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Net neutrality, la FCC gela le telco: ‘Regole rigide anche per la banda larga mobile’

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Immediata la reazione degli operatori telefonici: per Verizon si tratta di un intervento ‘inutile e controproducente’.  Per AT&T la proposta mette a rischio gli investimenti e apre un periodo di incertezza giuridica. L’associazione CTIA parla quindi “di restrizioni regolamentari invasive”.

Dopo un dibattito durato oltre un decennio e una consultazione pubblica che ha registrato il numero record di 4 milioni di commenti, la FCC ha infine preso la sua decisione per quel che concerne la net neutrality, proponendo riclassificare la banda larga come servizio pubblico – al pari dell’acqua, come affermato dal presidente Obama – e di porla, quindi, sotto il cosiddetto Title II, per garantire che il traffico sulla rete sia gestito in maniera da non discriminare nessuno.

La riclassificazione implica, in sostanza, l’inclusione di internet entro i servizi di telecomunicazione (attualmente è infatti considerato come un servizio di informazione) rendendo cosi la banda larga oggetto di intervento di potestà regolatoria da parte della FCC – e quindi del governo – anche per questioni non attinenti all’accesso, quali i prezzi dei servizi e la concorrenza (cosi come avviene per i servizi di telecomunicazione).

Forte del mandato del Congresso e dell’endorsement del presidente Obama alla elaborazione di regole sulla net neutrality regole ‘più robuste possibili’, il presidente della FCC, Tom Wheeler, ha spiegato di aver sottoposto ai colleghi dell’Autorità “le più forti tutele mai proposte in favore dell’open internet”. Le regole proposte da Whherler impediranno la cosiddetta ‘paid prioritization’ (le corsie preferenziali), il blocco o la limitazione di servizi e contenuti legali e, per la prima volta, queste norme sarebbero applicabili anche alla banda larga mobile.

“La mia proposta garantisce i diritti degli utenti internet di andare dove vogliono e quando vogliono e i diritti degli innovatori di introdurre nuovi prodotti senza chiedere permesso a nessuno”, ha affermato Wheeler.

Il Title II, ha chiarito, sarà inoltre aggiornato per rispondere alle esigenze di un settore molto diverso da quello telefonico (si tratta infatti di una norma inclusa nel Telecommunications Act del 1934) e per garantire a chi investe il giusto ritorno economico.

Ad esempio, non includerà la temuta “regolamentazione delle tariffe o l’unbundling dell’ultimo miglio”, ha detto ancora Wheeler. Fatto sta che però lo stesso potrebbero esserci problemi per aziende come Google che sta realizzando una rete in fibra ottica in alcune città e non offre, pertanto, lo stesso livello di servizio in tutto il Paese.

“Internet – ha concluso Wheeler – deve essere veloce, equo e aperto. La proposta che presento alla Commissione farà sì che resti tale ora e in futuro”.

La riclassificazione della banda larga sotto il Title II è stata al centro di uno scontro tra lobby durato anni: da un lato si sono schierati gli operatori telefonici, secondo cui il piano della Casa Bianca rappresenta un tremendo errore che andrebbe a minare lo sviluppo e la sopravvivenza stessa di internet, nonché gli interessi nazionali, poiché la proposta applicherebbe regole risalenti agli anni 30, e basate sul monopolio telefonico, a una tecnologia del ventunesimo secolo.

Il piano della FCC è stato invece fortemente sostenuto dalle web company – Facebook, Amazon e Google, oltre ai siti di streaming come Netflix o di musica condivisa come Spotify – secondo cui i cambiamenti proposti permetterebbero alla FCC di obbligare gli operatori telefonici a non discriminare alcuni contenuti rispetto ad altri e a rispettare un quadro legislativo più rigido per la gestione delle reti. Google, ad esempio, avrebbe speso lo scorso anno la cifra record di 17 milioni di dollari per fare pressione sul Congresso ed evitare così che la proposta della FCC per la creazione delle cosiddette ‘corsie preferenziali’ andasse avanti. Un paradosso, perché anche se la FCC non dovesse autorizzare la cosiddetta ‘paid prioritization’ Google potrebbe ritrovarsi con il suo servizio Google Fiber sotto la ‘sorveglianza’ diretta della FCC: uno smacco per un’azienda che ha costruito un business da 66 miliardi di dollari l’anno senza essere sostanzialmente sottoposta a quasi nessuna regola.

In una nota, Google ha comunque già fatto sapere che le nuove regole della FCC non impatteranno sui suoi piani d’investimento.

In un primo tempo, infatti, dopo la sentenza con lui lo scorso gennaio il Tribunale di Washington ha accolto il ricorso di Verizon contro Netflix, bocciando le regole fissate nel 2010 dalla Federal Communications Commission in materia, il regolatore aveva stabilito che i provider come Comcast, Verizon o Time Warner pur fatto loro divieto di bloccare o rallentare determinati siti o servizi per garantire che i consumatori possano accedere ai contenuti che vogliono, avrebbero potuto stringere accordi con i fornitori di contenuti (come Google o Netflix) per trattare il loro traffico in maniera preferenziale (la cosiddetta paid prioritization), sulla base di accordi siano ‘commercialmente ragionevoli’ per tutte le aziende interessate, sulla base della Section 706 del Telecommunications Act del 1996

Ma, ha precisato Wheeler, “col passare del tempo ho iniziato a temere che il concetto di ‘commercialmente ragionevole’ potesse essere interpretato come ‘ragionevole per gli interessi commerciali’, non per gli interessi dei consumatori.

Immediata la reazione degli operatori telefonici: per Verizon si tratta di un intervento ‘inutile e controproducente’.

Per AT&T la proposta mette a rischio gli investimenti e apre un periodo di incertezza giuridica.

L’associazione CTIA parla quindi “di restrizioni regolamentari invasive” e si è detta preoccupata del fatto che la proposta della FCC di applicare il Title II anche alla banda larga mobile rischia di compromettere la leadership americana nel settore e potrebbe generare grande incertezza finendo per frenare gli investimenti, che dal 2010 sono stati superiori a 120 miliardi di dollari.