Lo scenario

Democrazia Futura. Germania: transizione o svolta?

di Massimo De Angelis, scrittore, giornalista, si occupa di filosofia |

Massimo De Angelis affronta un’analisi del quadro politico tedesco incerto dopo il quindicennio di Angela Merkel, chiedendosi se dopo il voto del 26 settembre 2021 la Germania conoscerà un periodo di transizione sotto il segno della continuità oppure una svolta.

Massimo De Angelis

Massimo De Angelis affronta un’analisi del quadro politico tedesco incerto dopo il quindicennio di Angela Merkel chiedendosi se dopo il voto del 26 settembre 2021 la Germania conoscerà un periodo di transizione sostanzialmente sotto il segno della continuità oppure una svolta. I sondaggi degli ultimi mesi hanno evidenziato un quadro molto fluido. “In primavera, dopo sondaggi a lungo stabili, la recrudescenza del Covid/19 […] aveva creato un malcontento verso il governo e quindi soprattutto verso la Cdu-Csu. Vi erano stati poi alcuni scandali a far calare nei sondaggi la formazione di maggioranza e a far lievitare i Verdi visti come il “nuovo”. Infine la scelta della candidata verde, la giovane ed effervescente Annalene Baerbock aveva accentuato questa tendenza, tanto più che il candidato opposto dalla Cdu Armin Laschet scelto invece del più brillante Markus Soeder (bavarese della Csu) non era risultato convincente. Tutto ciò aveva portato nei sondaggi, per un paio di settimane, a un largo sorpasso subìto dalla Cdu-Csu da parte appunto dei Verdi stimati al 28 per cento rispetto al 22 per cento dell’Unione. Successivamente, però, lo choc era stato riassorbito e il partito di maggioranza aveva iniziato una costante rimonta facilitata anche da alcuni scivoloni dei leader verdi in politica estera, da uno scandalo che aveva toccato la stessa Baerbock […] e infine il varo del programma di governo dei Verdi giudicato un po’ da tutti velleitario e confuso. Vi erano state poi elezioni locali che avevano confortato la Cdu e tutto ciò aveva portato a un nuovo ribaltamento dei rapporti di forza tra i due primi partiti (28 a 22), con la Spd sempre inchiodata al 15. Vi è stato a questo punto, però, il drammatico colpo di scena provocato dall’alluvione in Renania-Vestfalia con l’impressionante numero di vittime. Lampante è risultata la centralità della questione ambientale e la sottovalutazione di essa da parte dell’insieme delle forze di governo. Sembrava potesse essere il classico tappetino rosso per i Verdi. E invece no. Se Laschet ha pagato il prezzo di un comportamento goffo e di una risata fuori luogo nel luogo della catastrofe (tra l’altro il “suo” Land), la Baerbock è apparsa a sua volta rigida e in ritardo sugli eventi. La scena è stata così occupata da due volpi socialdemocratiche: prima il presidente Frank Walter Steinmaier che all’inizio insieme ad Angela Merkel ha fronteggiato politicamente ed emotivamente la situazione, poi da Olaf Scholz, vicecancelliere Spd, ministro delle Finanze e candidato alla cancelleria, uomo forte dell’esecutivo e secondo molti il collega di governo con cui la Canceliera uscente è più in sintonia. E così la Spd ha iniziato una lenta ma costante e perfino sorprendente ascesa […]. Gli ultimi cinque sondaggi sembrano stabilizzare un discreto vantaggio socialdemocratico sull’Unione (stimato a seconda degli istituti fra 2 e 6 punti) con la Spd quotata al 25-26 per cento, l’Unione fra il 19 e il 23 per cento, i  Verdi  fra il 15 e il 19 per cento, i liberali della Fdp fra l’11 e il 13 per cento, l’estrema destra Afd fra l’11 e il 12 per cento (ma attenzione potrebbe essere in crescita nell’ex DDR ai danni della Cdu) e, a sinistra la Linke fra il 6 e l’8%. Nel Bundestag si confermerebbe la presenza di queste sei forze politiche”. Questi valori confermano quella che De Angelis chiama “La spinta irreversibile al multipartitismo dopo Il lento declino dei due piloni della politica tedesca del secondo dopoguerra”. Rimane difficile prima del voto stabilire cosa potrà accadere in queste ultime settimane prima del voto e numerose sono le ipotesi che si formulano per il prossimo governo da una nuova Grosse Koalition al governo delle sinistre passando per una coalizione Giamaica fra Unione verdi e liberali e “una coalizione tra i tre partiti storici della democrazia tedesca, Unione, Spd, Fdp [che] potrebbe apparire – secondo De Angelis – la più probabile e persuasiva”. L’articolo prosegue esaminando storicamente le coalizioni che si sono susseguite dal dopoguerra in poi soffermandosi su “Le esperienze di governo dei socialdemocratici dopo la svolta di Bad Godesberg”, “Il ritorno della CDU con il lungo cancellierato di Kohl, padre dell’unificazione, l’intermezzo della neue Mitte di Schroeder e il consolidamento della Germania nel quindicennio di Angela Merkel”. L’autore giudica il bilancio della Canceliera “Sotto il segno dell’ordoliberalismo con i conti in ordine e una crescita di sovranità”: “quasi naturalmente (ma in realtà grazie a una grande dose di accortezza), il suo modello di economia sociale di mercato su fondamenta ordoliberali si è venuto gradualmente applicando all’Unione. Naturalmente tutto ciò ha avuto dei contraccolpi di non poco conto negli altri Paesi, culminati con la Brexit […] l’Europa dovrà seguire questa volta con particolare attenzione non solo l’esito del voto ma soprattutto – conclude De Angelis – l’andamento delle trattative per la formazione del governo. Sarà un momento decisivo per capire se l’Europa avrà tutto sommato ancora una guida stabile o se, in tempi per tutti calamitosi, anche questo riferimento comincerà a risultare più traballante”.


