Il passaggio

Democrazia Futura. Come si è passati dal Governo Conte all’esecutivo guidato da Draghi

di Marco Severini, docente di Storia dell’Italia Contemporanea all’Università di Macerata |

Per spiegare il transito dal governo Conte II al nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi è fondamentale e opportuno rivisitare velocemente lo scenario politico nazionale dell’ultimo decennio.

Marco Severini docente di Storia dell’Italia Contemporanea all’Università di Macerata inaugura un difficile esercizio, che taluni suoi colleghi continuano a giudicare impossibile: quello di scrivere la storia del presente ovvero non solo di separare i fatti dalle opinioni come fanno i buoni giornalisti, bensì di ordinarli secondo un ordine logico e spiegarli prendendo la debita distanza che in questo caso non è certo quella del tempo, e soprattutto evitando di cadere nel presentismo e di rimanere prigionieri di un presente eterno che nell’attuale vita politica italiana molto povera di grandi idee e programmi significa comunque fare i conti con continue inutili quanto sterili polemiche per mantenere l’attenzione dei media e soprattutto dei social su alcuni leader di partiti pigliatutti incapaci di selezionare nuove classi dirigenti. Paradigmatica di ciò la stagione che va “Da Conte a Draghi”, ovvero come recita l’occhiello “Come si è passati dal secondo Governo Conte all’esecutivo guidato dall’ex Presidente della BCE” esaminata sino a metà giugno 2021.


Nell’ultima puntata della prima stagione di una delle serie televisive statunitensi più graffianti e irriverenti degli ultimi tempi (The Politician), un giovane ambizioso che ha deciso di candidarsi al seggio senatoriale nello Stato di New York assiste a una scena sorprendente una volta rincasato: tutti i suoi amici e compagni di precedente ventura lo stanno aspettando nella sua angusta dimora per sostenerlo nella nuova sfida; c’è chi ha abbandonato il lavoro, chi gli studi, chi gli affetti (addirittura il matrimonio sull’altare di una chiesa pomposamente affollata) perché tutti credono nelle strabilianti capacità politiche del candidato.

Questa scena può essere assunta come amara metafora di ciò di cui difetta attualmente il sistema politico italiano, ingestibile e difficilmente riformabile, attraversato da profonde contraddizioni e disuguaglianze, tra le quali svetta l’ormai irreversibile smarcamento dalla base elettorale, dal popolo dei votanti in continua, irreversibile flessione.

Lo testimonia un dato eloquente: l’astensionismo in Italia è passato dal 9,4 per cento del 1979 al 19,5 per cento del 2008 per toccare il 27 per cento del 2018: quest’ultimo dato coincideva, in sostanza, con la quota di popolazione che tre anni fa non s’informava mai di politica (26,8 per cento). La fase discendente avviata 42 anni fa in pratica non si è mai arrestata[1]. Che l’astensionismo diffuso sia una costante della politica nazionale non è dunque una novità. Una delle principali ragioni di tale trend decrescente sarebbe da rintracciare nella relazione tra elettori e classe politica e nella sfiducia dei primi nei confronti dell’efficacia del processo elettorale. Tale sentimento ha determinato, in buona sostanza, un atteggiamento di disillusione di una parte dell’elettorato, a causa della perdita di credibilità della classe politica. Il trend negativo è continuato con le ultime prove elettorali: il referendum del 4 dicembre 2016, contenente le disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario (bocciato dal 59,1% dei votanti), ha registrato un’affluenza del 65,5 per cento, mentre per il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020, relativo al taglio dei numeri dei parlamentari (con i che hanno raccolto il 69,5 per cento dei consensi) si è registrata un’affluenza del 53,85 per cento. Infine,  la percentuale di partecipazione alle consultazioni regionali del 2020 è stata del 57,09 per cento, mentre alle Comunali si è attestata al 66,12 per cento[2].

Per colmare questo gap tra istituzioni e popolo dovrebbe essere pianificato un ampio intervento di formazione politica e di educazione civica che però, in tempi di impressionante crisi delle principali agenzie educative, di incessante trasformazione digitale[3], di eccessive spinte di matrice individualistica e di pressante emergenza sanitaria, appare un’impresa quasi impossibile. La relazione tra elettori e classe politica e la sfiducia dei primi nei confronti dell’efficacia del processo elettorale restano dunque un problema di notevole rilievo. Del resto, senza partecipazione non ci può essere un’autentica vita politica democratica.

Per introdurre il tema di questo intervento, il transito dal governo Conte II al nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, pare opportuno rivisitare velocemente lo scenario politico nazionale dell’ultimo decennio.

