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Il marketing digitale che si può fare su Spotify

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Da tenere d'occhio l'importante investimento che Spotify sta mettendo in campo sui contenuti originali dei podcast, in diretta concorrenza con Amazon Audible e, in Italia, con Storytel.

Vorticidigitali è una rubrica settimanale a cura di @andrea_boscaro promossa da Key4biz e www.thevortex.it. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Non c’è dubbio che nei libri di scuola del futuro sarà fatta menzione di Spotify, la realtà che più compiutamente ha saputo innovare e trasformare radicalmente non solo il settore della discografia, ma i comportamenti legati all’ascolto della musica e, a tendere, la fruizione di contenuti audio: da tenere d’occhio a questo proposito l’importante investimento che Spotify sta mettendo in campo sui contenuti originali dei podcast, in diretta concorrenza con Amazon Audible e, in Italia, con Storytel.

Per ragionare di marketing digitale su Spotify occorre però partire proprio dal cambiamento dei comportamenti che ha saputo incentivare ed in particolare dalla centralità, nel suo modello, delle playlist che hanno sostituito l’album come modo della fruizione della musica: sono le playlist ad essere ascoltate, è grazie alle playlist che vengono scoperti nuovi autori e nuovi brani, è sulle playlist che Spotify ha incentrato il suo modello di business perchè capaci di profilare gli interessi degli ascoltatori e quindi meglio sponsorizzabili (es. le due playlist proprietarie Release Radar o Discover Weekly).

Qualche strumento per capire meglio questo mondo:

  • Spotify.me per osservare che gusti musicali ci vengono attribuiti e che tipo di ascoltatori quindi siamo;
  • Spotontrack per tenere d’occhio le classifiche delle playlist per generi e per Paesi;
  • Soundplate per analizzare le playlist sulla base di criteri quali la “danceability” o la “speachness” dei brani da cui è composta;

Il mondo di Spotify è però molto più ampio. Se l’offerta pubblicitaria della piattaforma è il lato b dei sempre più ricavi prodotti dagli abbonamenti, vi è però anche una componente commerciale non pubblicitaria dietro le playlist: aziende come Indiemomo, Filtr (della Sony), Digster (della Universal) hanno creato e gestiscono ascoltatissime playlist e se ne servono per lanciare nuove band o offrire servizi di raccomandazione agli autori.

Spotify è infatti una “classica” piattaforma digital, capace di trasformare un settore e offrire nuovi strumenti di lavoro a nuovi attori per mantenere viva una passione che, più di un tempo, è a disposizione di tutti.