Italia Digitale

Minions4Italy. La strada per il fallimento digitale? È lastricata di buone intenzioni

di Andrea Lisi, Presidente ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti) |

Ovvero come tante leggi e molto entusiasmo comunicativo non bastino a digitalizzare il Paese

Rubrica controcorrente sul digitale in Italia a cura di Andrea Lisi, Presidente  di ANORC Professioni e Segretario Generale di ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti), Segretario Generale AIFAG (Associazione Italiana Firma elettronica avanzata biometrica e Grafometrica) e Coordinatore del Digital & Law Department dello Studio Legale Lisi. È Docente presso la Document Management Academy e la MIS Academy della SDA Bocconi e Direttore del Master Universitario Unitelma Sapienza: I professionisti della digitalizzazione documentale e della privacy. E’ inoltre il fondatore del movimento Italian Digital Minions che conta attualmente un gruppo Facebook di oltre 3000 aderenti. Per leggere tutti gli articoli clicca qui.

 

 Noi siamo principi liberi e abbiamo altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto coloro che hanno cento navi in mare” (Samuel Bellamy).

Sono anni che assistiamo inermi a una schizofrenica proliferazione normativa in materia di digitalizzazione. Non c’è finanziaria o normazione d’urgenza che non abbia al suo interno un articolo con nuove proposte per l’innovazione digitale.

Rubrica controcorrente sul digitale in Italia a cura di Andrea Lisi, Presidente ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti), Segretario Generale AIFAG (Associazione Italiana Firma elettronica avanzata biometrica e Grafometrica) e Coordinatore del Digital & Law Department dello Studio Legale Lisi. È Docente presso la Document Management Academy e la MIS Academy della SDA Bocconi. E’ inoltre il fondatore del movimento Italian Digital Minions che conta attualmente un gruppo Facebook di oltre 1700 aderenti

Questo procedere ha dei vantaggi?

In realtà, l’attuale agglomerato di leggi e leggine in materia di “agenda digitale” non si è poi tradotto in vera innovazione. Anzi, ha sviluppato in molte PA una sorta di disaffezione verso tutto ciò che ha a che fare con Internet e l’informatica, che vengono percepite, nella migliore delle ipotesi, come obblighi inutili e dannosi, o giochini adatti a giovani nerd.

L’ipertrofia normativa ha anzi generato caos nell’applicazione delle norme, che peraltro sono ormai fatte di sterili principi generali privi di forza cogente e mancanti di un solido apparato sanzionatorio in caso di loro violazione.

Un’indagine portata avanti in queste settimane dall’associazione ANORC sta verificando proprio lo stato di attuazione dell’Agenda Digitale nelle principali PA italiane (locali e centrali), scoperchiando uno scenario davvero avvilente di totale scollamento tra ciò che la norma vorrebbe (in modo spesso confuso e ripetitivo) e quella che è la sua effettiva applicazione nei meandri burocratici delle nostre pubbliche amministrazioni.

I primi risultati dell’indagine saranno resi noti durante l’evento nazionale DIG.Eat che si terrà a Roma il prossimo 14 ottobre (www.digeat.it) e sempre nella medesima cornice – anche se in un momento diverso – verrà anche assegnato il premio negativo per il contest, promosso dal Movimento degli Italian Digital Minion, “L’illogico analogico”: gli aderenti al movimento sono stati invitati a segnalare casi disperati e tentativi falliti di digitalizzazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni del nostro Paese. Le tante candidature e segnalazioni giunte ci raccontano di PA che, in spregio all’attuale normativa contenuta in un Codice dell’amministrazione digitale ormai pieno zeppo di rattoppi e imprecisioni, richiedono e/o rilasciano documenti e copie cartacei, sviluppano processi “pseudo-digitali” in un complicato e promiscuo incesto analogico-digitale, o si arroccano su posizioni intransigentemente analogiche, come accade per il PCT (Processo Civile Telematico) con l’ancora diffusa richiesta di copie cartacee di cortesia.

E ancora: albi online che pubblicano formati documentali non accessibili (e che fanno sognare a qualcuno il ritorno all’albo pretorio analogico), “autocertificazioni di dichiarazione di morte” (ovviamente cartacee), sino ad arrivare alle tortuose strade della fatturazione elettronica verso la PA (dove si annaspa tra rifiuti informatici e richieste inverosimili del sistema) o alla diffusissima conservazione su carta di raccomandate ricevute via PEC. La situazione è oggettivamente desolante e le segnalazioni per il contest crescono di giorno in giorno.

Quali sono le ragioni di questa paradossale situazione, dove le normative procedono in una direzione (con i loro inutili comunicati stampa pieni di buone intenzioni) e le PA (salvo poche eccezioni) rimangono a guardare in un pietoso immobilismo che dura, davvero, da troppo tempo?

