L'analisi

Democrazia Futura. Internet e politica: Perché non esiste nessun rischio di democrazia tele-pilotata

di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, Università di Bologna, e Socio dell’Accademia dei Lincei |

Almeno per qualche tempo, tuttavia, penso che non sarà internet e non saranno le piattaforme telematiche e neppure Twitter e Facebook a stravolgere i contesti democratici. Potranno essere coloro che posseggono o controllano gli strumenti telematici a guidare, orientare, portare a compimento la distruzione delle democrazie realmente esistenti purché esistano condizioni favorevoli.

Prosegue la collaborazione di Gianfranco Pasquino con Democrazia futura. In questo primo numero, andando un po’ controcorrente il noto politologo allievo di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori si dichiara convinto che non esiste nessun rischio di democrazia telepilotata.

In qualsiasi modo possa essere condotta la conversazione, non soltanto politica, che sta a fondamento della democrazia come l’abbiamo conosciuta e come evolverà, è importante che sappia fare ricorso a tutti gli strumenti disponibili.

Pertanto, è inevitabile che quanto associamo a Internet in tutte le sue numerose e diversificate manifestazioni sia utilizzato in conversazioni che sfiorano la democrazia e la sfidano, ma che sono anche in grado di ridefinirne alcune modalità di funzionamento e di trasformarla.

Naturalmente, si corre costantemente il rischio che coloro che controllano la “rete”, in special modo i giganti del web, vogliano influenzarne i contenuti, mirino ad appropriarsene, cerchino di manipolarli non soltanto con fini commerciali (ecco una ragione per tassarne i profitti), ma con obiettivi politici. Proprio come coloro che controllano i mass media classici hanno sempre cercato di fare, spesso riuscendovi.

Quel rischio è già da qualche tempo presente un po’ in tutti i regimi, non soltanto quelli democratici, come potrebbero facilmente confermare i cittadini, per fare due esempi non proprio marginali, della Russia e della Cina. Peraltro, fin dai suoi esordi, la democrazia ha corso rischi e avuto sfidanti. La democrazia ha una forte carica destabilizzante dei poteri costituiti. Gli hackers della democrazia hanno sempre fatto la loro comparsa, ma, sia chiaro, da un lato, il numero delle democrazie è aumentato nel corso del tempo; dall’altro, spesso i sovvertitori della democrazia si trovavano all’interno dello stesso regime democratico, fra le classi dirigenti. Non è affatto detto che se ne siano andati e che, più o meno inconsapevolmente, i giganti del web siano “sovvertitori” e/o si allineino con quegli hackers.  

Almeno per qualche tempo, tuttavia, penso che non sarà internet e non saranno le piattaforme telematiche e neppure Twitter e Facebook a stravolgere i contesti democratici. Potranno essere coloro che posseggono o controllano gli strumenti telematici a guidare, orientare, portare a compimento la distruzione delle democrazie realmente esistenti purché esistano condizioni favorevoli.

Al contrario, non è affatto da escludere che Internet et alii servano a difendere le democrazie esistenti, per poi allargarle, approfondirle, accelerarle (uso questo verbo perché troppo spesso ascolto gli alti lai di coloro che lamentano la lentezza decisionale dei governi e delle strutture democratiche).La democrazia non è mai stata la promessa di decisioni rapide. Lasciando da parte, perché non congruo con l’analisi che sto conducendo, tutto quello che riguarda freni e contrappesi, separazione dei poteri e accountability, la promessa incomprimibile della democrazia è che in qualche modo ovvero in una pluralità di modi il popolo otterrà, avrà, eserciterà (il) potere.

Soltanto i terribili semplificatori possono credere e tentare di fare credere che questo potere del popolo consista nel prendere decisioni con un “sì” o con un “no”, e che, dunque, saranno i click dai nostri computer, dai nostri smartphone, dai nostri iPad che daranno slancio e velocità alla democrazia. Certo, “in ultima istanza” potremo chiedere e ottenere il click che sancisce il compimento del processo decisionale. Però, la strumentazione tecnologica, se appropriatamente utilizzata, sarà stata molto utile a “costruire” la decisione mettendo a disposizione dei decisori i materiali di tutti tipi contenenti le informazioni necessarie.

Grazie alla rete, iscritti e dirigenti dei partiti e delle associazioni già sono in grado di comunicare rapidamente fra loro. Lo fanno anche molti degli eletti a cariche politiche non soltanto con coloro che li hanno votati, ma con tutto il pubblico con il quale desiderano stabilire e mantenere relazioni costati e intense. Naturalmente, per quel che riguarda partiti e movimenti politici, i rischi della comunicazione telematica, se Robert Michels fosse fra noi lo evidenzierebbe subito e senza esitazioni, stanno nei vantaggi di posizione di coloro che controllano il flusso di comunicazioni e le corrispondenti reazioni.

Questo significa, però, che il problema non è nello strumento, ma nei posizionamenti e nei comportamenti. Qualcosa che i partiti e, in verità tutte le associazioni, comprese quelle religiose, conoscono da tempo. Altresì da tempo conosciamo i tentativi di soluzione: la circolazione delle élites. E, come ho già scritto, la rete può produrre effetti destabilizzanti. Comunque, non dobbiamo temere l’uso dei più moderni strumenti telematici. Infatti, possono servire persino a diffondere la democrazia se tutti vi hanno eguale accesso. Questo è il primo aspetto problematico. Un po’ dappertutto nelle democrazie reali e nei sistemi politici che cercano di diventare democratici è molto probabile che esistano dislivelli di accesso e di capacità di utilizzazione.

Nel passato a non dissimili dislivelli di risorse e di conoscenze posero rimedio in buona misura adeguatamente i partiti politici. In assenza di organizzazioni minimamente comparabili con quei partiti, potrebbero essere cricche e clan personalistici che sfruttano la proprietà degli strumenti telematici e le loro superiori capacità. Quasi discendente da questo elemento, il secondo aspetto problematico potrebbe essere, come periodicamente hanno temuto i democratici, la comparsa di un ceto di tecnocrati che giustificherebbero la loro conquista del potere e la loro legittimità a governare con riferimento al loro quasi monopolio di conoscenze specialistiche superiori.

Fermo restando che già oggi spesso persino i governanti non populisti giustificano le loro decisioni con riferimento a presunte conoscenze superiori magari ottenute dagli scienziati, il paradosso è che quelle pretese tecnocratiche potrebbero essere efficacemente contrastate proprio grazie agli strumenti telematici che garantiscono sia il fact checking sia l’acquisizione di altre conoscenze politicamente e democraticamente utili.

Concludendo. A fronte di una quantità notevole di progressi e di strumenti telematici, l’atteggiamento democratico, ovvero fiducioso nelle capacità di apprendimento e di reazione, a mio parere più convincente e più promettente, consiste nel valutare le trasformazioni e il loro prevedibile impatto sul potere dei cittadini di scegliere rappresentanti e governanti, di partecipare alla conversazione democratica e di influenzare/prendere –in questo caso in maniera non dissimile, ma probabilmente migliore, da quanto già avviene nei referendum popolari– le decisioni. Spingendomi controcorrente ancora più in là arriverei a sostenere addirittura che Internet e gli strumenti che vi fanno riferimento promettono anche un migliore controllo sui governanti e rappresentanti e maggiore trasparenza nelle procedure di responsabilizzazione. Se lo sapremo fare, imparando e insegnando.