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Ultrabroadband: se l’Italia fa il passo del gambero …

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Il web, arrivato in sordina, è esploso grazie agli smartphone, ma ancora non è stato adeguatamente sfruttato per scardinare - come potrebbe - disfunzioni e inefficienze tipiche del nostro Paese.

Nei suoi 30 anni di vita in Italia, festeggiati tra annunci e scontri lo scorso 29 aprile, Internet ha sicuramente contribuito a cambiare le nostre vite e le nostre abitudini. Ma, potremmo dire, solo in superficie e procedendo a passo di gambero.

Se infatti nel 2000 il nostro Paese poteva definirsi addirittura all’avanguardia nell’implementazione della fibra ottica, grazie a Fastweb che iniziò a installare quell’anno una delle prime reti FTTH metropolitane in Europa, a distanza di 15 anni l’Italia arranca e continua a perdere posizioni nei ranking mondiali. Ricordiamo, ad esempio, che secondo il DESI (Digital Economy and Society Index 2016) – l’indice che misura il grado di diffusione del digitale – siamo al 27esimo poso nella Ue per diffusione delle reti a banda larga veloce (almeno 30 Mbps) con appena il 5,4% delle famiglie che ha un abbonamento sul 53% di quelle abbonate alla banda larga. La copertura Nga è passata dal 36% al 44% (contro il 71% di media Ue), ma i progressi, se si guarda alle altre principali economie europee sono molto lenti. E a questo si aggiunga che l’ingresso di Enel nella partita della fibra ottica nelle aree più remunerative del paese, difficilmente contribuirà – come si vorrebbe –ad accelerare  gli investimenti.

Il web, arrivato in sordina 30 anni fa quando ancora si chiamava Arpanet, è esploso nell’ultimo decennio prevalentemente grazie agli smartphone, ma ancora non è stato adeguatamente sfruttato in un’ottica ‘di sistema’ per scardinare – come potrebbe – disfunzioni e inefficienze tipiche del nostro Paese. Cosa che poteva avvenire se dagli annunci si fosse passato alle azioni non ora, ma almeno 15 anni fa.

Troppo facile attribuire la nostra arretratezza a una questione di ‘analfabetismo digitale’.

Non proprio, o almeno non solo.

A leggere i titoli dei giornali all’indomani dell’Internet Day era tutto un trionfo di ‘rivoluzione internet’, ‘banda larga ovunque’. Forse però nessuno si è accorto che la banda larga ovunque c’è già (o quasi) se si somma il fisso e il mobile. Gli italiani primeggiano nelle classifiche di diffusione degli smartphone e di utilizzo dei social network, ma quando si tratta di sfruttare concretamente i vantaggi della rete, non possiamo o non vogliamo saperne. Senza contare il divario tra l’Italia e il resto d’Europa nella diffusione della banda ultra larga, su cui gli annunci si susseguono (l’obiettivo dichiarato è coprire  il 100% del territorio italiano con una connessione a 30 Mbps e il 50% a 100 Mbps entro il 2020) ma con non troppa aderenza alla realtà.

Da almeno 10 anni si insegue l’idea di ‘un condominio’ di operatori per infrastrutturare il Paese ‘per il bene del Paese’. Ma non se ne è mai fatto niente. Ora i condomini potrebbero essere due: quello formato da Enel Open Fiber insieme a Vodafone e Wind e quello di Telecom Italia che a breve potrebbe presentare un’offerta per rilevare il 100% di Metroweb. Ma siamo ancora alle premesse e, soprattutto, entrambi i progetti mirano a realizzare una rete in fibra ottica nelle città più ricche e remunerative.

Per le aree ‘sfigate’, come le ha definite il premier nella giornata consacrata a festeggiare il 30esimo compleanno di Internet in Italia, con molta enfasi è stato annunciato che “dopo tante chiacchiere si parte”: forse Matteo Renzi si riferiva al passaggio in CDM dei bandi per le aree, appunto, svantaggiate.

Un passaggio formale e non necessario (come ricordato dallo stesso Renzi) per dei bandi che, sempre a detta di Renzi, dovevano partire il 29 aprile, ma per i quali ancora e contro ogni previsione non è arrivato il via libera Ue e manca il parere di Agcom, Agcm, Anac.

Insomma, come ampiamente previsto, i bandi potrebbero non partire prima della primavera inoltrata, come confermato a Key4biz  anche da Gunther Oettinger, Commissario Ue per la Digital Economy in visita a Roma.

I problemi dell’Italia sono dunque di due tipi: culturale e di ‘sistema’.

Per quanto riguarda l’uso di Internet, gli italiani sono il fanalino di coda nella Ue. C’è una resistenza atavica verso l’uso della Rete per effettuare transazioni, interagire con gli altri e leggere le news. E non solo: nonostante il 70% delle imprese sia online e il 94% abbia una connessione a banda larga, siamo soltanto al 20esimo posto in Ue per integrazione del digitale nel business.

Per citare un altro dato: 4 imprenditori su 10  ancora non riconoscono il valore della rete per la propria attività. Solo il 5,1% delle PMI italiane usa l’eCommerce, i cui vantaggi sembrano ormai talmente scontati che sembra banale anche ribadirli: ingresso in un mercato senza confini anche per le piccole aziende; possibilità di offrire i propri servizi in modalità del tutto nuove sfruttando l’ubiquità di dispositivi come smartphone e tablet; utilizzare i social network per avvicinare e interagire con i clienti.

Un altro dato: il paese è sempre più diviso in due, anche per quanto riguarda il digitale: come evidenziato dallo Smart City Index 2016, la prima città del Sud nella classifica della diffusione dell’ICT è Napoli al 32esimo posto. In nessuna regione del mezzogiorno, secondo gli ultimi dati Agid, è in attivazione il Sistema Pubblico nazionale per la gestione dell’Identità Digitale (SPID), ossia la porta di accesso unica ai servizi online della PA. E ancora, anche per i primi bandi relativi alle aree svantaggiate, a siglare l’intesa con  Mise sono state Toscana, Veneto, Lombardia, Abruzzo e Molise. Nessuna regione del Mezzogiorno.

Eppure, grazie al piano EuroSud, al mezzogiorno d’Italia la banda larga a 30 Mbps raggiunge il 75% della popolazione e quella a 100 mpbs è disponibile in scuole, ospedali e pubbliche amministrazioni.

L’Italia, non finiremo mai di dirlo, sconta ritardi pluridecennali – non solo nella banda larga certo – e, lo abbiamo ricordato, è indietro in tutte le classifiche che hanno a che fare con ICT e innovazione, binomio fondamentale anche per la crescita economica. Ma, viene anche da dire, perchè non siamo ancora in grado di costruire esperienze positive da quello che c’è di buono?

Perché insomma, anche dove la rete c’è, non la si sfrutta per massimizzare, per dire, i vantaggi della PA digitale o della sanità elettronica a beneficio dei cittadini? A chi (non) conviene?

Non si riesce, insomma a fare sistema e non saranno gli annunci a cambiare le cose.