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Democrazia Futura. Come sopravvive il giornalismo indipendente mentre tutto scorre e tutto cambia

di Licia Conte, giornalista scrittrice e autrice radiofonica |

Vent’anni dopo il crollo delle Torri Gemelle nell’era dei big data e dell’intelligenza artificiale

Nel suo intervento al dibattito sulle prospettive del giornalismo promosso da Democrazia futura Licia Conte rimane convinta che sia possibile la sopravvivenza di un “giornalismo indipendente mentre tutto scorre e tutto cambia”. A parere della Conte “fiuto e intuito valgono ancora nell’era dei big data e del corredo di intelligenza artificiale che li raccoglie”.

Tutto scorre e tutto cambia.  Anche nel giornalismo del Bel Paese

Vorrei ricominciare tutto daccapo, vorrei misurarmi con il giornalismo di oggi, con le sue difficoltà e, chissà, le nuove opportunità man mano che si palesano. Non posso farlo direttamente e ringrazio Michele Mezza che ce le mette sotto gli occhi. La verità è che in questo mestiere non si può mai pensare di essere arrivati a mettere un punto.

Tutto scorre (lo sappiamo da oltre due millenni) e tutto cambia. E nel mondo, e nei modi, della comunicazione tutto cambia ancor più velocemente; nel mondo, e nei modi, cioè in cui gli esseri umani si mettono in relazione gli uni con gli altri. La relazione tra gli umani può essere benefica e persino amorevole, ma anche infida e pericolosa.

La comunicazione può agevolare sia l’una che l’altra tendenza. E la seconda tendenza spesso prevale, anche perché è difficile da contrastare quando la velocità con cui veniamo sommersi dalle notizie ci sovrasta e dunque non facciamo in tempo a valutarne la portata.

Già venti anni fa scrivendo per un sito di Infocivica mi chiedevo che fine stava per fare una delle regole-cardine del giornalismo: l’obbligo della verifica delle fonti. Ma chi è fonte, mi chiedevo già allora, e come si fa a verificarla all’epoca di Internet? Chi verifica che cosa, mi chiedevo, se vogliamo dare in fretta, sempre più in fretta -in tempo reale- le notizie?

Vent’anni sono più di un secolo per il nostro mondo e figuriamoci oggi quando Mezza mette sotto i nostri occhi la nuova figura del giornalista, divenuto ormai  soltanto “federatore di competenze esterne al giornale”. Ho passato dieci anni a Televideo al suo esordio e quella esperienza mi mette nelle condizioni di intuire se pur  vagamente ciò che sta ora accadendo. In quella catena di montaggio che fu per me e i miei colleghi Televideo, non c’era possibilità di verificare alcunché quando si sfornava un’Ultima Ora al minuto. Ci aiutava soltanto l’intuizione personale di ciascuno di noi. Quella non ci era stata tolta.

Fiuto e intuito valgono ancora nell’era dei “big data e del corredo di intelligenza artificiale che li raccoglie”

Ma oggi? Si può ancora parlare di intuito (fiuto in gergo) per il giornalista federatore? La domanda è: nel giornalista-federatore vi è ancora traccia di qualche forma di soggettività o è soltanto uno che avvita un bullone? Noi di Televideo tanto tempo fa potevamo scegliere fra le notizie offerte dalle agenzie di tutto il mondo selezionando quelle che – a nostro avviso – erano da pubblicare addirittura come Ultim’Ora.

Oggi? Se “il motore professionale del giornalismo diventa la potenza dei big data e il corredo di intelligenza artificiale che li raccoglie e li analizza…” che fine fa la figura  professionale  del giornalista?   Ma soprattutto – come giustamente osserva Mezza- “un giornale può mantenere una propria autonoma strategia se dipende dalle forme di intelligenza e di connessione sociale mutuate da altri soggetti?” E, in sintesi, “una redazione può competere se pensa come i suoi concorrenti?”

