L'industria

Democrazia Futura. Nuovo cinema pugliese, istruzioni per l’uso

di Paolo Luigi De Cesare, poeta, autore radiofonico, audiovisivo e ideatore di format |

Vizi e virtù di un modello di promozione del territorio. L'audiovisivo italiano e quello europeo hanno bisogno di un grande recupero di competitività internazionale. C’è bisogno di tutti, anche delle Film Commission e dei Film Fund regionali. Ma occorre urgentemente un’armonizzazione.

Nel suo articolo per Democrazia futura “Nuovo cinema pugliese, istruzioni per l’uso” Paolo Luigi De Cesare analizza “vizi e virtù di un modello di promozione del territorio” diventato un fattore critico di successo. La comicità pugliese diventa un “fattore industriale”, nascono nuovi comici innescando un ciclo meritocratico. De Cesare torna sul ruolo strategico esercitato nei territori delle Film Commission e sull’importanza di finanziare anche quelle che non possono essere annoverate come Piccole e medie imprese. In conclusione De Cesare sottolinea come “L’audiovisivo italiano e quello europeo hanno bisogno di un grande recupero di competitività internazionale. C’è bisogno di tutti, anche delle Film Commission e dei Film Fund regionali. Ma occorre urgentemente un’armonizzazione. […] Tra i sostegni nazionali predefiniti e non occasionali alle Film Commission ci potrebbe essere anche la RAI? O essere la Rai co-protagonista di Poli Regionali dell’Audiovisivo? Lo stato attuale è che su diciassette Film Commission aderenti al coordinamento nazionale ben dodici sono Fondazioni di Partecipazione di diritto privato, non avrebbero quindi divieti istituzionali a entrare in quota nei film o partecipare a nuove Fondazioni o Consorzi” […]. Armonizzare e fare sistema è ancora urgente|”. 

Paolo Luigi De Cesare

E la Puglia vince lo scudetto dei Fondi Europei

Nei primi giorni di gennaio del 2021, nel pieno del dibattito sul Recovery Plan, viene pubblicata la graduatoria delle regioni Italiane, più virtuose, nello sfruttamento dei Fondi Europei. Ed è la Puglia al primo posto, sia in termini di percentuale che in termini di valori assoluti. Ma sul come le Regioni utilizzano i Fondi Europei, c’è stata sempre una scarsa attenzione dei grandi media. Il tema non fa mai parte del dibattito politico nei talk delle televisioni. Salvo, in alcuni casi, per utilizzare i dati come pretesto per sostenere luoghi comuni. La graduatoria si limita sempre alla percentuale dei Fondi spesi, o ai suoi valori assoluti. L’approfondimento su come quei fondi hanno moltiplicato il Pil, o creato reddito e lavoro, o ridimensionato la fuga dei cervelli, è sempre demandato alle riviste specialistiche, o articoli elitari su Il sole 24 Ore. Ogni Regione organizza la programmazione della spesa dei FESR Fonde Europei Sviluppo Regionale, attraverso degli assi. A volte 7 a volte 5.a volte 12, o si combinano con “sotto assi”. La Regione Lazio ha, per esempio 5 assi: Ricerca e innovazione (180 milioni di euro), Lazio Digitale (154,27 milioni) Competitività (276,4 milioni) Sostenibilità energetica e mobilità (176 milioni), Prevenzione del rischio idrogeologico e sismico (146 milioni) Assistenza Tecnica (36,395 milioni).

In Puglia vi è una lista di ben dodici assi prioritari più dettagliata, o se vogliamo più spezzettata, ma con molte analogie: l’Asse 3 è identico in Puglia, si chiama “Competitività delle Piccole e Medie Imprese“. I riferimenti alle Piccole Medie Imprese nel Lazio è sotto inteso perché è un denominatore comune che impone l’Europa. Sia nel Lazio sia in Puglia è dall’Asse 3 che vengono prelevati i fondi per finanziare attività di sostegno all’audiovisivo con i Film Fund. Va aggiunto che si finanziavano, fino ai vari lockdown, in Puglia, molti eventi e festival di spettacolo dal vivo, con la motivazione degli attrattori turistici. Nel Lazio, con il Fesr, è finanziato il Fondo per le Coproduzioni Internazionali gestito da Lazio Innova spa (già Filas) e promosso da Fondazione Roma Lazio Film Commission. Il titolo del provvedimento di Regione Lazio è il seguente; “Azione 3.1.3 Attrazione di investimenti mediante sostegno finanziario, in grado di assicurare una ricaduta sulle PMI a livello territoriale – sub-azione: Attrazione produzioni cinematografiche e azioni di sistema attraverso il sostegno delle PMI che operano direttamente o indirettamente nel settore dell’Asse prioritario 3 –Competitività”. Per la Puglia invece le direttrici sono analoghe ma, secondo l’interpretazione autonoma della Regione, più orientate al Turismo. Legittimamente perché Il Tacco d’Italia aveva forti valori numerici, di immaginario collettivo, da recuperare rispetto alle aree storiche dell’attrazione turistica della Penisola; Roma, Firenze, Venezia e Riviera Romagnola, Golfo di Napoli Costiera Amalfitana, eccetera. Infatti il dispositivo declinato 3.4 recita: Asse 3 Azione 3.4. Interventi di sostegno alle imprese delle filiere Culturali, Turistiche, Creative e dello Spettacolo.

Questo fino all’aprile 2020 quando dal budget della stessa Azione 3.4 è stato emanato anche il Bando: “Custodiamo la Cultura in Puglia Por Fesr 2014/2020 Azione 3.4 Finanziamento a fondo perduto rivolto alle imprese del settore Culturale/Creativo per attenuare la perdita di fatturato causata dalla emergenza Covid19”. Una coraggiosa forzatura con funzione di ammortizzatore sociale, in attesa della efficacia di precisi provvedimenti del Governo Centrale o dell’Europa.

