L'approfondimento

Democrazia Futura. Draghi: comunicazione di interesse nazionale, non di battaglia elettorale

di Stefano Rolando, Professore di Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM, presidente del Club di Venezia (1), già capo Dipartimento Informazione ed Editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri |

L’evoluzione pragmatica dell’approccio comunicativo del presidente del Consiglio. Restano aperti problemi di sistema di una adeguata comunicazione istituzionale

Stefano Rolando

Stefano Rolando torna su Draghi analizzando “L’evoluzione pragmatica dell’approccio comunicativo del presidente del Consiglio”. Rolando la definisce – come recita il titolo – “comunicazione di interesse nazionale, non di battaglia elettorale”, anche – se precisa nell’occhiello – “Restano aperti problemi di sistema di una adeguata comunicazione istituzionale”. Riassumendo l’operato dei primi sette mesi a Palazzo Chigi Rolando osserva come, dopo aver presa nella prima fase (febbraio-marzo 2021) “confidenza con il ruolo e le sue regole, anche Mario Draghi ha individuato presto una propria cifra relazionale con giornalisti e cittadini […] Così che nelle due parti successive (la primavera e l’estate) gli interrogativi si sono spostati dal “se parla” ai contenuti prevalenti di una forma comunicativa comunque più accentuata. Nel periodo aprile-maggio è prioritario l’accompagnamento al contrasto dell’azione, diminuita ma per nulla estinta, del virus (vaccinazioni e priorità nel regolare il processo di parziale riapertura). Nel periodo giugno-agosto si svolge una fitta attenzione allo scenario europeo e internazionale per consolidare ruolo e reputazione di un Paese che sta negoziando non solo l’importante quota di risorse assegnate ma anche una crescente funzione di accreditamento e di raccordo in campo europeo e internazionale”


Il 30 agosto 2021 – nell’ambito dei monitoraggi che svolge l’Osservatorio sulla comunicazione pubblica dell’Università IULM di Milano – ho reso pubblico un dossier di “cento testi” riguardante “Mario Draghi (e il suo governo) nell’approccio alla comunicazione” (2).

Ho atteso la fine di quel mese, dunque, per avere sottomano una meditata selezione di ciò che ragionevolmente è riconducibile a questo tema nel quadro di un cantiere semestrale che risponde ormai a più complessi interrogativi rispetto a quelli iniziali e che propone naturalmente temi più articolati.

Siamo infatti rapidamente usciti dalla prima problematizzazione, quella delle prime tre settimane del governo Draghi che si è insediato il 17 febbraio 2021. La comunicazione politica italiana si era così intossicata nel corso del tempo che – esattamente un anno dopo lo scoppio della pandemia (una poderosa concausa della parte finale dell’intossicazione) –   è bastata una forma di marcata sobrietà del nuovo presidente del Consiglio dei Ministri per aprire un fitto interrogarsi: ma Draghi parla? e se non parla come spiega? e se non spiega come governa? Eccetera.

Considerando la rete come campo di analisi, la selezione di contributi accademici, professionali e giornalistici (di cui vi è traccia da febbraio ad agosto 2021) ha fatto emergere un quadro plurale di opinioni, non ristretto ai più titolati “addetti ai lavori”, che mette in luce non solo i temi interpretativi in maggiore evidenza nell’agenda politica. Soprattutto mette in luce un interesse diffuso per la questione della qualità comunicativa del governo (tema a lungo rimosso).

È facile osservare che una parte cospicua dei contributi riguarda la prima fase (febbraio-marzo 2021) proprio per la ragione citata. Ma, presa confidenza con il ruolo e le sue regole, anche Mario Draghi ha individuato presto una propria cifra relazionale con giornalisti e cittadini.  Così che nelle due parti successive (la primavera e l’estate) gli interrogativi si sono spostati dal “se parla” ai contenuti prevalenti di una forma comunicativa comunque più accentuata.

  1. Nel periodo aprile-maggio è prioritario l’accompagnamento al contrasto dell’azione, diminuita ma per nulla estinta, del virus (vaccinazioni e priorità nel regolare il processo di parziale riapertura).
  • Nel periodo giugno-agosto si svolge una fitta attenzione allo scenario europeo e internazionale per consolidare ruolo e reputazione di un Paese che sta negoziando non solo l’importante quota di risorse assegnate ma anche una crescente funzione di accreditamento e di raccordo in campo europeo e internazionale.