L’ultimo decennio

Il sistema politico italiano è stato attraversato prima dal berlusconismo (fenomeno leaderistico e aziendalistico, pensato come prodotto politico con un lancio pubblicitario e apposito marketing, che non si è mai strutturato come partito sul territorio né ha curato il dialogo con le forze sociali o il contradditorio), poi dal Movimento Cinque Stelle (fondato da Beppe Grillo attorno a una visione dicotomica del mondo – che oppone il «popolo» a «loro» e rappresenta una significativa apertura alle forme di e-democrazia attraverso la lotta per temi fondamentali: acqua, ambiente, trasporti, connettività, sviluppo)  e, infine, da una forma di populismo dall’alto e di natura ibrida – cioè un populismo né identitario né indignato o protestatario ma del tipo «di tutto un po’», con promesse declinate sempre al futuro (4), personificato da Matteo Renzi, sindaco di Firenze e nel 2013 eletto segretario nazionale del Partito democratico, formazione nata nel 2007 dalle trasformazioni e dagli smarrimenti della sinistra con una fisionomia di forza progressista, riformista, europeista e di centro-sinistra (5).

Alle dimissioni da premier di Silvio Berlusconi (2011) hanno fatto seguito nel triennio successivo tre governi, presieduti rispettivamente da Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi, non scelti da una consultazione elettorale, ma sostenuti da intese parlamentari tra schieramenti differenti (6). Ma se ancora nel 2014 i maggiori esponenti di queste formazioni non sedevano in Parlamento, il governo Renzi, durato 1.024 giorni (dal 22 febbraio 2014-12 dicembre 2016) è sembrato più populista di chi è andato in piazza (7); ad esso è subentrato il ministero Gentiloni (12 dicembre 2016-1º giugno 2018) che in maniera ordinata ha portato a termine la XVII legislatura (8).

Quest’ultima però si è conclusa, dopo tre governi di centrosinistra, con un bilancio «penoso», a detta di un insigne giurista allievo di Norberto Bobbio, dal momento che tali governi hanno fatto l’esatto contrario del compito assegnatogli dall’articolo 3 della Costituzione, cioè la rimozione delle disuguaglianze economiche e sociali, al posto della quale c’è stata un’autentica promozione di tali disparità, facendo raddoppiare il numero dei poveri (nel 2018 un terzo degli italiani, 18 milioni, pari al 30 per cento della popolazione, era a rischio di povertà e la loro ricchezza complessiva risultava pari a quella dei 7 miliardari più ricchi della penisola) e determinando, con il taglio della spesa corrente complessiva alla sanità e alla scuola, un drastico abbassamento della qualità dell’una e dell’altra (9).

Sono seguiti i due governi presieduti da un professore di Diritto privato dell’ateneo fiorentino, Giuseppe Conte il quale, indicato dal M5S, ha diretto la vita politica nazionale attraverso due ministeri: il primo esecutivo (1º giugno 2018 – 5 settembre 2019) è stato espressione della maggioranza composta dalla formazione pentastellata e da quella leghista di Matteo Salvini, una formazione che ha superato il leaderismo e la rottura degli schemi tradizionali della politica proposta per un ventennio da Umberto Bossi per diventare nuova forza populista e sovranista in grado di attrarre consensi di massa fino a diventare la principale forza nazionale e di riposizionare il centrodestra con accanto Fratelli d’Italia. Quest’ultimo, partito di destra fondato nel 2012 e guidato dal 2014 da Giorgia Meloni, ex ministra nei governi Berlusconi, altra formazione dichiaratamente nazionalista, sovranista e conservatrice, nel cui simbolo è stata adottata la fiamma tricolore, evidente richiamo al Msi, partito d’ispirazione neofascista, che conta su 126 seggi tra Parlamento (52), Europarlamento (6) e Consigli regionali (68); FdI ha fatto segnare una crescita costante e incredibile, visto che è pronto a sfondare il muro del 20 per cento (10).

Il governo Conte II, composto da una coalizione comprendente Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali, ha avuto 17 mesi di vita, dal 5 settembre 2019 al 26 gennaio 2021 e, particolare non da poco – anzi, assolutamente inedito nella storia nazionale – ha dovuto fronteggiare una crisi pandemica assolutamente drammatica che ha colpito l’intero pianeta e provocato finora, solo nella penisola, oltre 130 mila morti (11).

Come vedremo tra poco, alla fine del gennaio 2021, di fronte allo stallo dei partiti della maggioranza uscente, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha incaricato Mario Draghi di costituire il nuovo governo: romano, classe 1947, già professore ordinario di Economia e politica monetaria (1981-91) all’Università di Firenze, direttore generale del Ministero del Tesoro (1991-2001), governatore della Banca d’Italia (2005-11), presidente della Banca centrale europea (2011-19, considerato dalla rivista Forbes nel 2018 il 18° uomo più potente del mondo, Draghi ha formato, il 13 febbraio 2021, il 67° esecutivo dell’Italia repubblicana, composto da 23 ministri (quindici uomini e otto donne), sostenuto in pratica da tutte le forze politiche eccetto Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana, un mix di tecnici e politici studiato nei minimi dettagli per giungere a una squadra di alto profilo, ma varato rispettando la regola del silenzio e del profilo social 0.0 (12).