La sinergia tra filiere culturali, turistiche e creative, prospettata nel Fesr 3.4 e che stava cominciando a dare i suoi frutti, si è scontrata frontalmente con l’emergenza Covid19. Anche se nell’intervallo ottimista dell’estate 2020 si sono toccate punte di quasi normalità e, pur nelle difficoltà pandemiche, la Puglia ha confermato il suo trend positivo di meta desiderata. Anzi, addirittura con dei localizzati incrementi di presenze e fatturato, derivati da un turismo italiano costretto a rinunciare a destinazioni estere, o autonomo e automunito e con più capacità di spesa.

Quindi nella scelta Puglia estate 2020 si sono aggiunte motivazioni specifiche legate all’emergenza planetaria, e dove gli investimenti sul fascino complessivo del Brand hanno dato i loro risultati. Una certa influenza è stata esercitata anche da eventi a rapida pianificazione, e con un ruolo decisivo di social media e dirette video sul web.

Il sorpasso degli influencer?

Si chiama Anna Dello Russo ed è pugliese la direttrice dell’edizione giapponese di Vogue e ha 1,9 milioni di follower su Instagram, pubblica le sue storie quasi sempre taggandosi dalla bellissima casa a trulli, ovviamente con piscina, nella assai trendy Valle d’Itria. Si chiama Maria Grazia Chiuri ed è la direttrice creativa della Maison Christian Dior. È stata chiamata da Michele Emiliano durante il primo lockdown in un team che si sarebbe occupato di rilanciare la Puglia dopo la crisi Covid-19, E’ stata l’artefice di un evento di presentazione della collezione Christian Dior a Lecce, nella stupenda cornice della piazza dell’Arcivescovado, con gli addobbi delle tradizionali luminarie del sud Italia, e la diretta on-line ha avuto 16 milioni di follower in tutto il mondo. I costi per la pubblica amministrazione regionale e comunale sono stati assolutamente irrilevanti. In sinergia con l’evento c’è stato un Tour di Chiara Ferragni (11 milioni di follower) tra i musei pugliesi.

Circa un certo eccessivo ottimismo passerà alla Storia un articolo on-line dell’autorevole magazine Artribune che, il 23 luglio 2020, cita: “Il primo grande progetto di Dior dopo la pandemia si svolge a Lecce“. Poi ci sono le sporadiche apparizioni televisive di Raz Degan, dove tesse gli elogi di Cisternino, sempre in Valle d’Itria, o le citazioni periodiche delle dimore salentine di Elen Mirren, o di Al Bano and family, quotidianamente nella ecosfera gossip. Sono fenomeni che insieme agli episodi di Beautiful, girati a Polignano a Mare e Alberobello e costati solo un incentivo di 30 mila euro, hanno determinato in Puglia, ed in Italia, impietose analisi comparative. I tradizionali dispositivi per la promozione turistica della Puglia, all’interno dei quali era entrato anche il cinema italiano, ne sono usciti sonoramente sconfitti. Si certo, anche i lungometraggi italiani di audience nazionale medio alta hanno avuto scarso successo. Alcune opere hanno incassato in Sala meno di quanto è stato il solo finanziamento di Apulia Film Fund, e senza avere alcuna ricaduta cine turistica rilevante.

Il Covid-19 arriva quando Tolo Tolo è in testa alle classifiche

In verità la Puglia era arrivata alla vigilia del Covid-19 a un livello altissimo del suo Trend di crescita in fatto di attrattività, simpatia antropologico-culturale e stile di vita. Complice anche la potenza, ormai irreversibile, di Checco Zalone al box office. Dove i suoi film evento erano ormai diventati un elemento strutturale per la tenuta economica del sistema Sale in Italia. “Tolo Tolo” ha fatto appena in tempo a mettere in cassaforte i suoi incassi record, che il caso, ovvero la pandemia, ha voluto che le sale cinematografiche fossero state chiuse proprio il 26 febbraio, giorno d’uscita di un altro test importante per l’abbinamento Commedia-Turismo-Puglia, ovvero “Si vive una volta sola” di e con Carlo Verdone. Una commedia scritta è costruita apposta non tanto per promuovere la Puglia, come nuova meta di destinazione turistica, ma per consolidarne il mito. In una fuga-vacanza da Roma interpretata da una sorprendente, e divertente, comitiva di burloni chirurghi romani.

Oltre ai noti danni che il Covid-19 ha fatto c’è anche quello di non poter valutare l’impatto con il pubblico di alcuni film, e la risposta regione per regione. Ma in ogni caso quello di “Si vive una volta sola” è una combinazione interessante di fattori entrati in gioco. Non è una sceneggiatura ambientata in Puglia solo per intercettare il Fondo Regionale in Cash Rebat (il rimborso in percentuale sulle spese nel Territorio). La scelta di Verdone ha avuto una maturazione lunga. Il regista e comico romano ha una lunga frequentazione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, sorto in epoca “pre-vendoliana” (ossia precedente alla Presidenza di Nicky Vendola della Regione Puglia), in quanto è il padrino del Premio intitolato a suo padre, il professor Mario Verdone.

Questo dimostra che anche i Festival, e anche quelli medio-piccoli, possono avere un ruolo importante nella filiera che crea “industria”. Una delle cose che ha sempre dichiarato Verdone, nelle tante interviste, è quella che oltre alla “seduzione Puglia”, di cui è stato piacevolmente vittima, ha influito positivamente, sulla sua scelta, l’affidabilità professionale di maestranze e produttori esecutivi regionali. Infatti Il Cash Rebate, in Puglia come altrove, funziona anche sul pagamento di maestranze e professionisti e non solo sui costi di ospitalità. Quindi il Cash Rebate in Regioni che non dispongono di professionalità fiscalmente residenti è meno conveniente.