Dominanti

I caratteri dominanti dei commenti sono così riassumibili: la discontinuità; l’autorevolezza nazionale e internazionale; la semplificazione dei messaggi riguardanti le policies (annunci o rendiconti).

Qualcuno, si sa,  è mal disposto (Giorgia Meloni in politica, Marco Travaglio tra i media, Nadia Urbinati non visceralmente tra gli accademici). Restano certo molteplici interrogativi.

Per esempio il carattere ancora frenato di una politica di spiegazione attraverso un progetto organico che significhi in qualche modo anche una linea di riforma della stessa comunicazione istituzionale in Italia – che è stato l’argomento del precedente scritto su Democrazia futura e che riprendo alla fine di questa nota – (3).

Tema che ha trovato il suo naturale contesto di argomenti (anche dentro il governo) nella fase di diffusione del PNRR. Che si caratterizza per un documento importante ma oggetto di scarsa narrativa e raramente accompagnato da chiarificazioni alla portata di tutti i target sociali oltre a quelli configurabili come “addetti ai lavori”.

I commenti iniziali hanno poi ampiamente segnalato (anche questo nel quadro delle discontinuità e per lo più con apprezzamento) l’utilizzo informativo stringato, strettamente segnalativo, dei socialmedia.

Il che ha interrotto o meglio ridotto l’accelerazione in Italia del clima permanentemente elettorale alimentata dall’intreccio tra comunicazione politica e comunicazione istituzionale. Ma ha lasciato aperte questioni di ridefinizione non solo pragmatica ma anche in qualche modo regolatoria circa l’ineludibile distinzione tra i due campi. Pur essendo annunciato il tema che viene colto come un promemoria in priorità anche nelle analisi che il citato dossier ha rendicontato.

Come scrive, ad esempio, Francesco Giorgino:

“Sobrietà nell’uso dei codici autorappresentativi secondo uno schema capace di valorizzare molto di più l’essenza della comunicazione istituzionale che le caratteristiche della comunicazione politica, per sua natura divisiva, polarizzante, enfatica, presentista, emozionale” (4).

Fin da queste prime battute si capisce che la parola “comunicazione” viene accostata alle vicende dl governo (quindi nel capitolo “comunicazione istituzionale”) quasi sempre con riferimento personale al premier Draghi. Non ci sono mai altri soggetti implicati e quindi potenzialmente sotto esame. Né la figura del portavoce, né gli uffici deputati (con il loro lungo trascorso), né una sorta di linea di coinvolgimento di gabinetto che esiste comunque per definizione in ordine a tutti i temi in agenda, né altri membri del governo quando la loro competenza è implicata.

Questo è il tratto che si consolida come singolare, con il carattere positivo di scremare circostanze, aspetti secondari, routine e rinviare ogni giudizio al profilo di una personalità comunque alta che mantiene reputazione e   controllo della relazione di insieme con gli eventi. Ma che lascia intendere che le insufficienze di sistema – emerse nel passato e accentuate nei due governi presieduti d Giuseppe Conte – restano per ora in ombra, senza far maturare (almeno in apparenza) un progetto di adeguamento e non mettendo mai figure diverse in campo, anche quelle che sarebbero in filiera istituzionale, dal sottosegretario con delega all’informazione e alle strutture che da lui dipendono alle task force costituite a Palazzo Chigi o nei ministeri di competenza a fronte di emergenza, tra cui il Consiglio Tecnico Scientifico (CTS) creato sul fronte della pandemia, ormai uscito da ogni cronaca e da una sostanziale trasparenza informativa.

Si capirà presto se questa linea di responsabilità alta e solitaria favorisce nel progredire delle cose e delle connesse complessità non solo una tenuta di immagine ma anche una funzionalità di esplicazione di compiti sociali e istituzionali. Essendo comunque giusto in questa fase sollevare l’interrogativo. Che, come riprenderò alla fine, contiene anche l’auspicio ad una evoluzione di quadro più generale di una competenza meritevole di un serio aggiornamento.

Paradigmi comunicativi non scontati

Nel dibattito professionale della comunicazione e sulla comunicazione si fa ricorso spesso a paradigmi che siano applicabili soprattutto all’efficacia della visibilità, al rapporto con il tema del consenso, agli equilibri garantiti da un certo confezionamento narrativo in cui non sempre la chiarezza è il collante utilizzato. Eccetera.

