Strategie

Democrazia Futura. Il caso Huawei: forza e debolezza delle tecnologie digitali cinesi

di Giuseppe Richeri, accademico ed esperto di politica ed economia delle comunicazioni |

E’ ancora presto per capire se, con la nuova presidenza USA le relazioni tra Stati Uniti e Cina saranno meno tese, ma sul fronte delle nuove tecnologie digitali è difficile pensare che Washington prenda decisioni che possano ridurre sensibilmente il suo vantaggio su scala mondiale e soprattutto sulla Cina.

Sugli stessi temi affrontati ieri da Raffaele Barberio, Giuseppe Richeri, analizza punti di forza e punti di debolezza delle tecnologie digitali cinesi, destinate ad assumere un ruolo di primo piano sia per la modernizzazione e l’indipendenza interna sia per la conquista di una posizione di leadership internazionale. Il caso di Huawei è infatti paradigmatico del conflitto avuto con l’amministrazione Trump da un lato, ma anche, dall’altro, della dipendenza tecnologica della Cina dall’estero, in particolare del ritardo cinese nei semiconduttori, nonostante il crescente peso assunto da Huawei nel mercato europeo

La distanza tra Cina e Stati Uniti si è molto ridotta negli ultimi anni anche se è ancora molto ampia. I parametri con cui misurarla sono vari e tra questi possiamo indicare il Pil nazionale, quello pro capite e le spese militari. Nel 2019 il Pil della Cina è stato 14 mila miliardi di dollari, quello degli Stati Uniti 21 mila miliardi; il Pil pro capite è stato 10,2 mila dollari in Cina e 65,3 mila negli Usa; le spese militari sono state 261 miliardi in Cina e 732 miliardi in Usa.

La leadership di Xi Jumping e i suoi obiettivi strategici di lungo termine nel campo delle tecnologie digitali

Con la leadership di Xi Jimping e l’ampio orizzonte temporale a disposizione della sua carriera futura, la Cina ha messo meglio a fuoco alcuni obiettivi strategici di lungo periodo sia sul fronte interno che su quello internazionale avendo come orizzonte lontano ma già presente nei discorsi ufficiali il centenario di fondazione della Repubblica Popolare.

Nei prossimi decenni ci sono due mete da raggiungere che appaiono particolarmente ambiziose. Sul fronte interno si vuole completare il processo di modernizzazione e di indipendenza dall’estero accompagnate da una forte crescita del potere d’acquisto delle famiglie e da un mercato interno molto robusto. Ciò che occorre per assicurare all’economia nazionale un elevato grado di indipendenza dalle fluttuazioni dei mercati internazionali. Inoltre la Cina aspira a raggiungere lo stesso ruolo di potenza mondiale degli Stati Uniti in un quadro di equilibrio multipolare che comprenda anche altri centri di potere come l’Unione Europea e la Russia.

La strada da compiere è ancora molto lunga, ma i risultati finora ottenuti sono di grande rilevanza sia per le dimensioni che per la velocità con cui sono stati raggiunti. Ciò riguarda in modo visibile la situazione interna sia sul piano economico, sia sul piano sociale (non dimenticando però ì gravi limiti per i diritti umani e le libertà individuali).

Uno dei terreni dove l’industria cinese è cresciuta rapidamente è quello delle tecnologie digitali che hanno raggiunto livelli di diffusione elevati su scala nazionale come dimostrano la penetrazione di Internet, degli smartphone, dei pagamenti via cellulare, del commercio  elettronico e altro. In questo campo alcune imprese cinesi hanno raggiunto anche posizioni rilevanti nel mercato mondiale. Per la Cina quello delle tecnologie digitali è uno dei settori più delicati perché gioca un ruolo di primo piano sia per la modernizzazione e l’indipendenza del paese sia per la conquista della posizione di leader internazionale.