La comicità come “fattore Industriale”: la pugliesità come “spezia”…

L’affidabilità di maestranze e produzioni esecutive ha fatto recuperare la scelta di girare lungometraggi in Puglia a Checco Zalone, a prescindere dal Cash Rebate che i suoi film non utilizzano. Al pubblico sta simpatico il personaggio Checco Zalone (all’anagrafe Luca Medici), e la sua pugliesità ostentata è solo uno degli indicatori di efficacia. Fino a prima di “Tolo Tolo” uno dei motivi del successo del duo Luca MediciGennaro Nunziante è stato quello che agli spettatori piace, da molto tempo quel tipo di italiano medio che non nasconde sotto il tappeto il suo essere cialtrone e furbacchione. All’italiano medio piace cha altri svelino i suoi difetti e ridendo si convince che lui non ne ha. Certo, questo è in continuità con la storia della Commedia all’Italiana (si pensi al notissimo Vigile ignoto con Totò risalente al 1963) e con la comicità espressa dalla buffa e goffa naturalità di chi si esprime con fonemi, gerghi e accenti dialettali.

Ma rispetto al passato ci sono elementi in più: il primo è il carattere glocal della narrazione, il secondo è che Checco Zalone non si è romanizzato, continua a stare sul pezzo, continua a vivere in Puglia immerso dell’antropologia che è la materia prima che deve elaborare. Differenze che sono rimaste vitali anche dopo la rottura del sodalizio con Gennaro Nunziante, e la recente discesa in campo di Paolo Virzì come supporto alla scrittura.

Da dieci anni a questa parte Zalone è diventato così imbattibile ai botteghini, che la pugliesità è diventata una delle “spezie” privilegiate da aggiungere per rendere più divertente un film. Fino all’azzardo di poter parlare di un Cinema “Post-zalonista”. Si vedano opere come Odio l’Estate (Michele Placido nel ruolo del carabiniere), Il Grande Spirito di e con Sergio Rubini in tutto il suo ruolo, additiva anche la presenza dello stesso Rubini nella saga de I Moschettieri di Giovanni Veronesi. Nel 2009 pochi mesi prima dello scoppio dell’era Zalone, in una battuta del Film Ex di Fausto Brizzi, si irride alla “pugliesità” citando e imitando il modo di parlare di un non meglio precisato prete barese. Allo stesso modo, sull’onda lunga di Zalone, le fiction prodotte dalla Rai Imma Tataranni – Sostituto procuratore, e Le indagini di Lolita Lobosco, ricorrono alle stesse cadenze dialettali pugliesi per ammiccare un pubblico nazionale seguendo le fortunate scelte già sperimentate da Andrea Camilleri per il suo Commissario Montalbano.

In una vecchia intervista sulla Terrazza dell’Excelsior Pasquale Squitieri raccontava che un tempo si finanziavano i film di Michelangelo Antonioni, che non producevano profitti, con gli incassi di Totò. Se vogliamo anche Mario Cecchi Gori, produttore di tante commedie, fece la stessa cosa con “Lamerica” di Gianni Amelio. Se al rifiuto della “romanizzazione” dell’attività creativa – compreso quindi il lavoro dell’attore – si aggiunge la notizia che Luca Medici, conclusosi il contratto di cinque Film con TaoDue, si sta organizzando con delle sue Società di Produzione con sede in Puglia, una sinergia più organica, anche finanziaria, tra le sue Company e il Sistema Regionale può essere assolutamente probabile. Sarebbe in ogni caso un fenomeno fisiologico con la Rivoluzione Digitale. Sia per la democratizzazione tecnologica, sia per l’accesso agli archivi e allo “studio” delle produzioni, globali, altrui. Se i software di effetti speciali sostituiscono lo studio 5 di Cinecittà e non servono più laboratori di sviluppo e stampa delle pellicole, la centralità di Roma si riduce molto.

Arrivederci Roma…Come nascono i successi dei nuovi comici

Roma rimane centrale perché c’è la politica, e per la vita mondana che alza, o alzava, l’umore dei creativi. Il Covid-19 ci ha fatto scoprire che non è più necessario neanche vivere a Roma, per essere pronti per le ospitate in televisione. Ma l’industria della Comicità non è quasi mai stata dipendente dalla politica, è stata quasi sempre capace di essere autosufficiente. Per tutti vale l’esempio di “Totò Peppino e la Dolce Vita”, che paragonato allo stesso film di Federico Fellini ed a “La grande Bellezza” di Paolo Sorrentino, indiscutibilmente tra i tre, è quello più spregiudicato politicamente, arrivando a citare per nome il senatore Amintore Fanfani. Avanspettacolo nel Cinema con analogie con il cabaret politico degli anni migliori, con celebri esempi europei o statunitensi; dove il performer si accontentava di una paga proporzionata solo agli incassi di un piccolo pubblico specialistico, senza alcuna aggiunta di FUS o simili.

I successi dei comici al cinema, da molti anni, nascono dalla notorietà televisiva dei loro protagonisti, che a loro volta erano emersi dal Cabaret. Lo stesso Zalone ha un “riscaldamento catodico” del suo personaggio. Ma tutte le prima posizioni dei Box Office degli ultimi decenni sono di origine televisiva: Leonardo Pieraccioni, Roberto Benigni, Aldo Giovanni e Giacomo, Antonio Albanese, fino ai Renato Pozzetto e Adriano Celentano di trent’anni fa. La buona comicità innesca un ciclo meritocratico simile al calcio: se sai far fare 10 risate sei meglio di chi ne sa fare 5, sei fai 10 goal sei meglio di chi ne sa far fare solo 5. Autosufficienza e meritocrazia non sono assolutamente condannate dall’Unione Europea.

E’ talmente chiaro per l’Unione Europea che l’aiuto alle Imprese Creative, nei Territori, è per aumentare il PIL e la Coesione, che non usano neanche la differenziazione tra “Film (o prodotto) difficile” e “non difficile”, come invece è storicamente individuato nella normativa ministeriale.