È evidente che – leggendo soprattutto i discorsi “meditati” del presidente del Consiglio – ciò che può essere considerato paradigmatico del modo personale di immaginare un’esigenza comunicativa, non risponde esattamente a quello schema. Risponderà, certamente, a qualche argomento invalso soprattutto nel dialogo tra istituzioni e media.

Ma a guardar bene Mario Draghi affida alla prospettiva comunicativa argomenti molto più valoriali.

Torniamo quindi, a questo proposito, su ciò che la responsabilità personale del presidente ha messo in luce e in evidenza in questo semestre.

Alcuni esempi

1. Il primo esempio (5) è tratto dal citatissimo discorso al Meeting di Rimini del 18 agosto 2020:

“La società nel suo complesso non può accettare un mondo senza speranza; ma deve, raccolte tutte le proprie energie, e ritrovato un comune sentire, cercare la strada della ricostruzione. Nelle attuali circostanze il pragmatismo è necessario”.

La parola metodologica generale la dice lui. Il pragmatismo. Il processo di ricostruzione (annuncio/progetto/attuazione) non deve dipendere da fissazione ideologica, anche se ha bisogno di qualche argomento teorico (“senza abbandonare i nostri principi”, aggiunge).

2. Ancora dal discorso al Meeting di Rimini del 2020:

“Trasparenza e condivisione sono sempre state essenziali per la credibilità dell’azione di governo; lo sono specialmente oggi quando la discrezionalità che spesso caratterizza l’emergenza si accompagna a scelte destinate a proiettare i loro effetti negli anni a venire”.

Come si mette in piedi l’attività di “trasparenza e condivisione” se non legando una all’altra (nessi comprensibili) le azioni di governo in una strategia comunicativa?

3. Il terzo è tratto dalle Dichiarazioni programmatiche (Senato, 17 febbraio 2021):

 “Dovremo imparare a prevenire piuttosto che a riparare, non solo dispiegando tutte le tecnologie a nostra disposizione ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che “ogni azione ha una conseguenza”.

Cosa significa “investire sulla consapevolezza” se non una leva programmata di percorsi narrativi e comunicativi, da attivare in uno schema di policies condivise, tra pubblico e privato e, in campo pubblico, tra competenze complementari?

4. Ancora dalle Dichiarazioni programmatiche:

“Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese”.

Qui entra in campo un tema obbligatorio nella politica di un capo di governo: regolare (con il pensiero e con il negoziato culturale e informativo) il rapporto tra gli stereotipi nostri e quelli degli altri. Tema di vasta portata.

5. Il combattimento agli stereotipi (cultura+informazione) è un nodo che torna anche nel discorso al Women political leaders Summit (21 giugno 2021):

“La riduzione delle disuguaglianze di genere deve essere una priorità a livello globale. Fin da giovanissime, le ragazze in tutto il mondo devono far fronte a pregiudizi e stereotipi culturali”.

6. Tra i molteplici esempi tratti dalle ormai numerose conferenze stampa si trovano segnali di metodo interessanti. Il tempo delle cose e delle priorità. Le cose da dire e da non dire. Per esempio:

“Verrà, io spero che venga il tempo in cui io potrò risponderle sulle mie vedute in tema di struttura della società e dell’economia, ma per ora è presto”.

7. Che nel dibattito pubblico vi sia un nodo sulla qualità del linguaggio (sostenerlo in forma istituzionale è – rispetto ad eventi non lontani – un principio politico) è parte del repertorio degli interventi del primo trimestre di governo. L’occasione è il 25 aprile. E il luogo è il carcere nazifascista di via Tasso a Roma:

“Il linguaggio d’odio, che sfocia spesso nel razzismo e nell’antisemitismo, contiene sempre i germi di potenziali azioni violente. Non va tollerato. È una mala pianta che genera consenso per chi calpesta libertà e diritti – quasi fosse un vendicatore di torti subiti – ma diffonde soprattutto il veleno dell’indifferenza e dell’apatia”.

Non c’è, ben inteso, nell’inventario ufficiale di discorsi costruiti prevalentemente sui fatti concreti la risposta di scuola alla domanda di scuola: che cosa intende per comunicazione?

