Letterature e storia

Democrazia Futura. L’ultimo dispositivo di trama e il fattore M.

di Fabrizio Ottaviani, critico letterario, accademico e scrittore |

Perché raccontare il Duce, le sue gesta e i suoi discorsi rimane garanzia di successo letterario.

Democrazia futura propone un lungo pezzo di Fabrizio Ottaviani “L’ultimo dispositivo di trama e il fattore M.” per le Cronache webletterarie del Bel Paese, che – facendo riferimento non solo alla trilogia avviata da Antonio Scurati ma anche ad altre opere curate da Gianfranco De Turris, Igor Patruno e da ultimo sul versante del giornalismo da Bruno Vespa – ci spiega “Perché raccontare il Duce, le sue gesta e i suoi discorsi rimane garanzia di successo letterario”: “A differenza del mondo tedesco, dove il nazismo ha subito prima una rimozione, poi negli anni Sessanta un’elaborazione del lutto forzata, infine una neutralizzazione prodotta dal trionfo della società postmoderna, e dove tutto è stato collettivo, in Italia – chiarisce subito Ottaviani – il fascismo è una questione di famiglia e come tale ha saputo trovare i suoi adepti postumi fra le foto in bianco e nero incollate allo specchio e qualche cimelio arrugginito nei cassetti. ”La seconda spiegazione chiama in causa una nostalgia di tipo diverso, qualunquista ed esteriore, legata agli aspetti superficiali del regime di Mussolini. Sarebbe facile osservare, per esempio, che nelle librerie piovono romanzi storici ambientati anche durante l’età giolittiana, nel secondo dopoguerra, al tempo dei mille di Garibaldi ecc. e che dunque, statistica a parte, la propensione al vintage non ha colore politico e in essa l’ideologia gioca un ruolo secondario. Nostalgici oggi di Benito Mussolini, domani di Iosif Stalin, dopodomani di chissà chi. E tuttavia lo Strega l’ha vinto un’autobiografia mentale immaginaria di Mussolini, non di Francesco Crispi”.

Fabrizio Ottaviani

La vittoria nel 2019 del Mussolini di Antonio Scurati (1) (M. Il figlio del secolo) al premio Strega, agone largamente screditato dal punto di vista letterario e tuttavia importante polo di attrazione del radicalismo laico, liberale e terzoforzista merita alcune osservazioni, se non altro perché il fenomeno editoriale dei romanzi ambientati al tempo del Ventennio è diventato via via più evidente.

La copertina di M (la grafica è un tripudio di stile monumentale e mette soggezione al lettore incapace di ironizzare sulla magniloquenza del lettering) è solo, per ora, il punto culminante di una linea ascendente. Altri esempi del medesimo genere sono facili da rintracciare. Una lista per nulla esaustiva potrebbe includere il volume collettaneo di ucronie Fantafascismi curato da Gianfranco De Turris, uscito nel 2018 (2); il bel libro di Igor Patruno sulla guerra civile spagnola Sotto il cielo di Spagna (3), del 2019; infine, sul versante del giornalismo, il recente libro di Bruno Vespa Perché l’Italia amò Mussolini (e come è sopravvissuta alla dittatura del virus) (4). I volumi hanno venduto, M (che fra l’altro è il primo tomo di una trilogia) è stato un bestseller e quanto al libro natalizio di Vespa, nessuno dubita che seguirà lo stesso destino.

Antonio Scurati

Le tre ragioni del successo letterario del fattore M.

