Key4biz

John Elkann vuole l’Economist

John Elkann

Il mercato internazionale dell’editoria è in pieno fermento. Dopo la cessione la scorsa settimana del Financial Times alla giapponese Nikkei per 1,19 miliardi di euro, il gruppo Pearson sta adesso trattando con la famiglia Agnelli che vorrebbe salire nel capitale dell’Economist.

Gli Agnelli già possiedono il 5% del prestigioso settimanale inglese di cui Pearson controlla il 50% che adesso vuole mettere sul mercato. La restante metà è divisa tra ex dipendenti, famiglie inglesi blasonate e gli storici banchieri Rothschild.

L’operazione sull’Economist contribuirebbe a internazionalizzare la presenza nel settore, nell’ambito di un piano che sta particolarmente a cuore a John Elkann, da due anni entrato nel board di News Corp, la società editoriale di Rupert Murdoch.

Gli Agnelli tramite Exor, di cui Elkann è presidente, vorrebbero rimpolpare la loro quota anche se, per garantire l’indipendenza del settimanale, la finanziaria resterebbe ben al di sotto del 50%. Dunque devono esserci altri compratori ma la trattativa è ancora nel vivo e per ora non è emerso un secondo acquirente. La governance del gruppo che edita l’Economist è molto complessa e bisognerà tenerne conto in fase di cessione.

Exor ha confermato la trattativa e in una nota ha spiegato: “Allo stato, non vi è alcuna certezza che le negoziazioni in atto porteranno a una transazione”.

Ma è chiaro che per gli Agnelli, l’occasione è ghiotta per ampliare la propria partecipazione. Con l’irrobustimento nell’Economist, si andrebbe ad allargare il peso delle partecipazioni che fanno capo ad Exor nell’ambito dei media: attraverso Fca, infatti, la finanziaria dispone del 16,7% di Rcs e del 77% di Italiana editrice, la società nata proprio un anno fa che pubblica i quotidiani La Stampa e Il Secolo XIX.

In base alle stime elaborate da Pearson, la valorizzazione del 50% dovrebbe essere intorno a 400 milioni di sterline: la trattativa non è imminente ma dovrà essere conclusa entro questa estate, ha scritto proprio il Financial Times, spiegando che servirà comunque l’approvazione dei quattro membri del Cda del Gruppo.

Pearson è da tempo in riassestamento. L’avanzata dell’informazione declinata sempre più sul web e sulle reti sociali, ha imposto radicali cambiamenti di business ma anche pesanti ricadute sul comparto in generale. Gli editori hanno dovuto raccogliere la sfida del digitale e reinventarsi, ma la strada da fare è ancora lunga anche se il FT ha prontamente saputo adattarsi con il piano Digital First del direttore Lionel Barber.

La scorsa settimana poi l’annuncio: il Financial Times è passato nelle mani della giapponese Nikkei.

Le ragioni di questa operazione sono state spiegate dal Ceo del gruppo John Fallon, che in una nota ha evidenziato: “Pearson è stata fiera di essere per quasi 60 anni proprietaria del FT, ma abbiamo raggiunto un punto di inflessione nei media con l’esplosione della crescita del mobile delle reti sociali. In questo nuovo contesto, il miglior modo per assicurare al FT il successo giornalistico e commerciale è di diventare membro di un’azienda globale nell’informazione digitale”.

Il gruppo FT comprende il Financial Times e il suo sito internet, il 50% della rivista Economist e una jointventure in Russia con il quotidiano Vedomosti. L’operazione, che potrebbe essere chiusa da qui a fine anno, l’immobile del FT sul fiume Tamigi nel cuore di Londra.

Mentre appare ormai chiaro che, sebbene si dicesse diversamente, anche la metà dell’Economist finirà sul mercato.

 

Secondo Pearson, nel 2014 FT Group ha contribuito al fatturato con 334 milioni di sterline e con 24 milioni all’Ebitda.

A inizio della scorsa settimana, l’agenzia Bloomberg, senza citare le fonti, aveva scritto che se l’operazione fosse andata in porto, il quotidiano britannico, che distribuisce ogni giorno 720 mila copie (cartaceo e digitale) poteva essere stimato fino a 1,44 miliardi di euro.

L’edizione online del FT rappresenta il 70% della sua distribuzione totale dopo aver superato nel 2012 quella cartacea.

La metà degli accessi alla versione digitale si fanno dall’app mobile. Questo passaggio verso il digitale è considerato come un successo dagli analisti anche se il FT soffre della concorrenza dei siti gratuiti di notizie economiche e fa fatica a imporsi negli USA.

Due anni fa, Pearson aveva formalmente smentito le informazioni che parlavano di una possibile vendita del Financial Times al magnate Rupert Murdoch e all’emirato di Abou Dhabi per 1,2 miliardi di dollari (1,11 miliardi di euro).

Oggi le cose sono cambiate, è evidente, e questa estate potrebbero esserci altre sorprese.

Exit mobile version