Ma attenti! La meritocrazia, se non correttamente intrepretata, può essere un pretesto per abbassare la “democrazia delle opportunità”, innalzando l’asticella del “reference system”, ovvero del curriculum del produttore e del cast (1) per accedere ai Fondi Regionali, per un grande numero di piccole imprese di quei territori audiovisivi “in via di sviluppo”, che sono l’80 percento delle regioni italiane. Puglia compresa. Per cui, se nel lessico dei Fondi dell’Unione Europea si indica di sostenere le Piccole Medie Imprese territoriali, nei regolamenti applicativi si richiedono, con la scusa della meritocrazia, comprovate esperienze e imponenti standard finanziari e distributivi per i quali le PMI territoriali sono molto lontane dall’essere predisposte.

La sindrome dell’Eldorado Made in Apulia

Negli ultimi anni la Puglia è stata considerata una specie di Eldorado, per la produzione cinematografica italiana. Come già spiegato precedentemente, il film Fund di Apulia Film Commission ha una disponibilità di euro seconda solo al budget del Roma Lazio Film Commission e pari a quello dell’Alto Adige, ma solo per il Fondo pugliese più importante. Va altresì considerato, nel più proporzionale calcolo degli euro per abitante, che la Fondazione Calabria Film Commission (che utilizza fondo europeo P.A.C) è formalmente in linea, con 1,2 euro per abitante, contro 1,6 euro per abitante della Puglia. L’Emilia-Romagna ha invece un rapporto di 0,40 euro per abitante disponendo di due Fondi per le produzioni (di cui uno esclusivo per le imprese regionali) per complessivi 1,8 milioni di euro, ma non sono soldi europei. Per la Regione Puglia i fondi audiovisivi sono in maggioranza di origine europea (5 milioni di euro, oltre a 600 mila euro di dotazione propria), mentre per la Regione Lazio quelli europei sono una minoranza (il già citato Bando Roma Lazio International Co-productions). Con fondi regionali ordinari la Regione Lazio finanzia produzioni di società residenti nel proprio territorio, anche se girano altrove. Quindi allo sviluppo del mito Puglia-Eldorado collabora la stessa Regione Lazio, con fondi aggiuntivi e non alternativi.

Ci troviamo chiaramente di fronte a due scelte diverse. Da un lato la Regione Lazio, prescinde dalle ricadute sul Territorio ed investe sul preservare il primato della residenza, a Roma, del maggior numero di Società di Produzione, rispetto al resto d’Italia. Dall’altro Apulia Film Commission insiste sulla territorialità, con il Cash Rebate, e un numero minimo di giorni di riprese.

La Regione Lazio utilizza fondi ordinari per tutelare lo status del comparto, e i Fondi Europei per investire in internazionalizzazione. Tutto giusto salvo verificare se il denaro dell’UE, erogato da un Società per Azioni (Innova Lazio) o non UE, erogato da una Fondazione di Diritto Privato, come Roma Lazio Film Commission, debba essere necessariamente erogabile nella modalità a fondo perduto. Gli  schemi applicativi e motivazionali della tabella Fesr Asse 3.Competitività sia per la Puglia sia per il Lazio non sono assolutamente da sottovalutare. La faccenda è molto seria, esistono purtroppo dei pericolosi margini di libera interpretazione che sfruttano gli spazi lasciati da un disinteresse analitico dei media.

Probabilmente nel solco del Recovery Plan potrebbe aumentare l’attenzione sull’etica e la coerenza di utilizzo di tutti i Fondi Europei. Facendo un’analisi a ritroso, sulla scia del trauma per le “vacche magre” della Covid Economy. Cercando di andare alla sostanza delle cose, evitando il ritornello consolatorio intorno gli enti locali non bravi, non capaci di utilizzare quantitativamente i fondi Europei. Individuando noiosamente sempre gli stessi imputati. Ovvero la lentezza, l’inettitudine, la burocrazia degli uffici, la pigrizia meridionale, eccetera eccetera. In verità gli impietosi analisti sostengono che la dirigenza politica delle cosiddette Stazioni Appaltanti, ovvero le Regioni, hanno la tendenza a temporeggiare perché non hanno ben chiaro quale rientro di consenso, e di clientelismo, possono ricavare dalla distribuzione dei fondi. Se non si crede agli analisti impietosi, basta leggere le relazioni della Corte dei Conti, o la vicenda Antonio BassolinoElthon JohnMario Borghezio. Purtroppo c’è la tendenza a considerare tutte le risorse che provengono dalla pubblica amministrazione, qualunque essa sia, come se fossero tutte motivate dallo stesso indirizzo strategico. Per cui si fa confusione e le si considera, di volta in volta e secondo interessi specifici, o come soldi per la qualità culturale e artistica, o come soldi per il turismo.

Quando invece l’Unione Europea eroga denaro per fini sostanzialmente diversi rispetto ai soli ambiti di Cultura e Turismo, in quanto tali. Le mission dell’Unione europea sono la coesione europea e la riduzione dei divari di Pil, tra Regioni, all’interno dell’Unione stessa. Quindi, rassegniamoci: lo scopo primario europeo è quello di creare un’industria e un’economia sostenibili e progressivamente autosufficienti. La tutela della “eccezione culturale” deve armonizzarsi a questo scopo primario. La tutela culturale è sacrosanta ed è una grande Mission, ma proprio per questo gli Stati e le Regioni hanno il dovere di sostenerla con i propri fondi ordinari. Non devono chiedere all’Europa di sussidiarle.

La Puglia e le sue combinazioni (quasi) virtuose

La Puglia con il suo film Fund attivo ormai da tredici anni ha dato vita ad un vero e proprio caso di studio, quindi l’analisi comparativa che si deriva dall’evoluzione del Film Fund pugliese aiuta a comprendere quanto può essere necessaria una armonizzazione italiana delle modalità regionali di finanziare l’audiovisivo, e quanto invece occorra lasciare in autonomia alle singole regioni. Certamente gli scenari internazionali dovrebbero imporre una compattezza è un gioco di squadra non solo del sistema italiano, ma di tutto il sistema europeo.