Il conflitto con gli Stati Uniti

Le tecnologie digitali sono state al centro di un acuto conflitto tra Cina e Stati Uniti, seguiti dai loro più stretti alleati. Un conflitto con caratteri distinti da quello centrato sulle tariffe doganali che ha fatto vittime in entrambe i paesi. Molti osservatori ritengono che il terreno delle tecnologie digitali abbia implicazioni più complesse di quelle commerciali legate ai rapporti import-export e che ci sia in gioco il potere e la leadership politica internazionali. Per decenni gli Stati Uniti storicamente hanno dominato il campo dell’innovazione tecnologica sfruttando soprattutto le ricadute civili delle applicazioni messe a punto grazie ai grandi investimenti pubblici nell’industria bellica. Ma oggi devono constatare la presenza di altri protagonisti come Corea del Sud e Taiwan (provincia cinese politicamente autonoma) con cui mantengono stretti rapporti economici e militari. Vedono invece con preoccupazione la crescita della Cina in alcuni segmenti importanti (Intelligenza Artificiale, nuove generazioni delle reti di telecomunicazione, cloud computing, industria spaziale, eccetera) dell’attuale mappa del potere tecnologico globale. Le misure prese dagli Stati Uniti per arginare la penetrazione di imprese elettroniche cinesi hanno raggiunto un livello senza precedenti con l’amministrazione Trump ben rappresentate da quanto succede a Huawei, una delle principali imprese private cinesi.

Che cos’è Huawei (1) e il suo crescente peso nel mercato europeo

Nel 2019 Huawei era considerate la maggior impresa mondiale nel settore degli apparati di telecomunicazione per fatturato e per profitto netto. Fondata a Shenzhen nel 1987 per vendere e installare nelle zone rurali apparati di telecomunicazione oggi opera in 170 paesi con 180 mila addetti, ha un fatturato di 123 miliardi di dollari (2019) realizzato per il 41 percento all’estero, buona parte in Europa. I principali settori di attività sono reti fisse e mobili e altri apparati di telecomunicazione (28 percento del mercato mondiale), tecnologie per l’Intelligenza Artificiale, claud computing. Nell’elettronica di consumo è uno dei maggior produttori mondiali di smartphone (14 percento del mercato mondiale) e altre apparecchiature mobili. Nel 2019 ha investito oltre 18 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, 15 percento del fatturato totale, e oggi è considerata l’impresa più avanzata nel campo delle reti mobili di quinta generazione (5G) che ha già realizzato su larga scala in vari paesi. Nei primi anni 2000 il nome di Huawei era poco noto in Europa dove arrivò nel 2004 per fornire impianti e apparati della rete mobile di terza generazione (3G) a Telfort, un operatore olandese di telecomunicazioni di secondo piano. Dopo un anno Huawei divenne fornitore anche di BT (ex British Telecom) e di Vodafone, uno dei maggiori operatori di telecomunicazioni mobili al mondo. Oltre alla buona qualità  dei prodotti e ai prezzi bassi anche nella fascia di gamma più avanzata, secondo alcuni ricercatori il successo Huawei in Europa si deve anche all’impegno nei servizi di assistenza post-vendita che ha permesso alla società di sottrarre spazio a Ericsson e Nokia, allora leader europei del settore, nelle reti di terza e quarta generazione (3G e 4G) in vari paesi del continente. Nel 2012 la società di Shenzhen aveva conquistato un terzo del mercato dell’Europa Occidentale e nel 2016, secondo le stime degli esperti aveva circa il 50 percento del mercato europeo degli apparati per le reti mobili di quarta generazione (4G).

Il contrasto dell’amministrazione Trump nei confronti del colosso cinese

Gli Stati Uniti non hanno rappresentato un mercato rilevante dal punto di vista commerciale per Huawei che nel 2019 realizzava in questo paese solo il 5 percento delle sue entrate. C’è sempre stata però una particolare attenzione a contrastare la sua presenza negli Stati Uniti anche da parte delle amministrazioni precedenti a quella di Trump. Con la sua amministrazione sono state prese però le iniziative più forti per mettere Huawei fuori dal paese, per combatterla sul fronte internazionale e per boicottarne direttamente la filiera produttiva. In realtà gli Stati Uniti hanno cercato di porre barriere alla penetrazione di Huawei nel loro paese anche quando la società cinese non era ancora una protagonista di primo piano del mercato mondiale. Il governo americano bloccò nel 2008 l’accordo di Huewei con 3Com Corporation, società americana produttrice di apparati per reti locali di telecomunicazione e nel 2011 quello con 3Leaf Systems, società avanzata nel cloud computing. Inoltre per molti anni Huawei è stata esclusa dalla lista dei fornitori dei maggiori gestori di reti di telecomunicazione americani come AT&T, Sprint, T-Mobile e Varizon.