Già da tempo si sapeva che il voto in Germania del 26 settembre prossimo avrebbe segnato comunque un cambio d’epoca. Perché, dopo un quindicennio, si chiuderà l’era di Angela Merkel. Le elezioni di questo settembre, però, saranno anche ricordate come quelle che hanno conosciuto la più lunga, altalenante e incerta campagna elettorale della storia tedesca federale. 

Che cosa è infatti avvenuto? In primavera, dopo sondaggi a lungo stabili, la recrudescenza del Covid/19 col pesante strascico sanitario, economico e sociale che ha colpito anche il gigante tedesco aveva creato un malcontento verso il governo e quindi soprattutto verso la Cdu-Csu. Vi erano stati poi alcuni scandali a far calare nei sondaggi la formazione di maggioranza e a far lievitare i Verdi visti come il “nuovo”. Infine la scelta della candidata verde, la giovane ed effervescente Annalene Baerbock aveva accentuato questa tendenza, tanto più che il candidato opposto dalla Cdu Armin Laschet scelto invece del più brillante Markus Soeder (bavarese della Csu) non era risultato convincente. Tutto ciò aveva portato nei sondaggi, per un paio di settimane, a un largo sorpasso subìto dalla Cdu-Csu da parte appunto dei Verdi stimati al 28 per cento rispetto al 22 per cento dell’Unione. Successivamente, però, lo choc era stato riassorbito e il partito di maggioranza aveva iniziato una costante rimonta facilitata anche da alcuni scivoloni dei leader verdi in politica estera, da uno scandalo che aveva toccato la stessa Baerbock, riguardante, come spesso accade in Germania, plagio di tesi di laurea e curriculum un po’ taroccati (faccende che i tedeschi puniscono più severamente degli italiani), e infine il varo del programma di governo dei Verdi giudicato un po’ da tutti velleitario e confuso. Vi erano state poi elezioni locali che avevano confortato la Cdu e tutto ciò aveva portato a un nuovo ribaltamento dei rapporti di forza tra i due primi partiti (28 a 22), con la Spd sempre inchiodata al 15.

Vi è stato a questo punto, però, il drammatico colpo di scena provocato dall’alluvione in Renania-Vestfalia con l’impressionante numero di vittime. Lampante è risultata la centralità della questione ambientale e la sottovalutazione di essa da parte dell’insieme delle forze di governo. Sembrava potesse essere il classico tappetino rosso per i Verdi. E invece no. Se Laschet ha pagato il prezzo di un comportamento goffo e di una risata fuori luogo nel luogo della catastrofe (tra l’altro il “suo” Land), la Baerbock è apparsa a sua volta rigida e in ritardo sugli eventi. La scena è stata così occupata da due volpi socialdemocratiche: prima il presidente Frank Walter Steinmaier che all’inizio insieme ad Angela Merkel ha fronteggiato politicamente ed emotivamente la situazione, poi da Olaf Scholz, vicecancelliere Spd, ministro delle Finanze e candidato alla cancelleria, uomo forte dell’esecutivo e secondo molti il collega di governo con cui la Canceliera uscente è più in sintonia.

E così la Spd ha iniziato una lenta ma costante e perfino sorprendente ascesa che nel giro di un mese l’ha portata nei sondaggi dal 15 per cento al 23  per cento con la Cdu-Csu scesa di nuovo al 22.