Una domanda che comporterebbe il rischio di uscire dal campo stretto di un approccio funzionale all’agenda, per sconfinare nel territorio funzionale alla strumentazione del potere.

Oggi è questo il campo di gioco che la soluzione emergenziale ha disegnato per l’Italia.

E la non ridondanza marca qui una necessità di sistema, non solo nel paese culla delle retoriche ma anche nelle fughe acchiappanuvole di tanta politica dell’età democratica.

Le maggiori partite 1. Il contrasto alla pandemia

Si è fatto cenno alle dominanti del periodo: il contrasto alla pandemia (sul terreno sanitario e su quello sociale) e la ripresa di iniziativa internazionale che contribuisce alla reputazione del Paese.

Il primo tema ha fatto emergere una soglia, anche se meno accentuata di altri paesi europei (rispetto, ad esempio al 30% della Francia), di un 15% di cittadini refrattari alle esigenze della vaccinazione, che va tuttavia insieme ad un altro 15% di dispersione comunicativa e quindi di attitudini non conformi che depotenzia un po’ l’efficacia della campagna vaccinale.

Rispetto al quadro in atto con il precedente governo si sono al tempo stesso stemperate le conflittualità Stato-Regioni e si è riportato a ad un clima meno emozionale il triangolo comunicativo tra comunità scientifica, comunità economica e sistema dei media. I limiti al pieno raggiungimento degli obiettivi dipendono caso mai da fattori territoriali di insufficienza e risentono di una modesta efficienza della comunicazione pubblica nel suo complesso. In sostanza la perdita di controllo che si avvertiva nella fase finale del 2020 può dirsi riassorbita, lasciando aperto – per chi volesse dedicarvisi – il tavolo di analisi sulle opportunità e i rischi di una organizzazione della comunicazione di crisi che è ampiamente migliorabile.

Draghi ha conferito all’azione logistica riportata in seno alle competenti istituzioni una parte comunicativa ricondotta alla natura di servizio, senza sottrarsi a caratterizzare il senso di marcia delle strategie sanitarie anti-pandemiche nelle sedi opportune e nei momenti opportuni, come ad esempio l’occasione del Global Health Summit, parte della presidenza del G20, il 21 maggio:

La crisi globale non è finita. Dobbiamo agire rapidamente, altrimenti questi costi umani, economici e sociali rischiano di aumentare ulteriormente”.

L’esplosione di proteste e di violenze che a fine agosto 2021 caratterizza la battaglia della minoranza no vax contro il green pass, apre tuttavia un tema anche comunicativamente spinoso. Tra chi pensa che dietro questi movimenti ci siano istanze estremiste e violente comunque camuffate e chi pensa che vada distinta la violenza dallo scetticismo, ci sono vari spunti per lo svolgimento di un programma mirato e argomentato di comunicazione pubblica e scientifica che riduca il comun denominatore di piazza e isoli l’irriducibilità illegale rendendo più facile e più evidente il compito di contrasto anche della magistratura (6).

Ecco quindi che in Italia come in altre parti del mondo la nuova fase della battaglia contro il Covid-19 potrebbe contenere (ma non ci sono annunci al riguardo) un salto di qualità del trattamento informativo anti-pandemico di questo autunno 2021.

In questa partita, sarebbe ragionevole pensare che una chiarificazione sulla maggiore scomposizione delle motivazioni e delle posizioni dei segmenti che oggi vengono genericamente trattati in modo uniforme come “no vax”, produrrebbe una funzione di contrasto meno apodittico e quindi meno uniforme;  ma anche con componenti di fronteggiamento informativo che fanno riferimento all’attivazione di responsabilità diverse (affari sociali, salute, ordine pubblico, eccetera) alla fine contribuendo a restringere il perimetro  del pericolo pubblico che è comunque necessariamente evidenziato.

Le maggiori partite 2. Il consolidamento della reputazione dell’Italia nello scenario europeo e internazionale in virtù di un pragmatismo con tutte le sue apparenze sobrie e discrete

Il secondo tema lega la fase attuativa del processo di integrazione europea alle crisi delle aree contigue per l’Italia (Mediterraneo e Medioriente).

Ciò è avvenuto a Bruxelles con forti e innovative spinte a metà del 2020 ma poi con un sopravvenuto dualismo rallentante, maturato a seguito delle “decisioni coraggiose” in un processo di attuazione delle misure in cui l’antagonismo interno all’Europa delle nazioni mantiene il suo protagonismo.

