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Rinnovabili, Ue sotto scacco del blocco ‘nucleare’ orientale. Paesi che perderanno 137 miliardi di euro di investimenti

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Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria e Polonia, ma anche Romania e Paesi baltici, si sono messi di traverso per fermare o rallentare la transizione energetica ed ecologica dell’Unione europea, ma così facendo impediranno il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e perderanno tutti i vantaggi del cambiamento, tra cui gli ingenti investimenti di Bruxelles.

Rinnovabili fondamentali per la transizione energetica dell’UE

L’Unione europea si è data degli obiettivi di decarbonizzazione molto ambiziosi (soprattutto considerando il presente), con una quota di fonti energetiche rinnovabili nel mix continentale dei consumi pari al 42,5% (idealmente il 45%).

La stessa Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha più volte ricordato che l’intera Europa punta alle zero emissioni del settore energetico entro il 2040.

Un panorama green difficile da realizzare, ma non impossibile. A patto che tutti i Paesi dell’Unione partecipino al superamento della sfida, fatto che non va dato per scontato.

Secondo quanto affermato in un articolo su euractive.com da Pawel Czyzak, analista senior presso il think tank energetico Ember, e Rebekka Popp, consulente politico presso il think tank climatico E3G, esiste già oggi un blocco di Paesi dell’Europa centrale e orientale che farà di tutto per impedire la transizione ecologica ed energetica.

Un primo banco di prova sarà il 30 giugno, quando tutti i Paesi europei dovrebbero aver consegnato i Piani nazionali per l’energia e il clima (Pniec) rivisti ed aggiornati.

Chi sono i Paesi del blocco no-green?

Ci sono Paesi come Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria e Polonia, che sono chiamati ad alzare l’asticella degli impegni sul versante green presi negli attuali Pniec e che probabilmente non lo faranno entro la data stabilita da Bruxelles.

La prima conseguenza è un rallentamento nel percorso di decarbonizzazione dell’intera Europa. Senza il blocco orientale sarebbe impensabile ragionare sugli obiettivi del Green Deal.

Oggi le fonti rinnovabili garantiscono solo il 25% dell’energia elettrica di cui abbiamo bisogno, rispetto al 60% circa proveniente da centrali a combustili fossili (motivo per cui abbiamo pagato così cara la nostra elettricità).

Ai Paesi sopra elencati possiamo anche aggiungere altri territori, tra cui Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Croazia e Romania. Un blocco che se cambiasse idea sulle rinnovabili potrebbe veder aumentare la quota di energia pulita del +63% entro il 2030.

Un salto in avanti che potrebbe aumentare la capacità installata di eolico e solare di quasi sette volte, da 35 a 200 GW entro la fine del decennio.

A guidare questa fronda è l’insospettabile Francia, che pone il nucleare come fonte rinnovabile complementare a sole e vento. E’ Parigi che ha convinto la presidenza svedese dell’Unione europea a rinviare la decisione sul via libera alla direttiva sulle energie rinnovabili.

Rinnovabili, una questione politica, etica ed economica

La transizione green, inoltre, non è solo una questione etica, ma anche economica e finanziaria, perché mettersi di traverso significa rinunciare a un volume di investimenti UE piuttosto significativo, stimato in 137 miliardi di euro circa.

Secondo il modello proposto da Ember, è possibile per l’intera Europa centrale e orientale creare un vero e proprio surplus di elettricità verde a basso costo.

Paesi che tutti assieme, con 200 GW di eolico e solare, potrebbero arrivare ad esportare 23 TWh di elettricità nel 2030, rispetto all’import di 7 TWh nel 2022. Più energia da eolico e solare abbasserebbe i prezzi medi dell’energia di quasi un terzo rispetto allo scenario attuale.

Ci sono Paesi come Lettonia ed Estonia che potrebbero generare solo con il vento un volume di energia pulita pari a 4 volte la domanda nazionale, con la possibilità di vendere questo surplus ad altri Paesi.

Un blocco che mostra crepe, come tornare a crescere green

Un fronte che però non è così unito come può sembrare, tenuto assieme più da interessi di parte che da problematiche economiche e sociali. Nel 2022 tutti questi Paesi hanno visto aumentare la capacità eolica del 28%, il doppio quasi della media UE (15% circa), con i primi risultati concreti per imprese e famiglie (bollette energetiche più leggere).

Ciò che manca per sbloccare questa situazione che, come abbiamo visto, nasconde in realtà grandi potenziali inespressi, è la pianificazione a livello nazionale su lungo periodo. Senza non è immaginabile un percorso virtuoso di decarbonizzazione e di crescita economica sostenibile.

Per questo è fondamentale adeguare i vari Pniec a nuovi e più ambiziosi obiettivi. Solo così saranno presentati progetti avanzati per la diffusione dell’eolico e del solare, anche ad elevata intensità tecnologica.

Centrali in questo percorso saranno la volontà politica, la collaborazione transfrontaliera, piani di congiunti di cofinanziamento per le infrastrutture, la sburocratizzazione, in particolare la semplificazione di alcuni passaggi amministrativi chiave, soprattutto per le autorizzazioni di costruzione di nuovi impianti eolici e solari, le nuove reti e una rimodulazione dei consumi (anche i cittadini dovranno fare la loro parte, sia consumando meno, sia dando vita a molteplici comunità energetiche rinnovabili ed autonome).