Mentre scriviamo (7 settembre 2021) a meno di tre settimane dal voto, gli ultimi cinque sondaggi sembrano stabilizzare un discreto vantaggio socialdemocratico sull’Unione (stimato a seconda degli istituti fra 2 e 6 punti) con la Spd quotata al 25-26 per cento, l’Unione fra il 19 e il 23 per cento, i  Verdi  fra il 15 e il 19 per cento, i liberali della Fdp fra l’11 e il 13 per cento, l’estrema destra Afd fra l’11 e il 12 per cento (ma attenzione potrebbe essere in crescita nell’ex DDR ai danni della Cdu) e, a sinistra la Linke fra il 6 e l’8%. Nel Bundestag si confermerebbe la presenza di queste sei forze politiche Le altre forze – tutte al di sotto della soglia di sbarramento – oscillerebbero fra il 6 e il 9 per cento.

Quali elementi di valutazione trarre da tali dati? Per prima cosa occorre tener presente che manca ancora un pezzo di campagna elettorale che avrà al centro temi importanti e quindi molto può ancora succedere. In proposito vanno aggiunte due cose. I sondaggi in Germania, per loro stessa ammissione fotografano solo fino a un certo punto la realtà e questo sia per l’alto numero d’indecisi (a oggi quasi un quarto dell’elettorato) sia perché molti elettori dichiarano certe preferenze salvo poi rifugiarsi nel voto utile. Vi è chi calcola che un alto numero di persone decida il proprio voto nelle ultime 48 ore. E quest’anno la volatilità è particolarmente intensa.

Tutto ciò premesso alcune considerazioni è lecito farle. Innanzitutto: se anche in Germania non esiste il fenomeno del partito del leader, questa volta la personalità dei candidati sta contando più del consueto. Olaf Scholz gode di apprezzamenti trasversali nettamente superiori a quelli di tutti i suoi competitor con il candidato dell’Unione Laschet in grave difficoltà anche all’interno del suo partito. L’impressione, quindi, è che l’inerzia potrebbe perfino portare l’Spd ad accrescere il suo vantaggio se non crescerà presso settori dell’elettorato il timore per un governo che potrebbe includere anche la Linke.

La spinta irreversibile al multipartitismo dopo Il lento declino dei due piloni della politica tedesca del secondo dopoguerra

Esistono due dati, uno più strettamente politico, l’altro più di lungo periodo a dirci che l’incertezza rimarrà e non sarà di poco conto.

Se i fatti confermassero i sondaggi, per l’alleanza democristiana si tratterebbe di una débacle storica. Essa perderebbe infatti circa dodici punti rispetto a quattro anni fa e venti punti rispetto all’irripetibile 2013. La socialdemocrazia tedesca, al contrario, dopo aver conosciuto il suo minimo storico sarebbe quattro punti in risalita rispetto al 2017 e potrebbe sfiorare il risultato del 2013.

Si tratta comunque di una tendenza impressionante che indica un’irreversibile spinta al pluripartitismo al posto del sostanziale bipartitismo che ha a lungo caratterizzato la scena politica tedesca. All’interno di tale trend va segnalato che, se nel passato i democristiani avevano perso a favore di destra e liberali, stavolta i loro voti passerebbero soprattutto alla Spd. Questo rende forse plausibile un’ulteriore congettura e cioè che la partita elettorale decisiva si gioca oggi a chi è il più credibile erede della Merkel con Scholz che potrebbe essere visto come più in continuità e più affidabile, aggettivo quest’ultimo sempre straordinariamente importante alle orecchie dei tedeschi.

Insomma il cuore dell’ultimo scorcio della battaglia elettorale sarà più che mai per la conquista del centro (protagonisti Cdu-Csu e Spd) mentre il cleavage vecchio-nuovo che all’inizio aveva tenuto banco nella sfida di sondaggi tra democristiani e verdi, sembra meno dinamico e decisivo pur se non è da sottovalutare che nel loro complesso i Verdi dovrebbero all’incirca raddoppiare i loro voti.

Che cosa può dunque accadere?

Innanzitutto, per effetto della frammentazione detta, il prossimo governo federale non sarà monocolore ma con ogni probabilità neanche bicolore. Si andrà quindi, a meno di scossoni, a un tricolore. E già questa sarebbe una novità assoluta nel panorama della Germania federale, che renderà con ogni probabilità ancora più laboriosa del solito la stesura del programma di governo che già la volta scorsa ha richiesto mesi.