A più riprese analisi e commenti segnalano – anche per la concomitanza della presidenza italiana del G20 – una caratterizzazione del ruolo e della figura del premier italiano, che nell’ambito dell’Unione Europea torna spesso sui suoi temi di riferimento (gestione unica del bilancio e del debito). Ma anche con una tessitura co-decisionale che assume particolare rilievo in una fase di concomitanze che rendono questa posizione riconosciuta come particolarmente importante.

Dal tempo della missione in Libia (la visita il 6 aprile, il successivo incontro di vertice il 22 giugno, con la decisione di mettere in campo non solo le emergenze ma anche il rilancio della cooperazione economica ed energetica) a oggi, è chiaro che la dirompente “questione Afghanistan” ha preso un sopravvento generale, anche grazie alla fattiva costruzione da parte di Draghi di una convergenza ampia attorno a misure di contenimento della catastrofe: “Gli attentati sono un fallimento colossale USA e NATO – ha detto l’ex ministra degli Esteri Emma Boninoe la sola idea importante è il G20 straordinario proposto da Draghi” (7).

Stiamo insomma parlando di ambiti in cui i governi si distinguono per produrre chiacchiere o puri eventi “di parata” ovvero per produrre soluzioni. Ed è quindi chiaro che non è qui che dobbiamo rintracciare ciò che viene considerata comunicazione suggestiva o presenzialista.

Introducendo così nel nostro breve schema l’idea che la politica estera (Europa compresa) riduce il carattere manieristico della comunicazione istituzionale spesso invalso nelle posizioni dell’Italia e accentua il pragmatismo con tutte le sue apparenze sobrie e discrete che la ricerca di soluzioni (appartenuta ad alcune generazioni di figure “di Stato” del nostro Paese) obbliga ad assumere in uno schema in cui, al di là delle volatilità, ci deve essere centralità delle parole scritte. E soprattutto delle parole firmate.

Un più ampio esame delle esternazioni espresse dal presidente nel quadro delle relazioni internazionali non deve far scordare una delle dichiarazioni di Draghi che ha fatto più rumore, quella – espressa nella conferenza stampa nazionale dell’8 aprile – che non ha avuto le “apparenze sobrie e discrete” per lo più emerse in materia di politica estera. La dichiarazione cioè riferita al premier turco Recep Tayyip Erdogan, che ha avuto riscontri positivi nel quadro occidentale (per primi i quotidiani Financial Times in Europa e New York Times negli USA)) ma, oltre la dura reazione dell’interessato, anche riserve e perplessità in Italia e all’estero (con le istituzioni dell’Unione europea che sono parse defilate).

“Non condivido assolutamente il comportamento del Presidente Erdogan nei confronti della Presidente von der Leyen, mi è dispiaciuto moltissimo per l’umiliazione che ha dovuto subire. Con questi dittatori, chiamiamoli così, di cui però si ha bisogno per collaborare, devi essere franco nell’esprimere la diversità di visione e pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese”.

Altre vicende diciamo così emergenziali non hanno affatto fornito un’idea silenziosa del comportamento di governo del premier e, anzi, in alcune circostanze internazionali e nazionali il posizionamento assunto è stato netto e nettamente responsabile. Come la ripresa del dialogo internazionale sul “climate change”, in cui Draghi ha assunto la responsabilità del rilancio (“L’Italia è il mio Paese, è un paese bello, ma fragile. La lotta contro il cambiamento climatico è una lotta per la nostra storia e per il nostro paesaggio”). O come la grave vicenda degli abusi compiuti dalla Polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere in cui il presidente ha tagliato ogni incertezza interpretativa piombando sul posto (14 luglio) insieme al Ministro della Giustizia Marta Cartabia con parole altrettanto schiette:

Oggi non siamo qui a celebrare trionfi o successi, ma piuttosto ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte. Venire qui oggi significa guardare da vicino, di persona per iniziare a capire. Quello che abbiamo visto negli scorsi giorni ha scosso nel profondo le coscienze degli italiani”.

