mal pagati.

Di fronte a questo scenario l’Italia però, con il suo sistema di distretti indeboliti, ma ancor esistenti, può innegabilmente avvantaggiarsi della tecnologia per integrare in modo nuovo le filiere e sostenerne le eccellenze rendendole se non high-tech, medium-tech.

L’opportunità di fronte a noi – con un sistema che sappia cambiare per favorire l’innovazione sul piano amministrativo, giuridico e fiscale – è rendere più competitive le nostre aziende valorizzandone le componenti adattive e creative così da produrre un impatto positivo sull’occupazione sul lavoro.

Risulteranno prevalenti i punti di debolezza o i più di forza, le minacce o le opportunità: l’innovazione – si sa – non è un pranzo di gala, ma la storia non è ancora scritta. Sta a noi piegarla a vantaggio di tutti e a ciascuno di noi.