Va aggiunto che nel contesto attuale una forza politica che è data fra l’11 e il 12 per cento, la Alternative fuer Deutschland (Afd), è giudicata da tutti del tutto inidonea ad entrare al governo. Ve ne è poi un’altra, la Linke, che, pur partecipando ad alcune amministrazioni nei Laender, è anch’essa tradizionalmente esclusa da possibili scenari di governo a livello nazionale

Se, risalendo la china in queste ultime tre settimane, fosse la Cdu-Csu la prima forza politica, è quasi scontato che essa punterebbe a un’alleanza tra i tre partiti di governo storici (Unione, Fdp e Spd). Se, come appare a inizio settembre, a vincere fosse invece la Spd, questo partito avrebbe più possibilità davanti a sé. Potrebbe infatti cercare la medesima soluzione sotto la sua guida. Tale scelta vorrebbe dire puntare su stabilità e continuità. La Spd potrebbe puntare però, in nome della discontinuità, a un asse coi verdi aperto a una collaborazione con uno dei partiti più moderati (democristiani o più verosimilmente liberali).

Va da sé che un’ultima carta di riserva e governabilità, in caso di difficoltà nella formazione dell’alleanza di governo, potrebbe essere quella (numeri permettendo) di un governo con Verdi e Linke, che potrebbe però avere effetti destabilizzanti sul Paese. In ogni caso i numeri attuali indicano uno spostamento “a sinistra” del voto che la Spd dovrà comunque rappresentare e che potrebbe dare a quella imminente i caratteri di una legislazione di transizione. Un po’ come quella che nel 1966 vide l’alleanza tra Cdu e Spd come ponte verso i governi a guida socialdemocratica degli anni Settanta. In quest’ottica una coalizione tra i tre partiti storici della democrazia tedesca, Unione, Spd, Fdp potrebbe apparire la più probabile e persuasiva.

Le esperienze di governo dei socialdemocratici dopo Bad Godesberg

Con quali prospettive? Qui giova dare uno sguardo retrospettivo. È grazie ai principi dell’ordoliberalismo che la politica tedesca ha creato i presupposti dell’unità del Paese nel dopoguerra. Guardando le cose da questo punto di vista la storia dei governi tedeschi è straordinariamente espressiva e molto ordinata.

La Cdu-Csu di Konrad Adenauer ha governato con i liberali sin quando l’Spd è rimasta marxista e quindi estranea all’economia sociale di mercato. La svolta fu Bad Godesberg nel 1959, allorquando l’Spd abbracciò precisamente l’economia sociale di mercato, che divenne quindi fattore di unità nazionale. Non casualmente pochi anni dopo fu proprio un teorico dell’economia sociale di mercato e dell’ordoliberalismo, Ludwig Erhardt a guidare il primo governo dell’epoca post Adenauer preparando le condizioni per un esecutivo di grande coalizione, guidato da Kurt Georg Kiesinger, con l’Spd, che apparì subito destinato a preparare le condizioni dell’alternanza, in condizioni, a quel punto, di sicurezza, stabilità e continuità economico-sociale. 

Così avvenne e vi fu la lunga stagione di governi socialdemocratici a guida Willy Brandt dal 1969 al 1974 e poi di Helmut Schmidt dal 1974 al 1982, e in alleanza coi liberali, la stagione del pieno sviluppo del welfare e, fattore importante, della politica di distensione in campo internazionale.

Il ritorno della CDU con il lungo cancellierato di Kohl, padre dell’unificazione, l’intermezzo della neue Mitte di Schroeder e il consolidamento della Germania nel quindicennio di Angela Merkel

Seguì poi, con la svolta reaganiana e la fine della distensione, una nuova fase a guida democristiana con Helmut Kohl cancelliere per sedici anni, che gestì prima la fine della guerra fredda e poi soprattutto la grande fase della unificazione tedesca.

A fine secolo vi fu una nuova alternanza coi socialdemocratici di Gerhard Schroeder questa volta in alleanza coi Verdi. Ciò avvenne sull’onda della cosiddetta terza via europea che ebbe altri punti di riferimento in Tony Blair e Felipe Gonzales. Una alternanza soft dai contenuti lib lab e dall’idea dell’innovazione ma senza la pretesa di grandi cambiamenti.

Non a caso Schroeder parlò della sua politica come quella di una Neue Mitte, un nuovo centro più moderno. E in effetti i suoi governi portarono a una modernizzazione e a una nuova efficienza del modello tedesco, non a un suo cambiamento.

È iniziata quindi l’epoca Merkel, durata press’a poco quanto quella del suo maestro Kohl. È stata la fase del rafforzamento del gigante economico tedesco in una col consolidamento del processo di unificazione europea.  