Oggi la Puglia, come tutte le regioni italiane, si trova di fronte al combinato disposto tra un ulteriore estensione dell’offerta delle piattaforme di videostreaming, alternativa e concorrente allo sfruttamento nelle sale cinematografiche, e lo svuotamento degli stessi cinematografi a causa fella pandemia. Durante una puntata su RadioTre di Hollywood Party (quella dell’8 dicembre 2020) c’è stato un divertente malinteso tra Il critico Enrico Magrelli ed il regista Sydney Sibilia, che ha diretto il film “La Repubblica delle Rose”. Magrelli presenta l’uscita sulle cosiddette piattaforme come una necessità a causa delle sale chiuse. Sibilia lo corregge: a sola piattaforma, e si tratta di Netflix. Il fatto è che il lungometraggio è stato prodotto per Netflix, e da Netflix a prescindere dal Covid-19.

Questo è un piccolo segnale di quale sia lo stato di confusione che si è determinato nell’autunno 2020 in Italia, dove in molti si attendevano una fine dell’epidemia ed una riapertura delle sale. In verità Netflix si è accorta subito dell’importante ruolo strategico delle Film Commission molto più radicalmente di quanto abbia fatto il “Sistema Italia”, o se vogliamo il “Sistema Roma”. Tant’è che nella primavera 2020 aveva offerto 1 milione di euro alle Film Commission italiane per sostenere i lavoratori audiovisivi, interni alle regioni, fermi a causa del morbo. Considerandole quindi un interlocutore specifico e non un derivato del “Sistema Roma”. L’apertura di una prestigiosa sede nella capitale d’Italia è stata salutata positivamente dalle associazioni audiovisive di categoria: da ciò ne deriva che le associazioni medesime vedono nel protagonismo delle piattaforme Over-the-Top (OTT) in Italia opportunità aggiuntive e sussidiarie. Allora ben vengano le piattaforme OTT di videostreaming in una produzione nazionale non sufficientemente capace di far lavorare le professionalità e le creatività presenti in Italia.

Le piattaforme OTT alla Fiera dell’Est per due soldi …

Sul piano teorico le Regioni avrebbero tutta la legittimità ad auspicare, sui loro territori, l’aumento della spesa di Netflix, Amazon Prime o Disney+. Coerentemente con la mission di rafforzare l’economia del proprio specifico territorio geografico, così come indicato dai fondi europei per lo sviluppo regionale, i Fesr. Ciò creerebbe tuttavia, o forse già crea, un paradosso. Oltre ad una ricaduta indiretta, ma altrettanto irta di incognite. Il paradosso è che con una mano l’Unione Europea cerca di tassare le piattaforme OTT, e con l’altra mano le finanzia attraverso le regioni. E le finanzia pure a fondo perduto, o comunque senza la possibilità del rientro dell’Investimento alla fonte finanziatrice. La ricaduta problematica è la seguente: più ore uno spettatore europeo consuma davanti alle piattaforme OTT e meno ore consuma di produzione audiovisiva europea, prodotta senza le piattaforme e sostenuta dalla filiera pubblica di Ministeri della Cultura, broadcaster pubblici, Film Fund regionali, e Tax Credit.

Quindi non esiste solo un problema di mancato incasso delle tasse provenienti dalle piattaforme OTT, c’è anche una ridotta disponibilità di budget e di spazi di mercato, per la filiera pubblica dell’audiovisivo, che, riducendosi le ore di consumo, dovrà necessariamente adeguarsi, fino ad individuare un esubero di occupati e di addetti.

Se succederà, per esempio, che l’80 percento delle produzioni italiane che si realizzavano prima grazie a Rai Cinema, in futuro, si realizzeranno grazie alle piattaforme OTT, è lecito domandarsi che senso rivesta ancora un soggetto come Rai Cinema. Perché dovrebbe ancora esistere? Il Contributo di Rai Cinema potrebbe spalmarsi su più produzioni, associato alle OTT, con quote minori? A meno che, grazie alla ripartenza, al vaccino e alla scomparsa del Covid-19, riparta anche, in modo intensivo, il mercato theatrical. Se ciò avvenisse, a Rai Cinema, all’Istituto Luce, al Ministero dei Beni Culturali, alla nascente compagine Streaming ItsArt (intesa fra Casa Depositi e Prestiti e Chili Tv), nonché a un Consorzio di Film Commission (che rimane tutto da costruire), converrebbe fare cordata ed avere un proprio circuito, di platee e poltrone, in partecipazione proprietaria, con il quale sottoscrivere convenzioni. Affinché RAI Cinema e compagni riescano a garantirsi maggiori introiti complessivi, surrogando la perdita delle quote di mercato conquistate dalle piattaforme in videostreaming.