La ragioni di un simile successo, abilità degli scrittori a parte, sono varie. Naturalmente i romanzi ambientati al tempo del fascismo solleticano lettori nostalgici di un’epoca che essi certamente non hanno vissuto, ma che è stata loro raccontata da una catena di nostalgici in senso stretto, una linea che risale lungo le generazioni e che in Italia ha sempre goduto di una certa saldezza. Il filo che di nonno e zio in nipote va dal presente al Ventennio ha sempre saputo svolgersi nel migliore dei modi, per cui non c’è praticamente nessuno al quale una cima di quel filo non sia stata porta. A differenza del mondo tedesco, dove il nazismo ha subito prima una rimozione, poi negli anni Sessanta un’elaborazione del lutto forzata, infine una neutralizzazione prodotta dal trionfo della società postmoderna, e dove tutto è stato collettivo, in Italia il fascismo è una questione di famiglia e come tale ha saputo trovare i suoi adepti postumi fra le foto in bianco e nero incollate allo specchio e qualche cimelio arrugginito nei cassetti. Che poi questi giochetti regressivi dettati, più che altro, dall’insipienza politica producano degli effetti elettorali e gratifichino partiti non fascisti, ma dai tratti indubbiamente fascistoidi, è un’altra questione. Intanto, non è escluso che qualcuno abbia acquistato il libro di Scurati per questi motivi.

La seconda spiegazione chiama in causa una nostalgia di tipo diverso, qualunquista ed esteriore, legata agli aspetti superficiali del regime di Mussolini. Sarebbe facile osservare, per esempio, che nelle librerie piovono romanzi storici ambientati anche durante l’età giolittiana, nel secondo dopoguerra, al tempo dei mille di Garibaldi ecc. e che dunque, statistica a parte, la propensione al vintage non ha colore politico e in essa l’ideologia gioca un ruolo secondario. Nostalgici oggi di Benito Mussolini, domani di Iosif Stalin, dopodomani di chissà chi. E tuttavia lo Strega l’ha vinto un’autobiografia mentale immaginaria di Mussolini, non di Francesco Crispi.

Un terzo modo di avvicinare il tema potrebbe alludere all’inclinazione maledettista per l’innominabile, al gusto di giocare con il proibito e con il politicamente inaccettabile. Una pulsione che brontola in quei tentativi di ristampare opere di autori legati ai regimi più disgustosi, e magari ai loro momenti peggiori, con il pretesto che si tratta pur sempre di opere d’arte.

Una variante socialmente più accettabile di questo gusto per il proibito si ha quando ci si compiace di pubblicare opere politicamente dubbie (spesso si tratta di lavori giovanili) di autori divenuti poi ideologicamente rispettabili; oppure, con gusto smascherante e per il mutamento di prospettiva, di opere che sottolineano gli aspetti progressisti, socialisti e anticlericali di movimenti autoritari, nella speranza che la sineddoche per una volta cada dal lato auspicato: affinché, tanto per fare un esempio, dell’impresa di Fiume si ricordi non l’atto di brigantaggio internazionale in cui consistette, ma quell’articolo della Costituzione del Carnaro indubbiamente avanzato o la cornice anarcoide e di “zona temporaneamente autonoma” in cui si volse. Immaginate il brivido del lettore progressista quando lascia cadere nella busta Feltrinelli quella grossa, lucida M che campeggia sulla copertina, stampata nella più erotica delle cinquanta sfumature di nero.

Nell’ultimo numero di Nuovi argomenti, Emanuele Trevi riporta un ricordo di Alberto Arbasino che merita di essere segnalato: alla notizia che Trevi avrebbe voluto curare la ristampa di uno scrittore notevole, ma politicamente ignobile, l’autore di Fratelli d’Italia reagì censurando nettamente la disinvoltura con la quale alcuni giovani scrittori a lui noti flirtavano con le opere fuoriuscite dal mondo dell’estrema destra (5). E’ opportuno notare che per un singolare concorso di cause (non irrilevante) almeno la biografia degli autori non permette il ricorso alle ipotesi sopra elencate. Vespa si avvantaggia dell’attrazione del lettore per il nome di Mussolini, ma è un centrista privo di fantasie antidemocratiche. Per gli autori del volume collettaneo bisognerebbe fare un discorso diverso per ognuno di essi, cosa qui evidentemente impossibile.