I principali esponenti politici, che avevano subito dichiarato di non voler appoggiare un esecutivo guidato dall’economista romano, si sono ricreduti nel giro di due giorni e hanno dato vita a una grande coalizione governativa.

Dando uno sguardo alla società italiana del nostro tempo, essa risulta, oltre che diseguale, profondamente smemorata, dato che non ha ripetutamente saputo fare i conti con il proprio passato e si trova ad affrontare gravi problemi educativi (l’incapacità strutturale di una larga parte della scuola e dell’università a formare sul piano professionale, le difficoltà oggettive delle nuove generazioni, l’analfabetismo di ritorno, la maggioranza della popolazione che non legge neanche un libro all’anno, la citata crisi delle agenzie educative, eccetera) (13).

Dal canto suo, la spettacolarizzazione della politica, esplosa alle nostre latitudini negli anni Ottanta (quelli del craxismo imperante e dell’edonismo reaganiano), ha ormai raggiunto livelli difficili da commentare; le classi dirigenti si sono sempre più allontanate dalle masse, hanno fatto dell’autoreferenzialità un culto e si sono avviluppate attorno a un principale obiettivo che non è l’interesse della collettività, ma quello proprio di un’élite sparuta e chiusa in se stessa, che manda qualcuno a rappresentarla mediaticamente e fa poco altro; grandi discorsi e consistente spazio per una retorica consunta, insieme a una persistente incapacità di governare, evidenziano un vuoto allarmante, una sorta di buco nero che caratterizza, insieme a problemi vecchi (la decadenza civile e culturale; il debito pubblico; la differenza Nord-Sud e quella tra pochi ricchi e sempre maggiori poveri) e nuovi (il mancato potenziamento delle infrastrutture digitali a partire dall’estensione a tutto il Paese della banda larga; la fragilità idro-geologica, l’inquinamento; l’incapacità di raccogliere le macerie dei recenti terremoti in Italia centrale eccetera), una società individualistica, consumistica, mediatizzata ma anche sempre più disorientata.

Il settore della formazione – che dovrebbe essere, insieme alla sanità la cartina di tornasole per decifrare la salute di una società effettivamente democratica – vive forse la parabola più drammatica, dal momento che la scuola italiana boccheggia, l’università annaspa e la ricerca si impoverisce, relegandoci costantemente agli ultimi posti delle classifiche europee: la politica italiana ha smesso da tempo di interessarsi del mondo della scuola la quale, autentica «cenerentola» tra questi macro-problemi, dovrebbe invece avere un ruolo cruciale nell’attuale società aperta e dinamica, ma pure esposta a una «marea di falsificazioni, di manipolazioni, di mistificazioni» che inquinano e affliggono lo spazio pubblico (14).

Duro il giudizio degli imprenditori sociali sul primo ventennio del nuovo secolo:

Da molti punti di vista l’Italia ha dilapidato i primi due decenni di questo secolo tentando di annaspare e continuare a galleggiare nella burrasca del cambiamento perpetuo. L’alternarsi di governi brevi, la chiusura di tante fabbriche senza la nascita di praticamente nessuna nuova azienda e organizzazione che rivoluzionasse un settore a livello globale, l’esodo di centinaia di migliaia di giovani all’estero hanno lasciato un Paese vittima della sua propria narrazione del declino (15).

Un premier di fronte alla pandemia

Un mese dopo la caduta del governo Conte II, qualche analista si è messo a parlare della “sindrome del Conte di Montecristo”, riferendosi, mettendo in parallelo la fine dell’esecutivo con la vicenda di Edmond Dantès, il protagonista del celebre romanzo di Alexandre Dumas, al fatto che Giuseppe Conte era l’ultimo di una lunga serie di ex premier che, subito dopo aver abbandonato Palazzo Chigi, si erano messi a pianificare il ritorno. Il tutto svelava una costante della politica italiana visto che nella penisola, in virtù dell’incessante avvicendarsi di esecutivi, gli ex presidenti del Consiglio viventi sono 11 – una squadra di calcio –, mentre in Germania c’è solo Gerhard Schröder (cui presto farà compagnia Angela Merkel). L’ansia di questo eterno ritorno si rivela fattore, alle nostre latitudini, di ulteriore instabilità, dal momento che il sistema politico nazionale ha sempre accolto un qualche partito revanscista, finalizzato cioè a far recuperare il prestigio e il potere perso da un leader. Che però perde per motivi oscuri, trame di palazzo, complotti internazionali, non già per incapacità, fallimento o per cattiva fortuna (16).