In tutte queste occasioni (si sommano anche la giornata commemorativa del crollo del Ponte Morandi a Genova il 14 agosto o la visita al cantiere della “ricostruzione” ad Amatrice Il 24 agosto) c’è in Mario Draghi il sentimento di una linea invalicabile nel rapporto tra Stato e cittadini (già drammaticamente alla prova da anni, come dicono i dati di bassa, se non bassissima, reputazione: “Fiducia tradita, mai più” (8). 

Qui vi è la radice delle motivazioni in qualche modo strutturali dell’agire comunicativo pubblico.

I temi della ripresa

L’insieme dei nostri argomenti portano al 2 settembre 2021 e alla conferenza stampa a Palazzo Chigi che, forse più di altre, ha mostrato un punto emblematico sul rapporto tra potere e complessità, quel rapporto che abitualmente la politica trasforma in allusioni, vaghezze e cenni indiretti, nel condimento abituale di un effluvio di “si, ma”.

Mario Draghi ha affrontato in modo semplificato e diretto i temi offerti da giornate convulse, mantenendo nettezza di obiettivi.

Tanto che i principali quotidiani non hanno faticato a comporre l’occhiello di sintesi della conferenza stessa.

Per esempio il Corriere della Sera:

Il premier parla a Palazzo Chigi e difende le vittime di aggressione da parte dei no vax: «Violenza vigliacca». E sugli scenari politici: «Il governo va avanti, offensivo parlare di Quirinale adesso. Le questioni politiche? Le affrontino i partiti” (9).

Oppure La Repubblica:

Il presidente del Consiglio: “Violenza No Vax vigliacca, ribadisco l’invito a vaccinarsi. Entro fine settembre si raggiungerà l’obiettivo dell’80 per cento di immunizzati“. E assicura: “Il 91,5 per cento degli insegnanti ha ricevuto almeno una dose di vaccino” (10).

Due passaggi della conferenza, con brani di Draghi riguardo ai negoziati internazionali sull’Afghanistan:

  • “C’è qualcuno che è stato concludente in questa esperienza in Afghanistan? Indubbiamente l’Unione Europea è stata abbastanza assente, su certi piani è stata assente perché non è organizzata per questo, ma sul piano umanitario per esempio ha fatto molto. Quindi non sono cose da grande notizia: in ogni caso c’è molto da fare”.
  • Per quanto riguarda il G20, io continuo a pensare che si farà. Ora avremo un’altra serie di conversazioni, oltre ovviamente a quella di stasera, con il presidente Xi Jinping la settimana prossima. Vedremo anche quello che succede alla vigilia dell’Assemblea delle Nazioni Unite: in ogni caso avrà luogo dopo l’Assemblea delle Nazioni Unite, perché quella sarà un punto di confronto e di scambio molto importante”.

Giorgia Meloni marca la posizione (“una conferenza stampa surreale”) con lo scopo prevalente di accentuare le difficoltà di Matteo Salvini con cui la contesa per la leadership di destra resta sempre più aperta.

Comunicazione e comunicazioni

Ancora un cenno va fatto alla distinzione tra le politiche di comunicazione e le politiche per le comunicazioni:

  1. le politiche di comunicazione riguardano l’azione del governo diretta ai cittadini (e anche alle imprese, ai rapporti inter-istituzionali, al quadro internazionale).
  2. Le politiche per le comunicazioni riguardano un processo – sempre legato a una trama globalizzzata – di previsione scenaristica e di regolamentazione di tecnologie connesse a processi di ricerca, produttivi e commerciali.

Apparentemente cambia solo una vocale, in realtà si tratta di due mondi con qualcosa in comune e una montagna di cose distinte e diverse. Così che in queste pagine altri, con varie e riconosciute competenze, trattano il secondo approccio.

Ma questa nota riguarda il primo approccio. Il quale ha poi anche nel suo dossier metodologico un vivo problema di annuncio e di spiegazione, in particolare per accompagnare da un lato i caratteri sociali evidenti di un digital divide ancora in turbolenza e dall’altro lato per accompagnare i temi competitivi e di filiera produttiva e di ricerca di un sistema di imprese che agiscono ormai in una economia primaria nel mondo.

Lo schema di distribuzione delle competenze di governo ha assegnato ai rappresentanti di partito la gestione dell’esistente e ha collocato nelle mani di tecnici che fanno riferimento diretto al premier le competenze diciamo così di trasformazione. Dunque Draghi sa che l’efficacia comunicativa di quei settori dipende dalla credibilità di questa squadra che deve orientare le transizioni su basi di alta cognitività e di adattabilità progettuale. Inutile fare uso retorico e compulsivo delle parole di moda (innovazione, sostenibilità, eccetera).