La posizione ideologica di Igor Patruno e quella più oscura di Antonio Scurati

Molto interessante è la posizione ideologica e filosofica di Patruno: cresciuto nel fiume composito del movimento sessantottino, giornalista di inchiesta e dinamico promotore di cultura vicino alla sinistra di Nicola Zingaretti, l’autore di Sotto il cielo di Spagna mette al centro del suo romanzo storico un giovane fascista atipico e malinconico di medio cabotaggio, ma lo apre con il medesimo personaggio che ormai vecchio, giunto al termine della sua parabola, riflette sull’intervista rilasciata da Heidegger al settimanale tedesco Der Spiegel – “Ormai solo un dio ci può salvare…” (6) – palesando interessi di teologia politica. Per il protagonista, minacciato da un mal di vivere che è quanto di più lontano si può immaginare dalla pragmatica temperie fascista, assistere allo scontro fra repubblicani e franchisti conferma la tesi di Martin Heidegger: non il conflitto fra democrazia e totalitarismo, ma il nichilismo – l’oblio dell’essere, se si preferisce – è alla radice della peggiore forma di disumanizzazione e dunque anche della strage spagnola, dalla quale si ritrae inorridito come l’angelo della storia di Walter Benjamin (7). Posizione netta, dunque, sebbene stranamente non percepita da chi ha visto in quel romanzo, per lectio facilior, la descrizione di uno scontro fra buoni e cattivi.

E Scurati? Qui la situazione si fa confusa, a meno che non sia fin troppo chiara. In un veemente pamphlet di qualche anno fa spacciato per saggio accademico, La letteratura dell’inesperienza, Scurati ha manifestato le sue convinzioni. Il succo di tali convinzioni è anti-moderno, o, se si considera la Modernità come un’epoca ancora legata a un’idea forte di scienza e di progresso, anti-postmoderno. Per Scurati, la realtà boccheggia. Viene da pensare alle prime pagine di Fiesta di Ernest Hemingway, con lo scrittore ebreo Robert Cohn che seduto a un tavolino di bistrot dice: “temo che stiamo perdendo la vita” e quando il protagonista, con un sarcasmo che sottolinea l’inanità e la puerilità di simili rovelli, risponde che la vita in effetti la perdiamo tutti, non capisce. Ora, fermiamoci un istante. La “reazione” è proprio questo, la pulsione verso un fundamentum inconcussum, ovvero verso un solido fondamento scientifico, politico, metafisico. Reazionario non è il desiderio di scampare al nichilismo (si può scampare al nulla compostamente, consolandosi con un culturalismo relativistico e rispettoso), ma il desiderio di sfuggirvi rifugiandosi in qualche nuova o vecchia caverna. In una sola caverna, però, indistruttibile ed eterna come le forme di Platone.

Questa nostalgia dell’eterno e dell’immemoriale è senz’altro “di destra”, ma beninteso è di destra anche il desiderio di ancorarsi a un sostrato considerato magari astorico, ma pur sempre particolare, come accade per esempio nell’idea di Francia che aveva Charles Maurras o nel mito della “Germania segreta” sviluppato nel Kreis, il Circolo fondato da Stefan George (8). E tanto per proseguire lungo questa linea: se è anche, anzi soprattutto la scienza (a partire da René Descartes) a cercare un fondamento stabilissimo, allora anche la Modernità è “di destra”, come hanno dimostrato Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer nella Dialettica dell’Illuminismo.

Fascismo quasi “liberale”. La tesi modernista contrapposta alle tre vulgate: reazione, rivelazione, parentesi

 Ma il fascismo, in questo gioco, che ruolo svolge? A differenza del protofascismo francese, il movimento creato da Mussolini è impegnato, soprattutto nella sua prima fase, in una strategia modernista, operazione sottolineata da alcuni studiosi (si va da Hannah Arendt a Gino Germani) che se tenuta nel dovuto conto conduce a una tesi da porre accanto alle letture tradizionali del fascismo come “reazione” (tipica della storiografia marxista), come “rivelazione” (è la tesi di Piero Gobetti) o come parentesi incomprensibile nella storia del liberalismo europeo (è il parere di Benedetto Croce, Stefan Zweig, Thomas Mann…).

