Relazione annuale

Visco (Banca d’Italia): “Il Paese ha risposto con ritardo alla rivoluzione tecnologica”

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Europa senza colpe per il Governatore della Banca d’Italia, crescita economica vittima dunque di scelte sbagliate: “Il ritardo nell’automazione industriale è marcato rispetto alla Germania; lo sviluppo delle reti di telecomunicazione di nuova generazione resta limitato”.

Stamattina la Banca d’Italia ha presentato la Relazione annuale sul 2018 e il Governatore Ignazio Visco ha illustrato le sue Considerazioni finali sullo stato della nostra economica. Lavoro, immigrazione, spread, sistema bancario italiano, riforme e sostegno al mondo del lavoro, produttività, il tradizionale quanto dannosissimo divario Nord-Sud, fino all’Europa e le sue regole, sono alcuni dei punti toccati da Visco nel suo intervento.

In particolare, si legge nel testo delle Conclusioni, emerge netto il tema dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale: “L’Italia ha risposto con ritardo alla rivoluzione tecnologica; ne ha risentito marcatamente la crescita economica”.
Visco ha sottolineato chiaramente come per non compromettere lo sviluppo sostenibile e sociale, non si può fare a meno di investire in campo tecnologico: “Ai settori che compongono l’economia digitale è oggi riconducibile il 5 per cento del totale del valore aggiunto, contro circa l’8 in Germania e una media del 6,6 nell’Unione europea. Dall’avvio della crisi dei debiti sovrani il peso di questi settori da noi si è ridotto, in controtendenza rispetto alla media europea”.

Il divario con i Paesi partner dell’Unione europea cresce e le imprese si trovano sempre più spesso in difficoltà: “il ritardo nell’automazione della produzione è marcato rispetto ai paesi con una specializzazione settoriale simile alla nostra, come la Germania. Lo sviluppo delle reti di telecomunicazione di nuova generazione resta limitato. Il ruolo di traino svolto dall’amministrazione pubblica nell’introduzione delle nuove tecnologie è contenuto: l’indice di sviluppo dei servizi pubblici digitali elaborato dalla Commissione europea pone l’Italia al 19º posto nell’Unione”, ha dichiarato il Governatore.

Una struttura produttiva nazionale troppo frammentata, in gran parte tenuta in vita da imprese di piccole dimensioni, poco aperte all’entrata di capitali esterni, come anche di competenze, professionalità e soprattutto tecnologia, non ha permesso al modo imprenditoriale di raggiungere i livelli di competitività necessari: “Nel 2017 meno di un quinto delle imprese con un numero di addetti compreso tra 20 e 49 aveva adottato almeno una tecnologia avanzata (come le applicazioni della robotica e dell’intelligenza artificiale); la quota sale a un terzo tra le imprese medie e supera la metà per quelle con 250 addetti o più. Il divario tra imprese piccole e grandi si amplia al crescere del grado di complessità delle tecnologie considerate”.

La frammentazione della struttura produttiva, ha precisato Visco, si riflette negativamente sulla capacità innovativa delle imprese: “la spesa per ricerca e sviluppo del settore privato era pari nel 2017 allo 0,8 per cento del PIL, meno della metà di quella media dei paesi dell’OCSE. È bassa anche quella pubblica (0,5 contro 0,7 per cento). L’incidenza sul PIL delle risorse dedicate al sistema universitario, poco meno dell’1 per cento, è di circa un terzo inferiore alla media dell’OCSE”.

Difficoltà italiane, ha sostenuto il Governatore, che sono abbondantemente amplificate nel Mezzogiorno, che ha risentito della doppia recessione più del resto del Paese: “Nelle regioni meridionali deve innanzitutto migliorare l’ambiente in cui le imprese svolgono la propria attività, in primo luogo con riferimento alla tutela della legalità. È più ampio il ritardo tecnologico da colmare: la quota del valore aggiunto riferibile all’economia digitale, prossima al 2,5 per cento, è inferiore di oltre tre punti a quella del Centro Nord. Va ridotto il deficit di competenze, accresciuta l’efficacia delle politiche pubbliche, migliorata la qualità delle amministrazioni e delle infrastrutture: il 70 per cento delle “opere incompiute” è localizzato in queste regioni, alle quali fa capo solo il 30 per cento dei lavori pubblici”.