5G ITALY

Il modello di ricerca nazionale italiana è in linea con gli obiettivi attesi dall’Europa nel suo Piano Strategico?

di Antonio Sassano, Università Sapienza, presidente della Fondazione Bordoni |

L’Italia è in grande ritardo in materia di R&D rispetto al PIL e di finanziamento della Ricerca Pubblica rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea. Come fare a guadagnare terreno?

Di seguito l’intervento di Antonio Sassano, professore ordinario di Ricerca operativa alla Sapienza e presidente della Fondazione Ugo Bordoni, alla conferenza internazionale 5G Italy organizzata dal CNIT in corso a Roma il 30 novembre e il 1° dicembre 2022.

Nel Piano Strategico Europeo 2020-2024 per la ricerca spiccano due temi che sicuramente saranno al centro dei dibattiti al convegno 5G-Italy: la transizione verde e quella digitale. A questi due temi saranno dedicati gran parte dei finanziamenti per ricerca della Comunità Europea e in particolare di New Generation EU. Gli obiettivi del Piano Strategico sono molti ma in questa occasione voglio fissare la mia attenzione su due KPI che mi sembrano assolutamente decisivi e molto legati al nostro incontro di oggi: La percentuale di Piccole e Medie Imprese (SME) (10-249 dipendenti) che hanno introdotto almeno una innovazione digitale di prodotto o di processo (Intelligenza Artificiale, Blockchain, Sistemi distribuiti etc.) e la percentuale del Prodotto Interno Lordo destinato alla Ricerca Scientifica ed Applicata (R&D). Per il primo si parte da una baseline 2016 europea del 34% e l’obiettivo del 2024 è incrementare questo valore. Per la seconda il target 2024 è del 3%.

L’Italia è in grande ritardo rispetto ad entrambi gli indicatori (la nostra percentuale di R&D rispetto al PIL è dell’1.5% (contro il 3.1% della Germania) mentre la percentuale per il solo finanziamento della Ricerca Pubblica (dove si fa il 90% della ricerca di base) è dell0 0.7% (tenendo conto del PNRR) contro l’1% della Germania. Il ritardo delle PMI ancora più grave. Anche l’e-commerce che dovrebbe essere  la killer application delle nostre piccole imprese nell’era digitale è al 17.5%, sotto la media europea del 25%. Questo è ancora più grave per l’Italia se consideriamo la grande base di PMI del nostro Paese.

Il punto è se lo sforzo congiunto delle politiche europee e del PNRR ci consentiranno di raggiungere o almeno di muoverci con decisione verso il raggiungimento di questi obiettivi europei. Ci sarebbero molte questioni da affrontare per rispondere in modo compiuto e costruttivo a questa domanda. Io mi limiterò a rispondere ad una questione che giudico decisiva per affrontare in modo competitivo le sfide europee. La questione strutturale.

L’attuale modello di ricerca nazionale italiana è adatto al conseguimento degli obiettivi attesi dall’Europa nel suo Piano Strategico?

Partirei da questa domanda: Difficile da dire in pochi minuti quale sia il modello della Ricerca nel nostro Paese ma credo siamo tutti d’accordo su queste tre caratteristiche strutturali:

  1. La ricerca fondamentale è svolta quasi esclusivamente dalle strutture pubbliche (prevalentemente Università e CNR).
  2. Le applicazioni della ricerca fondamentale trovano motivazioni e finanziamenti nelle aziende più grandi e molto poco nelle PMI. A questo proposito va detto del grandissimo fermento delle nostre Startup (piccolissime imprese direi). Rilevabile nel fenomeno delle 700 aziende Accellerator dell’European Innovation Council. Si tratta di un fenomeno di grandissimo interesse ma che, a mio avviso, è strettamente legato alla capacità della nostra Università di dare linfa a queste startup. Dunque legato al punto 1.
  3. Non esiste una struttura che istituzionalmente colleghi la ricerca fondamentale con la ricerca applicata e industriale. Non esiste cioè un equivalente degli Istituti Fraunhofer tedeschi. Questa carenza è un elemento di grande debolezza per il nostro Paese. Considerate che i Fraunhofer hanno una sede permanente a Bruxelles per monitorare .. e dare forma ai progetti di R&D Europei.