Nel tentativo di normalizzare la sua presenza nel mercato statunitense la stessa Huewei sollecitò un’inchiesta pubblica per superare i timori e le riserve manifestate nei suoi confronti. Ma il rapporto finale della commissione parlamentare incaricata concluse che le società cinesi di telecomunicazioni, quindi anche Huewei, erano una minaccia per la sicurezza nazionale ed era necessario che il governo americano le tenesse sotto un attento controllo. Il momento peraltro che ha aperto una fase acuta dello scontro tra l’amministrazione Trump e Huawei è stato nel 2019 quando il Dipartimento di Giustizia accusò l’impresa cinese di aver rubato segreti commerciali a un’impresa americana, di aver intralciato procedimenti legali a suo carico e di aver violato le sanzioni imposte contro l’Iran. Da questo momento è stato un crescendo di accuse e di azioni contro la società cinese. Tra le accuse principali che alimentano tuttora il conflitto contro Huawei c’è quella di essere una società privata legata al Governo e al Partito Comunista cinese, di essere finanziata con soldi pubblici, di mantenere relazioni privilegiate con l’Esercito Popolare di Liberazione cinese e di aver predisposto i suoi apparati di telecomunicazioni per svolgere un’attività sistematica di spionaggio in favore della Cina. Le conseguenze di queste accuse sono state soprattutto di tre tipi. Innanzi tutto gli Stati Uniti hanno fatto crescenti pressioni sui paesi alleati per far interrompere i loro rapporti con Huawei ottenendo risultati notevoli, nonostante la qualità dei suoi impianti per la quinta generazione di reti mobili sia considerata la migliore. Agli investitori americani è stato chiesto di liquidare le loro partecipazioni ai capitali di Huawei e di altre società cinesi attive nel campo delle tecnologie elettroniche. La terza azione è stata quella di imporre alle società che producono circuiti integrati utilizzando brevetti americani di chiedere il permesso per vendere i loro prodotti a società cinesi. Una delle più colpite è Huawei che, per restare soltanto ai suoi smartphone, nei suoi apparecchi installa almeno quattro componenti essenziali disponibili solo su permesso degli Stati Uniti.

La dipendenza della Cina dall’estero: il ritardo cinese nei semiconduttori

Nonostante i grandi investimenti fatti negli ultimi anni (Piano Quinquennale 2015-2020) per ridurre la sua dipendenza dall’estero nel settore la Cina nel 2019 ha importato circuiti integrati per 300 miliardi di dollari e con la produzione nazionale ha coperto solo il 17 percento del fabbisogno. Le forniture dei produttori di circuiti integrati stranieri pesano molto anche sul commercio estero dal momento che il 50 percento dei semiconduttori importati sono esportati dalla Cina come componenti di altri prodotti. Nel 2015 tra gli obiettivi strategici da raggiungere nel decennio successivo c’era la copertura del 60 percento del fabbisogno nazionale. Oggi l’obiettivo appare ancora più urgente alla luce delle restrizioni decise dagli Stati Uniti a cui  il Governo cinese ha reagito accelerando i piani di investimento nel settore. Ma già ora molti osservatori anche cinesi ritengono che ridurre in modo significativo la dipendenza del paese dall’estero in questo settore sia un obiettivo difficile e di lungo periodo.

Un indicatore sintetico della qualità dei semiconduttori è lo spessore delle “fette” (wafer) di silicio su cui si fissano  milioni di transistor attraverso procedure complesse. Le due imprese che producono i circuiti integrati più avanzati su scala mondiale sono Samsung, sudcoreana, e Taiwan Semiconductor Manifacturing Corporation (TSMC). Solo loro sono oggi in grado di mettere in commercio circuiti integrati di 5 nanometri (un nanometro=miliardesimo di metro) destinati, fra l’altro, alla nuova generazione di smartphone. Ridurre le dimensioni dei circuiti integrati significa aumentare le loro prestazioni e ridurre il consumo di energia, quindi delle batterie degli smatphone. Huawei, con una sua filiale, produce oggi circuiti integrati di 45 nanometri, considerati di bassa gamma e sarà in grado di produrre quelli di 28 nanometri alla fine del 2021 e quelli di 20 nanometri l’anno successivo da utilizzare anche nelle sue reti mobili di quinta generazione (G5).

Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC), il maggior produttore cinese di circuiti integrati è in grado di produrre circuiti di 14 nanometri che contengono però la metà dei transistor di quelli installati sui circuiti di 7 nanometri. Anch’essa dipende molto dalle forniture straniere in varie fasi del processo produttivo ed è compresa nella lista delle imprese cinesi che non possono ricevere prodotti e servizi dagli Stati Uniti, o da imprese che lavorano con loro brevetti, se non con specifiche licenze. Ciò significa che con molte probabilità SMIC, come gli altri produttori cinesi di circuiti integrati non avranno accesso alle più avanzate tecnologie per sviluppare nuovi prodotti e difficilmente potranno arrivare alle nuove generazioni di circuiti già in produzione in Corea del Sud e a Taiwan. Su questo fronte le prospettive per la Cina sono incerte e, secondo molti osservatori il suo obiettivo di raggiungere l’indipendenza da fornitori stranieri appare poco probabile almeno per i prossimi dieci anni.