Le conseguenze di un probabile riassetto proprietario delle sale cinematografiche e di una loro riconversione dopo mezzanotte in macro-discoteche connesse 4.0

E’ ancora possibile una gestione completa del ciclo di vita dei prodotti? E’ un’Utopia? Trattasi di puro velleitarismo? Forse. Ma non è sbagliato chiedersi se fare argine così, alla concreta prospettiva, o se vogliamo minaccia, che Netflix ed Amazon acquistino direttamente le sale cinematografiche, così come già Amazon sta facendo, acquistando interi quartieri di una città. La crisi delle sale cinematografiche andrà di pari passo con la crisi delle identità di tanti “Luoghi” delle Città. Ci saranno delle epocali trasformazioni urbane? Sono tutti interrogativi legittimi. Probabilmente saremo costretti a trasformazioni degli spazi murari su tutti i comparti. Ed è sbagliato considerarle un problema separato da quello dell’offerta di contenuti emotivi, immateriali e digitali. E quindi il ruolo degli Enti Locali diventa fondamentale. Se di fronte alle piattaforme OTT che tentano il monopolio, operando dall’alto verso il basso, è giusto resistere, bisogna creare consapevolezza ed autodeterminazione per una azione dal basso verso l’alto. Ma è sicuro che le sale andranno in crisi? Mettiamo per ipotesi che le istituzioni sanitarie classifichino le sale, così come il settore sindacalmente auspica, con un coefficiente di pericolosità otto volte più basso di quello delle discoteche, arrivando fino alla “rottamazione” delle discoteche e ad incentivi alla riconversione. In tal caso in che direzione dovranno procedere gli enti locali: verso una riconversione nelle sale? Una trasformazione delle sale in punti di aggregazione non intensiva 4.0, ossia in grado di offrire non solo film, spettacoli teatrali e concerti ma anche punti reticolari tali da creare l’effetto di una unica macro discoteca connessa e “ibrida”. Dove un totale di 18 mila persone, collegate tra loro, danzano, anche con visori V/R 360°, al ritmo dello stesso DJ che agisce in un solo luogo; collegato in modo smart. In una diretta con 180 luoghi nei quali hanno potuto accedere solo 100 persone regolarmente distanziate e igienizzate.

Creare “luoghi terzi” in aree crossmediali attrezzate per la formazione e per l’intrattenimento

È possibile che questi luoghi potrebbero essere le sale riconvertite, tanto le discoteche si animano solo dopo mezzanotte, non hanno orari sovrapposti con Cinema e Teatri dal vivo. Come è anche possibile che i teatri e i cinema vadano loro nei “luoghi” delle Discoteche. E che le discoteche si “ibridizzino”. Parallelamente si sta sviluppando da tempo un universo audiovisivo a destinazione “off Home esperienziale”, con fruibilità da museo e individuale, in ampie fasce orarie dalle 9 del mattino alle 23. Percorsi di un singolo visitatore con transmedialità, interattività e “seriuos game”, ovvero giochi proiettati soprattutto a fini educativo/enciclopedici. Quindi capaci di coinvolgere i “Luoghi Terzi” creando aree multimediali attrezzate! Tutti senza esclusioni: dall’androne di un condominio, al bus fino alla biblioteca comunale o di quartiere possono essere fondamentali per salvare il “Sistema Audiovisivo Italiano”, ma anche quello bibliotecario e museale.

Se si resta attaccati al “modello verticale”, alto verso il basso, vincono le OTT. Se invece si realizza un fronte più compatto e sinergico tra Territori e i diversi Servizi Culturali e Formativi, fin al 2019 tradizionalmente offerti, c’è la si può fare. È un combinato tra forza dei numeri e forza della consapevolezza.

Andrà messo nel conto che una Società basata interamente sulla propria casa, o il proprio display, dove tutto arriva e si svolge, e da dove tutto parte, non conviene neanche alle OTT. Che le persone vogliano corporalità, socialità e condivisione dal vivo, è biologicamente matematico. Farsi spedire un oggetto a casa non è piacevole in sé in quanto “gesto” ma è più conveniente economicamente. Se Amazon riesce a realizzare una economia di scala tale che lo stesso oggetto in un suo negozio costa solo 1 euro in più che in “spedizione’, allora si apriranno i negozi Amazon, e faranno dumping sugli altri.

Dubbi amletici della Covid Economy

Il Cinema farà crescere il turismo delle persone o aiuterà l’esportazione delle merci? La sindrome cinese dell’economia più in uscita che in entrata

Il lessico del Marketing Territoriale che userà l’Unione Europea nella Programmazione 2021 – 2027 non potrà non tenere conto degli scenari determinati dal combinarsi di OTT e Covid-19. Tenendo conto che anche Tik Tok è uscito potentemente dai propri confini cinesi. E di certo Tik Tok non porterà una ventata di rispetto per parametri e criteri del modello sociale e democratico europeo. Proviamo ad immaginare una Cina che utilizza vasti numeri di account acquisiti in Europa e li trasforma in produttori e consumatori, ossia “prosumer”, di contenuti culturali orientabili ed orientanti verso determinati stili di vita, e beni di consumo che loro stessi, i cinesi, distribuiscono.

Cosa succederà? A differenza di Amazon, i cinesi la rete dei negozi in Europa già la posseggono. La crescita esponenziale dei voli low-cost, bruscamente interrotta dal Covid-19, avrà una fisiologica riduzione, anche per ragioni psicologiche. L’economia degli “assembramenti di persone” tra turismo globale, fiere, spiagge, eventi sportivi e musicali, parchi divertimento, centri benessere non avrà più come prima una funzione anticiclica: tutte le Film Commission e i Film Fund europei regionali, come tutte le Agenzie di Sviluppo Locale, dovranno spostare l’ago della bilancia a favore del viaggio delle merci (con l’e-Commerce) rispetto al viaggio delle persone. Dovremo in altre parole pensare una economia più in uscita (out-coming) che in entrata (in-coming). In questo scenario i film dovranno dare più attenzione al Product Placement che al Location Placement, più comunemente detto “Cineturismo”.

Considerando però alcuni elementi importanti:

  1. il Product Placement è una scienza dove l’Italia e l’Europa sono in discreto ritardo;
  2. le piattaforme in videostreaming sovranazionali permettono un Product Placement con una certificata diffusione sovranazionale, anche con il preciso numero di visualizzazioni Paese per Paese;
  3. in una Europa dove il Cinema è tradizionalmente sostenuto dalle Istituzioni, per fare buoni film con un ruolo efficace e remunerativo del Product Placement, e del Lifestyle, bisogna pensare e scrivere sceneggiature in modo diverso. Non possiamo che uscire dal modo “tutto nazionale” di concepire le “cinematografie”. Le Piccole e Medie Imprese dei Territori, che dovevano ricevere i benefici dei Fondi Fesr e del cinema che ne scaturiva per essere internazionalizzate, rischiano, insieme alle Film Commission, di sentirsi troppo lontane da quello spazio di azione destinato a risultare più efficace.