Questo côté progressista avvicina il fascismo al liberalismo, dal quale si distingue per un aspetto. Mentre il liberalismo spinge al progresso attraverso un meccanismo economico privatistico, e se lasciato libero di correre si trasforma rapidamente in un regime che arricchisce solo pochi individui “particulari”, il fascismo è una forma politica dirigista e statalista. Entrambi i regimi sono fondati sulla volontà di potenza, ma mentre il liberalismo fomenta tale pulsione negli individui, il fascismo ne attribuisce il monopolio allo stato.

La terra ideologica che non appartiene a nessuno occupata da Antonio Scurati

Torniamo ora a Antonio Scurati. Ogni intellettuale, come ha mostrato Pierre Bourdieu (9), se vuole raggiungere il successo deve occupare il posto lasciato vuoto dai suoi omologhi, pena l’invisibilità. Qual è questa ideologica terra nullius, oggi, in Italia? L’area liberale, radicale, borghese e illuminista è occupata dagli intellettuali che fanno riferimento al quotidiano La Repubblica, una cittadella pressoché impenetrabile; il mondo cattolico e quello marxista attraversano un marcato declino che li rende impraticabili o praticabili solo da figure estremamente complesse, intellettualmente impervie, al centro magari di cerchie di ammiratori, ma non spendibili nella cultura di massa e difficilmente sfruttabili sotto forma di midcult. L’antropologia filosofica, quella che in Germania faceva capo a studiosi quali Helmuth Plessner, Arnold Gehlen e Hans Blumenberg, in Italia è una sterminata regione deserta sospettata di essere, per l’appunto, di destra. Come di destra, equivoco di straordinaria evidenza eppure mai denunciato, è riguardata l’antropologia culturale (da cui con qualche forzatura si potrebbe far discendere persino l’ermeneutica) che fa capo a Johann Gottfried Herder e che – a parte qualche simpatia nella sinistra terzomondista e slowfood – viene vista come fumo negli occhi da qualsiasi professore di liceo. La tradizione? Figuriamoci. Le tradizioni popolari? Peggio ancora.

A quanto pare, chi cerca un posto al sole rischia di finire in qualche riserva indiana, in qualche paradosso o nella falsa coscienza. Al paradosso è stato accostata una figura nota come Diego Fusaro; e altrettanto paradossale, con tratti di ambiguità, è la posizione intellettuale di Scurati. Ma Scurati è uno scrittore, non solo un opinionista, sicché diventa opportuno, per cominciare, osservare che in un’opera narrativa è essenziale (si chiamano Plot Devices, ovvero dispositivi di trama questi trucchi del mestiere) che il protagonista voglia qualcosa. Nei manuali di scrittura creativa (creative writing) e nelle riflessioni di legioni di semiologi della narratività si legge che è essenziale che il protagonista sia attivo, il che implica un contrasto sostanziale con il nostro presente dove non ci si dirige da nessuna parte – a parte verso l’inorganico, come una volta osservò, sinistramente, Sigmund Freud (10)-.

Non  è che magari, allora, del fascismo (sia detto con tutti i caveat del caso) attiri l’elemento prometeico-palingenetico-utopistico, lo stesso che il romanzo borghese sfruttava da un punto di vista meramente individuale?

Perché proprio il fascismo? Per una specie di soteriologia intramondana, ovvero il nulla, articolato