Perché continuo a credere fermamente in un servizio pubblico della comunicazione

Avendo fatto esperienza di un grande Servizio Pubblico della Comunicazione, nei decenni passati l’ho sempre rimpianto.

Ho continuato a pensare tenacemente, e forse anche testardamente, che una comunità nazionale ha bisogno di un luogo in cui depositare la memoria di sé e la propria identità; un luogo dal quale pensare istituzioni democratiche forti per il nostro Paese e per l’Europa; un luogo nel quale accogliere per farlo accogliere nelle nostre società il soggetto donna, ‘pari e differente’; un luogo di costruzione delle molteplici identità che via via andiamo assumendo; un luogo che ci restituisca sempre la nostra lingua, ma che ci aiuti a parlare, e a pensare nonché a sognare, da europei. Continuo a credere fermamente in tutto ciò. Ma ho ora  un motivo in più. Davanti ai cambiamenti in atto non si può più indugiare.

Se il giornalismo come fino a ora lo abbiamo conosciuto è morente, occorre trovare il modo di farlo rinascere. Possiamo permettere una comunicazione pensata, architettata e distribuita da piattaforme private?

Impedire ai padroni della Rete di togliere la parola a un presidente in carica malgrado la profanazione del Parlamento. Perché non è mai troppo tardi per costruire una piattaforma promossa dalla comunità nazionale in grado di certificare l’autenticità delle notizie

Penso ai fatti di Capitol Hill e al conseguente dramma vissuto dalle democrazie di tutto il mondo: siamo ancora nel bel mezzo di questa vicenda e vorremmo punizioni esemplari per chi ha osato profanare un Parlamento liberamente eletto. Non penso però che sia compito di Zuckerberg o Dorsey togliere la parola a un presidente ancora in carica. Desidero con tutta l’anima che Trump sia messo fuori gioco; di più: vorrei vederlo punito in modo esemplare, ma non è compito di quei signori, benché ricchi e potenti. È compito delle istituzioni americane siano esse del Congresso o delle Magistrature preposte.  È la democrazia, bellezza!

E per la medesima ragione non può essere solo compito di piattaforme gestite da soggetti privati, organizzare tutta la comunicazione nel nostro Paese. Deve farsene carico la comunità nazionale impiegando tutte le risorse necessarie per costruire piattaforme tali da non essere, e soprattutto non apparire agli occhi dei cittadini, minoritarie rispetto a quelle private. Compito primario del Servizio Pubblico sarà quello di certificare l’autenticità delle notizie. Tanto tempo fa si diceva ‘l’ha detto la radio’, e si intendeva: dunque è vero. Si dovrà tornare a quello. La verifica delle fonti sarà fatta a monte. Naturalmente, anche per farsi amare, il Servizio Pubblico dovrà avere palinsesti accattivanti e ricchi. E dovrà essere quel deposito di memorie, amore e rispetto per le istituzioni, identità molteplici e sogni, nei quali la comunità nazionale possa riflettersi e riconoscersi.

È il libro dei sogni? Sì. Mi chiedevo venti anni fa se era ancora possibile persuadere la politica a fare un passo indietro e a liberare le tante competenze necessarie a un’impresa siffatta. Oggi però il salto di maturità della politica è necessario se vuole salvare la democrazia, riguadagnando la fiducia dei cittadini. È giunta l’ora: tanti fatti, a partire da quelli di Washington, stanno a dirci che o l’Occidente tutto, in prima fila l’Europa,  comprende la lezione della Storia o questa sarà impietosa con noi, i nostri ideali, la nostra straordinaria cultura.

In tutto questo che fine farà la figura del giornalista? Non lo so. Dovrà probabilmente acquisire competenze nuove, dovrà ripensarsi totalmente. Non so dire di più. Sono però sicura che si possono capire i mutamenti in atto nel giornalismo solo praticandolo.  Certo mi piacerebbe, l’ho detto all’inizio, partecipare dall’interno di una redazione alla riqualificazione di questa straordinaria figura professionale. Ma sarò in panchina a fare il tifo per voi, colleghi.