Le prospettive per il futuro viste da Pechino alla luce degli accordi siglati con l’Unione europee e le prospettive che si potrebbero aprire con la nuova Amministrazione statunitense

E’ ancora presto per capire se, con la nuova presidenza americana le relazioni tra Stati Uniti e Cina saranno meno tese, ma sul fronte delle nuove tecnologie digitali è difficile pensare che l’amministrazione americana prenda decisioni che possano ridurre sensibilmente il suo vantaggio su scala mondiale e soprattutto sulla Cina.

La reazione al Comprehensive Agreement on Investment (CAI), l’accordo siglato alla fine del 2020 tra Unione Europea e Cina che dovrebbe garantire alle imprese e agli investitori europei migliori condizioni per operare nel mercato cinese mette in evidenza che gli Stati Uniti non intendono “abbassare la guardia” rispetto alla Cina.

E’ stato infatti non solo criticato, ma l’Europa è stata sollecitata da membri di primo piano dell’entourage di Joe Biden a concordare e coordinare in futuro le proprie iniziative verso la Cina con gli Stati Uniti. Ogni relazione occidentale con la Cina indipendente dai suoi interessi o dalle sue scelte creerà turbolenza con gli Stati Uniti. L’America non hanno mai dimostrato un vero interesse al rafforzamento dell’indipendenza europea e della coesione dei suoi paesi membri, e mantiene tuttora un forte potere di condizionamento e ritorsione nei confronti dell’Europa.

D’altra parte accondiscendere alle pressioni anticinesi americani può rappresentare dei costi. Un solo piccolo esempio offerto dall’attualità: la decisione del Regno Unito di interrompere, su pressione americana, le commesse a Huawei per la costruzione della rete cellulare di quinta generazione costerà agli inglesi una perdita di due miliardi di sterline e un rinvio di tre anni prima che la rete fatta da nuovi fornitori diventi operativa.

L’Unione europea dovrebbe fare attenzione prima di seguire gli Stati Uniti nel conflitto contro le imprese tecnologiche cinesi e, in particolare, quelle che possono fornire impianti di telecomunicazioni di qualità avanzata e a condizioni vantaggiose e altri apparati di comunicazione. Dovrebbe innanzitutto verificare in modo meticoloso le accuse contro di loro. In particolare quella più grave cioè la minaccia che esse rappresentano per la sicurezza nazionale dei paesi in cui operano.

Acquisire le tecnologie di quinta generazione da Huewei comporta veramente il rischio di affidarsi ad apparati nevralgici per la politica, l’economia e le società nazionali che sono controllate dai servizi segreti e dall’esercito cinese sia in tempo di pace sia in situazioni di crisi?

Questo è quanto affermano ripetutamente gli Stati Uniti, unitamente ad altre accuse che nell’insieme andrebbero meglio verificate e valutate prima di seguire e far propria la linea americana messa a punto per difendere i suoi interessi che non coincidono necessariamente con quelli europei. Soprattutto se l’Europa aspira a rafforzare la sua autonomia e ad essere una protagonista a pieno titolo di un modo multipolare.

1. Molte informazioni su Huawei derivano dai seguenti testi: Deloitte (2020), Rise of “Big 4”. The Semiconductor Industry in AsiaPacific, https://www2.deloitte.com/cn/en/pages/technology-media-and-telecommunications/articles/rise-of-the-big-4.html/ ; Min Tang, “Huawei Ver- sus the United States? The Geopolitics of Exterritorial Internet Infrastructure”, International Journal of Communication, Vol.14 (2020), pp. 4556-4577, https://ijoc.org/index.php/ijoc/article/view/12624/3204;US Department of State, Huawei and its Siblings, the Chinese Tech Giants: National Security and Foreign Policy Implication, Washington, 11 settembre 2019 https://2017-2021.state.gov/huawei-and-its-siblings-the- chinese-tech-giants-national-security-and-foreign-policy-implications/index.html; Yun Wen, The rise of Chinese Transnational ICT Corpora- tions. The case of Huawei. (Doctoral dissertation), Simon Fraser University, Canada. Retrieved from https://summit.sfu.ca/item/17505; Zhan Zhang, Technology and Geopolitics, testo in fase di revisione gentilmente fornito dall’autrice.