Speck e Canederli e Piccole Medie Imprese …Ciak si gira. Il promettente caso di IDM SudTirol

Su questa visuale è leggermente più avanti il Sudtirol Film Commission & Fund che è parte integrante di una Agenzia l’Innovation Development Marketing (IDM Sudtirol), di cui la Provincia Autonoma si è dotata. Oltre ai paesaggi IDM è impegnata a promuovere le professionalità audiovisive e creative insieme al vino, al latte le mele e lo speck IGP. Con relazioni e convenzioni direttamente stipulate con i Consorzi di produttori alimentari e i consorzi turistici. In Alto Adige c’è una forte attitudine associativa per azioni di marketing territoriale, in una misura che non ha paragoni con il resto d’Italia. Le dimensioni ridotte del Territorio, il bilinguismo e lo Statuto Speciale agevolano e facilitano percorsi di Comunità. IDM fornisce servizi con l’obiettivo di favorire uno sviluppo sostenibile dell’economia locale con l’innovazione ed aumentare di conseguenza la competitività delle aziende altoatesine. Anche se non utilizzano Fondi Europei per lo Sviluppo Regionale (Fesr) il supporto all’internazionalizzazione e l’innovazione è specialmente diretto alle Piccole Medie Imprese. Ora se è abbastanza chiaro a tutti che un leggero spostamento di baricentro dal turismo ai prodotti tipici e materici è necessario, meno chiara è l’interpretazione che assumono le diverse Regioni circa l’indicazione europea di destinare i benefici e i fondi a tutte le PMI o solo a quelle del proprio territorio.

La problematica è emersa dall’applicazione del dispositivo Apulia Film Fund a valere sui Fesr 3.4. E’ capitato infatti che alcune società di produzione, pur avendo progetti assolutamente graditi e meritevoli di finanziamento da parte di Regione Puglia e Apulia Film Commission, non sono state finanziate dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale perché ritenute non appartenenti alla categoria PMI. Trattasi di un eccesso di rigore o di un vero e proprio travisamento del dettato europeo?

Applichiamo un po’ di logica. Se il fondo si chiama Fondo Fesr Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale, e la stazione appaltante è la Regione “X” vuol dire che la regione X deve utilizzare il Fondo per lo sviluppo della “propria regione” con il compito di “ridurre il divario” con le Regioni con più PIL. Secondo il Concept delle “Politiche di Coesione”. Quindi quando il Fesr 3.4, nel proprio titolo, parla di “filiere”, Intende le “filiere regionali”, non c’è alcuna possibilità di interpretazione diversa. Si tratta delle filiere della propria regione. Non può un Ente Pubblico territoriale gestire fondi a lui assegnati come Regione X a favore dello Sviluppo della Regione Y. I fondi Fesr affidati per la Regione X servono per sviluppare la Regione X, e così per la Y. D’altronde che i beneficiari finali degli investimenti siano le Pmi nella Regione X è evidente da tutto il testo della lista di obiettivi e criteri della mission della Tabella del Fesr 3.4. della Regione Puglia.

L’importanza di finanziare anche le non Piccole e Media Imprese

Lo stesso Film Fund regionale della Regione Puglia non concede finanziamenti a patto che il 150 percento o il 200 percento del finanziamento erogato sia speso in regione e quindi direzionato a favore di PMI della regione. Quindi nel momento in cui una Società di Produzione Audiovisiva presentasse una richiesta di finanziamento e, per criteri prestabiliti di personalità giuridica = capitale sociale – numero di dipendenti, non risultasse PMI, ciò non dovrebbe impedirle di essere destinataria del finanziamento. Perché il Cash Rebate garantisce che i beneficiari finali saranno comunque le PMI regionali non solo per il 100 percento del finanziamento ma anche per un ulteriore 30 percento in più.

La società di produzione trasferisce, infatti, alle PMI regionali non solo il denaro ricevuto dal Fesr, ma aggiunge un 30 percento di proprie risorse. Quindi l’impresa audiovisiva “non PMI” non è il vero beneficiario dei fondi Fesr, ma è lo strumento affidabile, solido e all’altezza delle sfide di internazionalizzazione dei territori, adatto per sostenere la crescita e l’integrazione delle PMI regionali nel sistema internazionale: una azienda capace di realizzare prodotti a forte redditività e internazionalità, grazie anche a proprie congrue capacità organizzative e di investimento. Si potrebbe dire che l’impresa audiovisiva “non PMI”, sulla carta, non è un “beneficiario” del Fesr, ma è un co-investitore delle strategie di sviluppo di una data Regione, e, in alcuni casi, un soggetto formatore di professionalità locali.

A conferma di ciò lo stesso regolamento dl Apulia Film Fund chiede tassativamente che il produttore che inoltra l’istanza di sostegno garantisca un contratto di distribuzione certificato ed un budget iniziale certo non inferiore al 30 percento.

Clausole che sono presenti anche in regolamenti di Fondi regionali audiovisivi, che non usano i Fondi dell’Unione europea e non escludono le “non PMI”. Infatti se il compito dei Film Fund è quello di erogare denaro, il compito delle Film Commission dovrebbe essere quello di “sportello e ascolto” aiutando un buon progetto a trovare il distributore. Se un progetto ha già il distributore vuol dire che ha le risorse per mettere sotto contratto attori noti, ed il numero delle PMi con queste caratteristiche si riduce.