Arriverà certamente il momento di fare un punto che risponda alle critiche che qualcuno ha sollevato sulla capacità attuativa del Piano, pur confermando la qualità della progettazione (11).  Come lo è stato quello della presentazione generale delle linee del PNRR con l’intervento alla Camera dei Deputati del 26 aprile, con questo forte incipit:

“Sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà”.

E quel momento sarà una tappa importante dell’evoluzione della comunicazione istituzionale del governo, perché misurata non sulla serietà degli intenti ma sul successo del cambiamento.

Tutto bene, madama la marchesa?

Se facessimo qui il punto finale, basterebbe togliere dalla riga sopra il punto interrogativo.

Ma quel punto interrogativo è lì a segnalare un vezzo se vogliamo retorico (mettere in dubbio) e uno strumento pragmatico di prevenzione (il costante bilancio di opportunità e rischi che è il fondo di ogni seria comunicazione pubblica).

La perdita di confini chiari tra politica e istituzioni ha mescolato e confuso almeno da trent’anni ciò che in Italia nemmeno prima era oggetto di chiarezza nel costume civile e culturale sia degli apparati pubblici che del convincimento sociale.

È questa la linea Maginot dell’Europa tra realtà in cui la distinzione resta marcata (e regolata) e realtà in cui si è perso il confine teorico e il presidio di un certo controllo sociale così da avere ogni giorno strumenti di prevenzione e difesa.

Non si fa sempre chiarezza in condizioni emergenziali dettate non per rigenerare un forum di aggiornamento costituzionale ma per salvare il Paese dalla crisi sanitaria, dalla perdita di slancio della produzione, dall’incremento della disoccupazione e – peggio del peggio – dall’innalzamento dell’analfabetismo funzionale.  

Mario Draghi non deve mostrare le stimmate ai raduni di pellegrini. E l’unico modo per evitare equivoci consiste nel chiarire che le stimmate non le ha neppure e, ancora con più forza, nel chiarire che non è nemmeno arrivato il castigamatti della politica. Ricordiamo quanto disse il 17 febbraio nelle sue Dichiarazioni programmatiche:

“Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità. Nei momenti più difficili della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza. Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato. Questo è lo spirito repubblicano del mio governo”

C’è infingimento o eccesso di understatement in questo approccio?

C’è piuttosto non andarsi a cercare una condizione di guerra interna, sonoramente esplosa nella parte finale del governo Monti, quando le guerre esterne coprono già largamente la mission e l’opportunità vitale dell’Esecutivo. Quindi non è sul terreno plateale che ci si deve aspettare l’introduzione di regole ovvero di misure anche procedurali tese a ridurre la confusione di sistema tra politica e istituzioni, di cui l’aspetto comunicativo costituisce al tempo stesso l’oggetto più evidente e la zavorra più ingombrante.

Ma il “se non ora quando?” di una riforma possibile della comunicazione pubblica, anche in questo approccio prudente e avendo coscienza della “stessa natura limitata della durata di un esecutivo di emergenza nazionale” (12), va tentata.

E va tentata non per “bacchettare” la politica, ma per risanare un parte sociale cognitivamente emarginata e per mettere più al sicuro le misure di rilancio alle quali non bastano le “cosiddette riforme” imposte dalle regole europee, ma anche una monumentale ricollocazione dei processi di spiegazione e di accompagnamento a cui non deve far fronte il solo presidente-demiurgo, ma una filiera di alleanze e di concertazioni tra soggetti pubblici e privati che risponda ad un piano coraggioso e realistico di cambio di marcia (13).

È chiaro che i temi di tenuta dell’agenda economica sono nelle corde primarie di Mario Draghi. E giustamente chi fa l’inventario dell’agenda della ripresa lo descrive come “un corridoio stretto”(14). Ma l’inquadramento della relazione tra crisi sanitaria e crisi sociale – inquadramento metodologico di governo e inquadramento della sua rappresentazione politico-istituzionale – che non è riuscito a Giuseppe Conte non ha un’altra sponda, un altro nome, un’altra opportunità per essere tentato.