Come ripetuto già tante, forse troppe volte, è inutile e dannoso continuare a legiferare in materia. Sia nelle PA che nei cittadini si va diffondendo l’impressione che neppure il legislatore creda davvero in ciò che regolamenta nei suoi continui e repentini cambi di rotta, come testimonia anche la totale assenza di sanzioni specifiche in capo alla PA in caso di inadempimento e la previsione costante, in ogni fonte normativa, che la digitalizzazione per l’ente pubblico debba essere a costo zero (anzi perseguire logiche di risparmio). Quest’ultima è una barzelletta che si ritrova anche nell’art. 1 (rubricato Carta della cittadinanza digitale) contenuto nella Legge delega n. 124 del 7 agosto in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in cui il legislatore (che per una volta sembra consapevole della situazione normativa in cui versiamo) delega al Governo il compito di fare un minimo di ordine… ma sempre senza investimenti per la PA!

E in questa situazione di caos generale si affaccia anche il caso delle Regioni che sviluppano processi e “poli archivistici” e che con evidente noncuranza ignorano l’attuale normativa in materia di conservazione dei documenti informatici; dei Ministeri che affidano i loro processi di digitalizzazione a soggetti privati o pubblici non accreditati dall’Agenzia dell’Italia Digitale, come invece prevedono le regole tecniche in materia; dei governatori che annunciano in pomposi comunicati stampa l’avvio della ricetta elettronica affermando che sulla “tessera sanitaria” del cittadino sarà “caricato” il suo fascicolo sanitario elettronico e probabilmente ignorano che la tessera sanitaria è anche una CNS (Carta Nazionale dei Servizi) e che nella loro regione non è attiva la procedura per disporre del PIN indispensabile per utilizzarla[1].

Anche in questo caso, la Regione custodirà attraverso un unico fornitore IT dati molto sensibili dei cittadini (e si spera che la conservazione sia effettuata “a norma di legge”), fornitore che non è comunque accreditato presso AgID. Tutto questo sistema – si riferisce nei comunicati stampa istituzionali – contribuirà ad alimentare basi di dati che quotidianamente forniranno informazioni su quanti farmaci vengono prescritti nella Regione e sul loro consumo, rafforzando inoltre politiche attive di controllo della spesa… una trasparenza forzata, quindi, in barba alle norme e a scapito dello stesso cittadino (i cui dati sensibilissimi vengono trattati senza neppure che egli ne sia davvero consapevole). E questo accade – come più volte denunciato – in tanti altri settori della digitalizzazione, “venduti” come miracolose e rivoluzionarie novità.

Speriamo non si voglia portare avanti nel medesimo modo anche il FOIA (Freedom of Information Act), a colpi di annunci e comunicati stampa e ignorando del tutto le regole per la corretta formazione, condivisione, pubblicazione e conservazione di documenti e archivi digitali pubblici (che – lo ricordiamo – dovrebbero garantire la “fede pubblica” ed essere garantiti da pubblici ufficiali).

L’attuale situazione dell’innovazione digitale nel nostro Paese – dove c’è un nutrito gruppo di blogger e digital champion sempre pronti a prevenire qualsiasi tentativo di analisi e approfondimento a forza di tweet a supporto delle iniziative digitali governative – ci dovrebbe far comprendere quanto sia urgente formare nuove professionalità che possano sviluppare seri processi di digitalizzazione e aprire finalmente uno squarcio nella nebbia digitale in cui versiamo.

E per fare questo occorre superare gli steccati professionali e far emergere davvero, nelle organizzazioni pubbliche e private, dei manager della governance digitale che siano anche indipendenti dalla politica[2], perché una professionalità così è chiamata a ricoprire un ruolo troppo importante per non essere tutelata con attenzione, mantenuta seria e indipendente.

Quella in cui ci troviamo è un’emergenza nazionale, come più volte ripetuto da Luca Attias (Direttore Generale dei Sistemi Informativi della Corte dei Conti), nella quale la mancanza di digitalizzazione fa comodo proprio a chi è abituato a gestire il potere dei dati (custoditi gelosamente nel cassetto della propria scrivania) e a nascondersi dietro ai vizi e alle contorsioni della burocrazia.

E come recentemente riferito proprio da Attias, “la corruzione, l’inefficienza, la cultura della raccomandazione possono essere combattute anche con l’informatica, ma la digitalizzazione è ostacolata proprio da questi 3 fattori”. Questa pericolosa situazione di stallo deve essere combattuta non solo per ragioni di buon senso, ma anche alla luce dei risultati dell’indagine relativa alla correlazione tra i valori dell’indicatore Digital Economy and Society Index (DESI, fonte UE) e la classifica dei Paesi meno corrotti (fonte Transparency International)[3].

Bisogna invertire questa rotta inconcludente e circolare, impostata proprio da chi vuole continuare a blaterare di digitale, senza costruire con serietà, fatica e reali investimenti un vero cambiamento.

Vi saluto con un altro video, per riflettere insieme.

[1] Ringrazio l’amico Ing. Giovanni Manca per la segnalazione sul punto e per l’utile precisazione che la CNS non è nel sistema di identità digitale SPID ma, ex lege, tutte le PPAA dovrebbero garantire tramite essa l’accesso ai servizi offerti in rete …possibile che ancora lo si ignori?

[2] Qualche PA timidamente ci sta provando, come ad esempio, INAIL (info: http://competenzedigitali.agid.gov.it/progetto/dipendenti-pubblici-digitali).

[3] Fonte: http://www.repubblica.it/tecnologia/2015/06/23/news/la_corruzione_si_combatte_con_la_cultura_digitale_ecco_perche_-117513423/.