Se poi quel finanziamento dal Film Fund, a valere sul Fesr, l’impresa produttrice lo trasforma in quota di proprio possesso nel capitale del film, e questo capitale si moltiplica in proporzione agli utili realizzati dall’opera, questo non riguarda gli indirizzi Fesr, ma attiene alle modalità secondo le quali la Regione ha concepito regolamenti, accessibilità e criteri del Fondo. Ovvero, se la Regione decide di offrire, come attrattore di investimenti attraverso il Cash Rebate, quote finanziarie “non ritornabili”, ovvero non restituibili alla fonte erogante, pur se emesse a favore di un prodotto ad unità ripetibile, questo è un problema di “scelte soggettive” di una determinata Regione: scelte che poco hanno a che fare con i fondi Fesr, perché tali fondi non sono vincolati al “Fondo Perduto” e non impediscono “l’ingresso in quota di coproduzione” di specifici enti finanziari locali. E se si tratta di Fondazioni di Partecipazione come in Puglia o di società per azioni, partecipate dalla Pubblica Amministrazione, come nel Lazio, non ci sono problemi ad incassare utili di ritorno.

Nell’idea dell’Unione Europea si da, o si dovrebbe dare, per presunta razionalità la priorità alla funzione economica della spesa, ovvero all’investimento con effetti moltiplicatori. Concetto che viene sintetizzato con la formula “1 che sviluppa 3”. Quindi non si dovrebbe trattare di spesa con funzioni né di tutela né di solidarietà “anticrisi”, ovvero di “ammortizzatore sociale”. Prendendo alla lettera il fatto che le beneficiarie devono essere le PMI territoriali, va valutato con attenzione l’intensità territoriale del beneficio. In questo quadro diventa più determinante del previsto il criterio dei costi accessibili al rimborso.

Sembra un dettaglio irrilevante quello dei trasporti, ma se l’Unione Europea rimborsa 1000 euro di carburante auto, 350 euro vanno all’industria petrolifera (con una piccola parte al gestore della pompa) e i 650 euro rimanenti ritornano allo Stato come tasse. È quindi assai complicato moltiplicare in questo caso un 1 X 3 dell’investimento. Caso diverso per il pagamento delle maestranze e dei professionisti spese di ospitalità o il cibo del luogo. Ma in ogni caso la dinamica che innesca il Cash Rebate prevede una casistica a forte rischio “dispersione”.

Autosufficienza, armonia e razionalità

Il budget dei Fesr dovrebbe servire a rendere progressivamente autosufficienti le filiere dando loro una capacità autonoma di investimento. Sia per le filiere interne all’audiovisivo, sia per quelle esterne dei brand materici regionali da internazionalizzare con l’audiovisivo. Essere non dispersivi vuol dire che il Cash Rebate viene indirizzato a Studios, o a laboratori digitali di animazione ed effetti speciali, o laboratori di produzione di costumi o scenografici (ovvero ciclo di produzione e non di post produzione). Il Cash Rebate, in quel caso, aiuta davvero quelle imprese a consolidarsi e a essere più competitive sul mercato; e a intercettare così opportunità future senza che si renda così necessario il ricorso al Cash Rebate stesso. Ostinarsi a rinunciare a finanziare le non-PMI significa impedire, per esempio, a un gruppo come la Walt Disney in quanto tale, di spendere ingenti risorse per girare un film in Puglia o in altre regioni dove viene applicato questo impedimento. Anche se, pur avendo usato il Cash Rebate fino al massimo della sua disponibilità per film, ovvero 350 mila euro, riversasse comunque sul territorio altri 5 milioni di euro, per completare la lavorazione della copia campione. La clausola apre certamente delle contraddizioni, perché come prima illustrato, le richieste di referenze per partecipare ai Film Fund, di diverse Film Commission, non sono alla portata delle PMI locali del comparto audiovisivo nella loro stragrande maggioranza.

L’audiovisivo italiano e quello europeo hanno bisogno di un grande recupero di competitività internazionale. C’è bisogno di tutti, anche delle Film Commission e dei Film Fund regionali. Ma occorre urgentemente un’armonizzazione. Nel settembre del 2013 Massimo Bray, Ministro dei Beni Culturali, e oggi assessore alla Cultura di Regione Puglia, chiudeva un convegno sul futuro del Cinema alla 70ma Mostra di Venezia dicendo: “Vorrei rivedere il rapporto tra Stato centrale ed enti locali, valorizzare il ruolo delle Film Commission, sviluppando un sistema armonico con sostegni nazionali integrati da quelli regionali e con la definizione giuridica delle Film Commission. Ma dobbiamo tornare a fare sistema, per sostenere i giovani emergenti come i maestri affermati“. Ecco alcuni input di questo discorso resistono al tempo.

L’armonizzazione è urgente ma bisogna definire quale. Tra i sostegni nazionali predefiniti e non occasionali alle Film Commission ci potrebbe essere anche la RAI? O essere la Rai co-protagonista di Poli Regionali dell’Audiovisivo? Lo stato attuale è che su diciassette Film Commission aderenti al coordinamento nazionale ben dodici sono Fondazioni di Partecipazione di diritto privato, non avrebbero quindi divieti istituzionali a entrare in quota nei film o partecipare a nuove Fondazioni o Consorzi. La Regione Lazio conferisce a Fondazione Roma Lazio Film Commission una dotazione regionale ordinaria, non Fesr, di ben 9 milioni di euro. Alcune regioni, pur avendo le Film Commission le disponibilità di budget proveniente dall’Unione europea, non hanno praticamente nessun Film Fund.

Armonizzare e fare sistema è ancora urgente!

Nota al testo

  1. Voluto dall’ex ministro Giuliano Urbani il reference system è il nuovo meccanismo indicato in un decreto legislativo risalente al 2004 che ha introdotto un nuovo sistema che supporta le tradizionali commissioni nella scelta dei soggetti e dei progetti meritevoli di finanziamento, “privilegiando chi nel recente passato ha prodotto cinema di qualità e cinema capace di catalizzare l’attenzione del pubblico”.