Ho dedicato a questo tema il saggio-dossier Comunicazione pubblica come teatro civile – Governare la spiegazione. Una riforma importante nella pandemia e dopo, con la prefazione di Giuseppe Rita e con l’auspicio che lo “spirito repubblicano” del premier intercetti (insieme a tanti altri segnali) un tema che non lo deve mettere nel tritacarne del “teatrino”, ormai divenuto istituzione, ma al contrario lo deve predisporre a un ampliamento di comportamenti nel tessuto delle riparazioni a cui si sta adoperando, anche con i giusti silenzi, nell’interesse del Paese e della sua sicurezza geopolitica.

Note a fine  testo

(1) Il Club di Venezia (Club of Venice), organismo informale con segretariato permanente presso il Consiglio dell’Unione europea riunisce i responsabili della comunicazione dei governi dei Paesi membri e delle istituzioni che compongono l’Unione europea.

(2) https://www.iulm.it/it/sites/osservatorio-comunicazione-in-tempo-di-crisi/Comunicare-in-tempo-di-crisi.

(3) Stefano Rolando, “Mario Draghi e il ‘nostro’ spirito repubblicano. Perché fornire nuovi indirizzi nazionali alla comunicazione pubblica intesa come strategia europeistica”, Democrazia futura, I (2), aprile-giugno 2021), pp. 275-285, anticipato il 10 maggio 2021 dal giornale online Key4biz. Cfr.  https://www.key4biz.it/democrazia-futura-mario-draghi-e-il-nostro-spirito-repubblicano/359621/.

(4) Francesco Giorgino, “Il governo Draghi tra valore reale e valore percepito”, Sezione politica del sito di SkyTG24, 4 giugno 2021. Cfr. https://tg24.sky.it/politica/2021/06/04/il-governo-draghi-tra-valore-reale-e-valore-percepito.

(5) Qui e in seguito i riferimenti agli interventi del presidente del Consiglio sono alla raccolta dei testi nell’ambito del sito di Palazzo Chigi: https://www.governo.it/it/interventi.

(6) La posizione del presidente del Consiglio sulla crescente pressione no-vax è stata espressa senza giri di parole il 22 luglio 2021: “Gli appelli a non vaccinarsi sono inviti a morire oppure a far morire: non ti vaccini, contagi, muori, o fai contagiare e fai morire. Senza vaccinazione si deve chiudere tutto, di nuovo”.

(7) Si veda l’intervista di Giovanna Casadio ad Emma Bonino: “Non c’è speranza per le donne di Kabul. L’Occidente gira a vuoto”, La Repubblica, 29 agosto 2021.

(8) Il 15 agosto 2021 su tutta la stampa italiana, con l’annuncio di “nessun rischio di prescrizione per il processo”.

(9) Titolo in prima pagina del quotidiano milanese: “L’affondo di Draghi sui vaccini”.  Citiamo dal lungo pezzo di Monica Guerzoni che prosegue nelle pagine interne con il titolo: “Draghi: sì all’obbligo vaccinale. La Lega? Il governo va avanti”, Il Corriere della Sera, 3 settembre 2021, pp. 2-3.

(10) Titolo in prima pagina del quotidiano romano: “La sfida dì Draghi. “S’ al vaccino obbligatorio”, La Repubblica, 3 settembre 2021.

(11) Per esempio Giuseppe De Rita, “Pnrr, capacità progettuale ma povertà attuativa”, Corriere della Sera, 1° agosto 2021.

(12) Francesco Manacorda, “Il difficile autunno di Draghi”, La Repubblica, 15 agosto 2021.

(13) Un trattamento più ampio della questione in Stefano Rolando, “Le scadenti ragioni dei dualismi, le incertezze delle vie d’uscita – Per consolidare una moderna democrazia servono partiti rigenerati e serve una riforma della politica che vale come un PNRR. Se non ora quando?” Moondo.Info, 28 agosto 2021. Cfr. https://moondo.info/le-scadenti-ragioni-dei-dualismi-le-incertezze-delle-vie-duscita/.

(14) Federico Fubini, “Fisco, concorrenza e appalti Il corridoio stretto di Palazzo Chigi per proteggere la ripresa”, Corriere della Sera, 31 agosto 2021.

(15) Napoli, Editoriale Scientifica Italiana (data prevista di uscita: settembre 2021).