Previsioni Ovum

Digital media company, 7 cose da fare nel 2017

di |

Da Facebook a Netflix passando per i broadcaster tradizionali alle app di messaggistica. Le previsioni di Ovum sul futuro del mercato dei media digitali.

Ora che anche Mark Zuckerberg ha ammesso che Facebook è una media company e con la guerra dell’audience che si infiamma di pari passo con la battaglia pubblicitaria, vale la pena riflettere sulle priorità delle digital media company nel 2017 e oltre. L’analisi e le previsioni di Ovum partono da una domanda: quali sono le qualità necessarie ad una digital media company per attrarre spettatori e pubblicità? Un quesito per nulla accademico, che riguarda sia le aziende tech sia i content provider, senza dimenticare le telco, sempre più agganciate al treno digitale.

Un work in progress quello di Ovum, su quello che le imprese dovrebbero fare per avere successo nei media digitali:

 

  1. Aprire il portafoglio: i contenuti Premium sono necessari per migliorare l’ARPU

Facebook ha costruito una audience enorme e in crescita – secondo previsioni di Ovum supererà i 2 miliardi di utenti attivi al mese nel 2017 – sfruttando contenuti a buon mercato o gratuiti, in larga misura creati dagli utenti. Anche se fa la parte del leone in termini di ricavi nel segmento della pubblicità digitale, l’ARPU del social network (circa 11 dollari per ogni utente nel 2015) è piccolo rispetto a quello delle media company vere e proprie, come Sky, che nello stesso periodo ha generato un ARPU medio per utente di 715 dollari all’anno. C’è da dire che Sky nel 2015 ha speso 6,5 miliardi di dollari per l’acquisto di diritti garantendosi così entrate future dalla sua attività media.

Cosa farà Facebook in futuro? Sarà mai disposto a investire di più al di là delle piccole somme destinate alla realizzazione del format del video breve? Facebook vuole accaparrarsi una fetta della torta pubblicitaria televisiva, ma senza investimenti in contenuti capaci di attrarre gli inserzionisti dovrà faticare molto, perché l’enorme base utenti non basta.

E’ vero che film e sport stanno perdendo un po’ della forza che li hanno resi le armi più forti del successo e del predominio di Sky, ma l’appetito degli spettatori per le grandi serie Tv (Game of Thrones, Sherlock, The Crown) è più forte che mai.

Ed è per questo che gli investimenti in contenuti originali sono alla base di business model molto diversi fra loro: Apple ha da poco annunciato che intende investire in nuovi contenuti per migliorare il suo servizio Apple Music; l’investimento di BT nei diritti del calcio per la Premier League è finalizzato ad aumentare la sua base clienti broadband; Amazon Prime Video è uno strumento per premiare e incoraggiare gli acquisti degli acquirenti fedeli; infine, Netflix è focalizzato su un business soltanto su abbonamento. Il video content è un bene scarso e costoso, ma di certo è un asset necessario per qualunque media company che aspiri a creare ricavi significativi, indipendentemente dal suo modello di business.

2. Fattore social: comunicazione e contenuti sono ormai inseparabili

La capacità di comunicare è alla base del successo dei social media e al centro dell’offerta delle telco. Ma il matrimonio di social e fruizione dei contenuti non funziona (leggere tweet sul televisore mentre guardi un programma tv? No grazie). Ma nonostante ciò in futuro l’offerta televisiva avrà nel suo cuore la comunicazione fra amici, fra creatori di contenuti, brand e audience.

graf1.jpg

E’ per questo che secondo le previsioni di Ovum le app di messaggistica come Snapchat potranno assumere un ruolo di primo piano nell’ecosistema dei media, abbandonando il ruolo di semplice piattaforma di comunicazione, valorizzando l’aspetto centrale del content; secondo la società di analisi, Snapchat è quella meglio posizionata per generare in futuro ricavi dall’attività media. Il fatto che l’ex Ceo di Sony Entertainment sia il presidente di Snap Inc. è un chiaro indicatore di dove vuole andare a parare.

3. Essere creativi: la pubblicità deve aggiungere appeal e non un peso necessario

 

Le pubblicità devono essere sexy, come quelle delle riviste cartacee, e non come quelle che si vedono sugli smartphone e che sono oggi vittime dei software di ad-blocking. Format intelligenti e target mirati possono far decollare l’advertising digitale.

Il modello può essere Snapchat, con l’idea di ricompensare in qualche modo i consumatori online e non soltanto di interromperli. Ad esempio offrendo dati gratis e sconti in cambio della loro attenzione.

L’allarme del fondatore di Medium, secondo cui il business model della pubblicità online è distrutto completamente, è forse esagerato però di certo va ripensato in qualche modo. Se il tuo business dipende dalla pubblicità (anche se per molti business nei media non è così, basti pensare alla BBC a Netflix o a Spotify Premium, che non hanno pubblicità) l’obiettivo è renderle divertenti, educative, informative e rilevanti.

4. Essere trasparenti: senza fiducia non c’è futuro

 

Le tech company come Facebook stanno finalmente comprendendo il fatto che sono delle media company. Usano i contenuti per costruire le audience, per poi monetizzarle tramite la pubblicità. Il fatto di aver negato per troppo tempo di essere delle media company dipende in primo luogo da timori di carattere regolatorio e dalla paura di assumere nuove responsabilità. La presa di posizione di Facebook contro le fake news è un’assunzione di responsabilità di fronte agli utenti: i consumatori, sia che si tratti dell’acquisto di un sapone in polvere o delle news (come su Facebook) devono potersi fidare del fornitore. Soprattutto nell’era della post verità questo assunto è fondamentale.

 

5. Semplifica le cose: controllare la distribuzione,  semplificare l’accesso

Gran parte del successo di Netflix dipende dalla semplicità di accedere al servizio. Rendere i suoi contenuti disponibili su ogni tipo di device e l’accordo strategico con diversi fornitori di contenuti è stata la chiave del successo. Tutto il contrario rispetto al modello di business di diverse media company che pensano prima ad impedire l’accesso ai suoi contenuti piuttosto che a semplificarlo.

 

6. La user experience resta un problema, soprattutto per la TV

 

Per l’utente nella giungla dell’offerta televisiva (free, on demand, streaming, pay, online ecc) la scelta del programma da guardare è sempre più complessa. Fra diversi telecomandi e device, dal TV al tablet al pc, trovare e poi scegliere e guardare il programma preferito – un utente può essere contemporaneamente abbonato Netflix, Amazon Prime e HBO – non è semplice. Secondo Ovum, chi riuscirà a centralizzare l’offerta televisiva, magari attraverso l’intelligenza artificiale e il comando vocale, per aiutare lo spettatore a scegliere il programma che vuole vedere nell’orario che preferisce prenderà il comando del salotto di casa. La pirateria è un problema enorme, ma l’utente che spegne e se ne va è una minaccia molto più grande.

7. Nuovi flussi di ricavi: l’eCommerce può salvarti

 

L’idea che il consumatore online non sia disposto a spendere per i contenuti digitali è superata, basta considerare la popolarità raggiunta da Spotify e Netflix o il fiorire degli acquisti in-app per l’upgrade dei game. Il prodotto giusto sul device giusta al momento giusto può vendere bene anche online. La vendita diretta al consumatore sta diventando un’opzione percorribile. Tanto più che i pagamenti mobili, l’intelligenza artificiale e i digital assistant sono sempre più presenti nelle nostre case. Il concetto della pubblicità che rimanda all’acquisto in negozio è un po’ trita ormai.