Questa ipotesi potrebbe essere sottoposta a una critica. Perché proprio il fascismo? Sono innumerevoli i progetti di palingenesi sociale delineati degli ultimi tre o quattro secoli, di ogni colore politico e religioso, basati su sogni di economisti e incubi di filosofi, deliri esotici e ambizioni estetizzanti. Non c’è nemmeno bisogno di scomodare i tanti intellettuali che hanno notato (di solito con un moto di scherno) che in Occidente, ogni venti o trent’anni, qualcuno si mette in testa che ci si può salvare e che addirittura ci si può salvare tutti insieme, in una specie di soteriologia intramondana. Perché Scurati sceglie proprio Mussolini? A metterci sulla traccia giusta potrebbe essere il fatto che nei racconti ambientati al tempo del Ventennio il regime fascista appare infaticabile, dominato da un terribile dinamismo. Verso cosa è diretto? Vediamo un po’: volontà di potenza internazionale, cura fisica del popolo italiano, bonifiche, colonie marine per combattere il gozzo, sport… Ambizioni di vario tipo, ma comunque di crescita, prokopè, progressio. In altre parole il nulla, articolato. Sommate il dinamismo a un progressismo nichilistico (il progresso è un fondale mobile, ha detto qualcuno) e avrete di fronte un’inarrestabile giostra anfetaminica che fa il verso e, nell’immaginario, concorrenza al liberalismo progressista in cui viviamo. Ipocrita lettore e soprattutto  mio simile, potrebbe esclamare la grande M che elucubra e progetta energicamente mondi vuoti nelle pagine di Scurati.

Note al testo

(1) Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Milano Bompiani, 2018, 841 p. Nel 2020 è uscito il secondo tomo della trilogia: Antonio Scurati, M. L’uomo della provvidenza, Milano, Bompiani, 2020, 656 p.

(2) Gianfranco De Turris (a cura di). Fantafascismi. Venti racconti di storia alternativa, Milano, Bietti, 2018, 454 p.

(3) Igor Patruno, Sotto il cielo di Spagna. Romanzo, Roma, Ponte Sisto, 2019, 520 p.

(4) Bruno Vespa, Perché l’Italia amò Mussolini (e come è sopravvissuta alla dittatura del virus), Roma, Milano, Rai Libri-Mondadori, 2020, 435 p.

(5) Emmanuele Trevi, “Arbasino sul Mekong”, Nuovi argomenti. LXVII (5) settembre dicembre 2020, pp. 116-123

(6) Risalente al 23 settembre 1966 l’intervista uscì dieci anni dopo nel settimanale di Amburgo. “Nur noch ein Gott kann uns retten. Der Spiegel, 13 maggio 1976. Vedila tradotta in: Martin Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare. Intervista con lo Spiegel, a cura di Alfredo Marini, Parma, Ugo Guanda, 1987.169 p.

(7) “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.” in Walter Benjamin, Angelus Novus- Saggi e frammenti, Torino Einaudi 1961, p. 80. Il manuscritto “Ankuendindigung der Zeitschrift: Angelus Novus”, è apparso per la prima volta nel secondo tomo in Walter Benjamin, Schriften. herausgegeben von Theodor W. Adorno und Gretel Adorno unter Mitwirkung von Friedrich Podszus. 2 Bände. Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1955. Poi in Angelus Novus. Ausgewaehlte Schriften 2, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1966, pp. 369-374.

(8) Fondato da Stefan George Ispirato alla Lebensphilosophie, Il George-Kreis cominciò a riunirsi nel 1892,retto da un complesso cerimoniale estetizzante e composto da soli uomini, studiosi e poeti, scelti da George stesso per affinità spirituale; inizialmente i membri erano suoi coetanei, trattati come pari, ma col passare degli anni il circolo muterà composizione e George sarà sempre più venerato come un maestro da discepoli molto più giovani di lui.

(9) Pierre Bourdieu, “Le fonctionnement du champs intellectuel”, Regards sociologiques, (17-18), 1999, pp. 5-17. Vedilo on line http://www.regards-sociologiques.fr/wp-content/uploads/2019/12/rs_17-18_1999_1_bourdieu.pdf

(10) Sigmund Freud, Al di là del principio del piacere (1920). Poi in Opere. Volume nono, 1917-1923. L’Io. L’Es e altri scritti, Milano, Boringhieri, 1977, pp. 189-249. Edizione originale Sigmund Freud, Jenseits des Lustprinzips, Wien, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, 1920, 60 p.