Se siamo d’accordo su questi tre punti ora proverò a dire per quale motivo questa struttura del nostro modello nazionale di ricerca non è adatto ad affrontare ad armi pari con gli altri Paesi europei (ed in particolare con la Germania) la sfida sul raggiungimento degli obiettivi del Piano Strategico Europeo 2020-2024.

L’innovazione nel settore digitale e nella rivoluzione verde (qualcuno le chiama sempre più spesso le “Twin Technologies”) non si muove secondo le logiche dei settori scientifico disciplinari che caratterizzano la parte migliore della nostra ricerca fondamentale (Universitaria). Un esempio che ci interessa direttamente: La ricerca nel settore delle Telecomunicazioni utilizza solo marginalmente le novità scientifiche che emergono nel mondo dell’Intelligenza Artificiale e dell’Ottimizzazione eppure le reti (in particolare le reti “verdi”) hanno bisogno di questi strumenti per essere progettate e, sempre di più, per funzionare (si pensi alle le reti 5G “intelligenti”). Non è possibile che un esperto di Telecomunicazioni non sappia nulla di Modelli di Apprendimento Automatico o di Ottimizzazione. E, viceversa, non è possibile che gli ingegneri informatici e gli esperti di intelligenza artificiale ignorino il funzionamento delle reti che trasportano e rendono disponibili i dati sui quali i loro algoritmi lavorano.

Eppure è così che funziona la Ricerca Fondamentale nel nostro Paese. Per silos.

Notate bene, l’effetto non è solo sulla qualità della produzione scientifica ma anche sulla produzione di esperti (o come dice qualcuno, di “talenti”). Se non produciamo ingegneri di telecomunicazioni esperti di ottimizzazione e AI o non produciamo ingegneri informatici esperti di 5G non avremo mai nell’industria gli interlocutori per l’innovazione di prodotto e di processo che l’Europa ci chiede.

Dunque a fronte di una generica domanda di innovazione digitale (il 90% delle PMI si dicono pronte ad attuarla) il nostro Paese non riesce a trasferire (se non con startup con radici universitarie) la produzione scientifica che, con grande abnegazione e fatica e con finanziamenti limitati riesce a mettere in campo.

A questo punto interviene il punto 3. Ovvero la mancanza di istituzioni di trasferimento come il Fraunhofer. Esistono strutture indipendenti (o parzialmente indipendenti) dall’Accademia che cercano di realizzare in settori limitati e molto focalizzati il trasferimento del quale ci sarebbe molto bisogno. Istituzioni che tentano di mettere in contatto PMI e Pubblica Amministrazione con le innovazioni della tecnologia. Penso alla Fondazione Bruno Kessler e alla nascente Fondazione su AeroSpazio e Intelligenza Artificiale di Torino e in piccolo a noi della Fondazione Bordoni. Potrebbero andare in questa direzione i centri di competenze come quelli che stanno nascendo in molte regioni italiane. Ma tutto questo avrebbe bisogno di una politica di coordinamento e di un centro motore potente e competente come quello costituito dai FraunHofer .. che intanto hanno aperto una sede a Bolzano.

Il PNRR può contribuire a migliorare questa situazione?

Certamente si! E le Fondazioni Serics sulla Cybersecurity e Restart nel settore delle Telecomunicazioni (delle quali la Fondazione Bordoni fa parte) sono ottimi esempi di possibili istituzioni dove sviluppare di collaborazione tra ricerca pubblica e settore privato. Non voglio essere troppo ottimista, ma vedo in queste fondazioni gli embrioni che potrebbero dar vita a qualcosa di equivalente agli Istituti Fraunhofer.