Visti da vicino

Democrazia Futura. Quando Giorgio Manganelli neo-avanguardista del Gruppo 63 mi impose di rileggere I Promessi Sposi…

di Licia Conte, giornalista e autrice radiofonica |

Una giornalista femminista ricorda un grande scrittore molto spiritoso, grande viaggiatore, amante e studioso della letteratura inglese.

Iniziamo la quarta e ultima parte del primo fascicolo di Democrazia futura dedicata alle rubriche con Visti da Vicino che propone un breve ritratto da parte di una giornalista femminista di quello che definisce “un grande scrittore molto spiritoso, grande viaggiatore, amante e studioso della letteratura inglese”: Licia Conte ricorda “Quando il dissacratore Giorgio Manganelli neo-avanguardista del Gruppo 63 mi impose di rileggere I Promessi Sposi […]. Quella volta fu severo con me – ricorda – e, io, colta in flagrante di un peccato di trascuratezza nei confronti del nostro grande scrittore, balbettai qualcosa. Rilessi i Promessi Sposi capii: grazie caro Giorgio”.

Licia Conte

Chi era Giorgio Manganelli per me? Direi un amico. Dico direi, perché tuttora mi interrogo sul perché mi abbia scelto come amica. Ne scrivo per questo con riluttanza, ma mi ha chiesto di farlo un amico di Democrazia futura e a lui mi riesce difficile dire qualsiasi no.

Ho conosciuto Manganelli sul finire degli anni Settanta. Un’amica comune mi invitò a cena nella sua bella casa a piazza del Popolo; vi andai e lo trovai lì. Allora facevo un programma alla radio e i talk, a Radio3 poi,  non erano così diffusi: nel mio piccolo facevo notizia e soprattutto faceva notizia ciò di cui parlavo con ospiti illustri, il neo femminismo.

Ero abituata a ricevere attenzioni da persone incuriosite di tutto ciò e non era in fin dei conti stupefacente che anche Manganelli fosse interessato a conoscere me e i miei temi. Mi stupì il seguito: qualche giorno dopo quella cena il mio direttore, Enzo Forcella, mi disse che Manganelli lo aveva pregato di mettermi in contatto con lui.

Tra il divertito e il preoccupato Forcella mi disse che un intellettuale come Manganelli era interlocutore importante di una rete come la nostra, dedicata alla cultura. Ma questo per me non ero un problema: da sempre ero abituata a trattare con deferenza i nostri collaboratori. Se necessario andavo nelle loro case per non obbligarli a passare da noi: ho un ricordo speciale della cucina immensa di Aldo Fabrizi, a casa di Andrea Camilleri in via Asiago ci sono andata più volte; era dietro l’angolo.

Nel caso di Manganelli però ero in forte imbarazzo perché non avevo un rapporto di lavoro con lui. Insomma, mi volle come amica? Ci riuscì. Un’amicizia appartata, durata fino alla sua morte. Parlavamo molto al telefono, mi portava talvolta a mangiare in un ristorante toscano nei pressi di Porta Pia, e talvolta ci invitavano insieme a cena alcuni amici comuni. Potevo parlargli di tutto, anche dei miei crucci e dei miei problemi.

Sono andata a trovarlo nelle due case in cui ha abitato nel corso di un decennio; in entrambe vi ho trovato Pinocchio in tutte le dimensioni e tanti libri.  È venuto anche lui da me nella casa che ancora abito. Mi raccontava dei suoi viaggi e io dovevo dirgli le mie impressioni sui reportage che ne faceva per i giornali. Talvolta, in quei racconti di terre lontane ci infilava riferimenti a cose che potevamo conoscere solo lui e io, per esempio qualche cenno al mio paese di origine.

Ho bisogno di dire quanto il Manga fosse spiritoso? Era tutto un fuoco di fila di battute e frizzi eleganti. Per me fu un Maestro. Amavo la letteratura inglese, ma lui me la insegnò di nuovo da cima a fondo, mi fece capire, se così posso esprimermi, la cultura di fondo di quei popoli. Ricordo con commozione una vera e propria lezione su Emily Brönte.

Ma il dono più grande me lo fece qui in questa casa. Una volta che era venuto a trovarmi, il dissacratore ed esponente di spicco del gruppo ’63 e della neo avanguardia, mi chiese a bruciapelo che cosa sapevo di Alessandro Manzoni. “Da quanto tempo non leggi i Promessi Sposi?”.

Quella volta fu severo con me e io, colta in flagrante di un peccato di trascuratezza nei confronti del nostro grande scrittore, balbettai qualcosa. Rilessi I Promessi Sposi e capii: grazie, caro Giorgio.

Nel 1990 lavoravo a Televideo e passavo spesso con la mia auto sotto la sua casa. Una mattina vidi là sotto un’autoambulanza, mi impensierii, ma poi mi dissi: che vai sempre a pensare… Giunta nella redazione ampia e piena di scrivanie di Televideo, vidi su tutti gli schermi l’Ultim’ora: È morto Giorgio Manganelli.

Scoppiai a piangere. Ai colleghi che mi si erano fatti intorno spiegai che avevo ricevuto una brutta notizia da casa.