l'analisi

Digital Crime. Cosa non convince del Ddl sul cyberbullismo

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

Il Disegno di legge Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, approvato alla Camera il 20 settembre ed ora rinviato al Senato per l'ultima lettura, ha suscitato numerose critiche.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca quiper leggere tutti i contributi.

Il Disegno di legge Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, approvato alla Camera il 20 settembre ed ora rinviato al Senato per l’ultima lettura, ha suscitato numerose critiche.

In primo luogo, da più parti si osserva come il testo abbia accolto l’impostazione secondo la quale il fenomeno non riguardi solo i minorenni e di fatto stravolga l’idea di fondo che era quella di proporre soluzioni adeguate per soggetti, autori e vittime, non ancora psicologicamente mature. Sotto tale punto di vista venivano viste con maggior favore quelle proposte di legge che tendevano a circoscrivere il fenomeno del bullismo all’ambito minorile e che piuttosto di prevedere sanzioni penali optavano per   misure di contrasto, nonché per  presidi educativi .

Per altro verso, non convincerebbe la scelta di sanzionare penalmente il cyberbullismo attraverso una modifica del reato di atti persecutori ( art.6 bis, primo comma lettera b ), riferito a condotte simili,  ma realizzate in un contesto sensibilmente differente.

Inoltre, viene criticata la possibilità, su iniziativa del minore ultraquattordicenne, di ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore, di chiedere attraverso apposita istanza al gestore del sito internet o del social media di oscurare, rimuovere o bloccare i contenuti diffusi in rete, ottenendo comunque l’oscuramento rivolgendosi al Garante della privacy qualora il gestore non abbia provveduto entro le 24 ore successive al ricevimento dell’istanza stessa (art. 2).

Si lamenta  segnatamente che tale previsione possa condurre a forme di censura “mascherata”, atteso che si potrebbe ottenere l’oscuramente ogni qualvolta il contenuto immesso, anche derisioni aventi ad oggetto la lingua, l ’opinione politica ecc.,  abbia suscitato nell’interessato una forma di ansia, timore o senso di isolamento. Non convince, infatti, l’assenza di un criterio oggettivo sul quale basare la fondatezza dell’istanza di rimozione o oscuramento, che potrebbe condurre, secondo alcuni, ad una limitazione della libera manifestazione del pensiero.

In linea di massima è da condividere l’attuale impostazione secondo la quale il fenomeno del bullismo non riguardi solo i minori, in quanto i continui fatti di cronaca testimoniano  come sovente minorenni siano le vittime e non gli autori delle condotte.

Per quanto concerne l’ambito penale non convince, invece, l’idea di sanzionare il cyberbullismo con una nuova disposizione all’interno del reato di atti persecutori, fattispecie creata per disciplinare un contesto differente.

Il legislatore, infatti, avrebbe potuto non legiferare in materia, considerando  le condotte di bullismo e cyberbullismo già punibili attraverso i comma 1 e 2 dell’art.612 bis, o ritenere tali disposizioni inadeguate, scelta più corretta, prevedendo apposita norma distinta da quella prevista per il reato di stalking.

Stando al disegno di legge ci si è orientati,invece, per una “via di mezzo”, demandando la protezione dalle condotte di bullismo alla fattispecie base degli atti persecutori, per poi invece prevedere una ipotesi specifica e minuziosamente descritta per il cyberbullismo.

D’altra parte, il terzo comma aggiunto dal disegno di legge in commento, potrebbe porre problemi interpretativi, considerando che prevede due ipotesi, una direttamente riconducibile agli atti persecutori realizzati per via telematica “la pena è della reclusione da uno a sei anni se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici” , l’altra riferibile al cyberbullismo “la stessa pena si applica se il fatto è commesso utilizzando tali strumenti mediante la sostituzione della propria all’altrui persona e l’invio di messaggi o la divulgazione di testi o immagini,ovvero mediante la diffusione di dati sensibili,immagini o informazioni private, carpiti attraverso artifici, raggiri o minacce o comunque detenuti,o ancora mediante la realizzazione o divulgazione di documenti contenenti la registrazione di fatti di violenza e di minaccia”.

In particolare si avverte il rischio che la formulazione della norma possa portare a ritenere penalmente rilevante il singolo atto indicato dalla disposizione, esempio la diffusione di immagini private, senza richiederne, come accade invece per gli atti persecutori, la reiterazione. Tale interpretazione potrebbe essere favorita anche dalla definizione di cyberbullismo fornita dal comma 2 bis art.1 secondo cui, a differenza di quanto descritto con il comma 2  per quanto concerne il bullismo, tale si intenderebbe  “qualunque comportamento o atto, anche non reiterato….”.

Orbene, partendo dalla considerazione che le definizioni di bullismo e cyberbullismo introdotte dall’art.1 comma 2 e 2 bis valgono non ai fini penalistici, ma esclusivamente per circoscrivere l’ambito che giustifica l’istanza al gestore del sito o al garante ed i provvedimenti di carattere amministrativo, è da auspicare che gli organi giudicanti ritengano sussistente il delitto solo laddove si registri una reiterazione della condotta .

Quanto alla previsione di una procedura idonea ad eliminare immediatamente i contenuti dannosi, se la stessa è in linea di principio da accogliere con favore, da un punto di vista pratico può comportare effettivamente forme di censura posto che il gestore del sito per timore di sanzioni pecuniarie o di essere trascinato un contenzioso possa essere “costretto” a rimuovere un contenuto a prescindere dalla fondatezza della richiesta avanzata a riguardo.

Inoltre, ed in questo potrebbero aver ragione i sostenitori di una legge concentrata esclusivamente sui minorenni, l’estensione della normativa agli adulti potrebbe comportare, per il numero delle richieste, una paralisi dell’attività del Garante e, quindi, rendere inefficace la misura prevista.