Credo che il capolavoro della Merkel sia stato quello di riuscire, unico leader europeo, a coniugare il più possibile armonicamente interesse nazionale ed europeo.

Tutti gli altri governi europei hanno dato l’idea di perdere autonomia e credibilità nel processo di unificazione, la Germania è sembrata acquisirne di più. Ogni mediazione comportava anche un aumento di sovranità.

Sotto il segno dell’ordoliberalismo con i conti in ordine e una crescita di sovranità

Conseguenza di ciò, credo, è stato il fatto che mentre negli altri Paesi europei sono cresciuti movimenti populisti, questo è avvenuto marginalmente in Germania. Proprio perché in Germania la politica ha mantenuto credibilità e sovranità.

Naturalmente ciò ha avuto tre presupposti che esprimo molto schematicamente:

  1. La Germania si è presentata all’appuntamento europeo coi “conti in ordine”;
  • il suo peso economico gli ha consentito di far valere i suoi convincimenti e le proprie priorità più degli altri;
  • quasi naturalmente (ma in realtà grazie a una grande dose di accortezza), il suo modello di economia sociale di mercato su fondamenta ordoliberali si è venuto gradualmente applicando all’Unione.

La Brexit e i contraccolpi del consolidamento della Germania nell’era di Angela Merkel

Naturalmente tutto ciò ha avuto dei contraccolpi di non poco conto negli altri Paesi, culminati con la Brexit.

Ma vi erano alternative a tale percorso?

Se un forte nazionalismo in Gran Bretagna, Francia o Italia può essere insidioso e pericoloso per l’Europa, un nazionalismo tedesco sarebbe letale.

Non dimentichiamoci che anche perciò, per eludere cioè ritorni nazionalisti in Germania, oltre che per il peso economico e geopolitico del Paese, l’Unione europea si è costruita “attorno” più che “insieme” alla Germania.

Ebbene, e conclusivamente, come può impattare su tali delicatissimi equilibri il voto tedesco? 

Si può senz’altro prevedere, come detto, che non muterà l’orientamento europeista né l’ancoraggio all’ordoliberalismo. Sono questi i due cardini che danno continuità e stabilità all’equilibrio tra interesse nazionale ed europeo tedesco.

Si può immaginare che coi liberali aumenterà la spinta per le politiche a favore della concorrenza che già sono centrali nell’agenda dell’attuale commissione e in secondo luogo potrebbe affacciarsi con più forza la questione della difesa comune europea.

I Verdi non potrebbero d’altra parte che spingere per un potenziamento del green deal già ben presente, specie dopo il Covid-19 nell’agenda dell’Unione mentre un freno avrebbe il rilancio della difesa europea e le tasse sarebbero destinate invece ad aumentare.

In ogni caso, però, non muterà il baricentro della politica tedesca.

Conclusioni

Si può quindi dire che la Merkel lascia un quadro ben pre-ordinato. Eppure l’impressione è che ci vorrà un’energia e un sangue freddo simili, forse superiori, a quelli che la Merkel ha dimostrato in questo quindicennio per affrontare le sfide del prossimo futuro. Specie se la scelta di governo fosse di discontinuità potrebbe prodursi anche in Germania quella spaccatura a metà che caratterizza e dilania in modo sempre più forte i sistemi politici dell’Occidente. Una spaccatura che è culturale prima che politica e che sinora in Germania, grazie anche al merkelismo e alle buone prestazioni economiche e sociali del sistema è giunta ovattata.

Ma è soprattutto nella politica europea che il futuro governo federale giocherà la sua partita decisiva. Questo tanto più in quanto per l’Unione europea si impone un salto di qualità nelle politiche di coesione. Non solo concorrenza ma fisco e politiche sociali. E poi i tre grandi temi emergenti: ecologia ma anche immigrazione e difesa europea.

Ritengo che tale impresa sarà possibile se per un verso i Paesi europei riconosceranno con più serenità la guida della Germania e per altro se quest’ultima si dimostrerà capace di egemonia, che non è semplicemente attitudine al comando.

È ancora difficile intravvedere nel profilo dei candidati e nello loro proposte politiche la filigrana di una strategia insieme coraggiosa e realista. In conclusione l’Europa dovrà seguire questa volta con particolare attenzione non solo l’esito del voto ma soprattutto l’andamento delle trattative per la formazione del governo. Sarà un momento decisivo per capire se l’Europa avrà tutto sommato ancora una guida stabile o se, in tempi per tutti calamitosi, anche questo riferimento comincerà a risultare più traballante.