Un giudizio sui tre anni di permanenza dell’avvocato pugliese a Palazzo Chigi richiede un’analisi circostanziata, ma non può prescindere dal fatto che la maggior parte del Conte II sia stato condizionato dalla pandemia da coronavirus.

Il primo esecutivo Conte (2018-19), basato sull’inedita alleanza tra le due forze prevalenti nel Paese, si è segnalato per il forte populismo di base e l’assunzione della linea sovranista ed euroscettica delle due forze di maggioranza, oltre che per riforme ambiziose (in tema di fisco, politica energetica e ambientale), una riconosciuta capacità di contrattazione con le istituzioni europee sul tema della manovra economica (conclusasi con l’assenso di Bruxelles affinché l’Italia portasse il deficit al 2,04 per cento del Pil, contro la richiesta originaria del 2,4 per cento), ma anche la continua litigiosità fra pentastellati e leghisti fino alla crisi di governo estiva determinata dalle continue schermaglie tra queste due forze politiche (17). Il secondo esecutivo Conte che, costituitosi il 29 agosto 2019, ha prestato giuramento il successivo 5 settembre, era imperniato sull’accordo di governo tra Movimento Cinque Stelle, Partito Democratico e Liberi e Uguali (ai quali si è unita “Italia Viva”, la nuova formazione fondata da Matteo Renzi, dopo che quest’ultimo è uscito, il 16 settembre 2019, dal Pd) e si attestava su posizioni più vicine a quelle del centro-sinistra e dell’europeismo, in aperto contrasto con la linea del precedente gabinetto. Il nuovo governo si presentava, dunque, con minor consenso popolare e maggiore coesione politica, nasceva in Parlamento grazie a forze che però non erano «maggioranza nel Paese» e, al di là di una maggiore compatibilità tra i due elettorati delle sue forze costitutive, il nuovo esecutivo esprimeva contestualmente elementi di forza e altri di debolezza (18).

Tuttavia la storia del 66° governo dell’Italia repubblicana è stata ampiamente caratterizzata dalla pandemia da coronavirus che ha visto il nostro Paese primo al mondo, dopo la Cina, a doversi difendere da una terribile emergenza sanitaria. Privo di aggiornati piani pandemici, in perenne conflitto con le Regioni sulla gestione della Sanità pubblica, il Conte II ha cercato di fronteggiare l’aggressione pandemica con un impegno diuturno, senza però poter disporre di vaccini. Il governo ha proclamato, il 31 gennaio 2020, lo stato di emergenza e messo in atto le prime misure di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale: sono stati sospesi i voli dalla Cina (ma non da altri paesi), istituite unità di crisi e altri organismi vigilanti, rafforzati sensibilmente i controlli e il personale medico e sanitario in tutti gli aeroporti e i porti finché, il 21 febbraio 2020, con lo scoppio dei primi focolai, un’ordinanza del ministro della Salute ha stabilito «misure di isolamento quarantenario obbligatorio per i contatti stretti con un caso risultato positivo» e disposto «la sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria per chi è stato nelle aree a rischio negli ultimi 14 giorni, con obbligo di segnalazione da parte del soggetto interessato alle autorità sanitarie locali». Mentre Conte pensava di contenere la diffusione epidemica con misure circoscritte a casi e infezioni localizzati, il morbo si diffondeva rapidamente. Ai primi del marzo 2020, il governo ha chiuso prudenzialmente scuole e università e con decreto governativo dell’8 marzo – la cui bozza incautamente circolava tra gli organi di stampa la sera di sabato 7 – ha isolato la Lombardia, in assoluto l’area maggiormente colpita, e altre quattordici province, che sono diventate zona rossa; lunedì 9 marzo, intorno alle 22, Conte annunciava il lockdown. Il sistema sanitario italiano veniva messo a dura prova e sfiorava, nelle aree del centro-nord, il collasso: la carenza di certi farmaci in Italia durante la pandemia — poiché i principi attivi sono ormai prodotti per lo più in India e in Cina — confermava come la globalizzazione ci avesse reso più vulnerabili. Seguivano due mesi di confinamento all’interno delle mura domestiche, con la possibilità di uscire solo per fare la spesa (nel punto vendita più vicino a casa) o per esigenze lavorative (19).

Colpita da immagini surreali (come le riprese notturne, nella notte tra il 18 e il 19 marzo, di settanta camion dell’esercito sui quali, a Bergamo sotto scorta dei carabinieri, venivano caricate le bare delle vittime per portarle fuori regione), la popolazione italiana offriva nel complesso una prova responsabile, non priva di eccezioni (già il 19 marzo 2020, su un milione di controlli risultavano 58 mila trasgressori, denunciati dalle pubbliche autorità) e assisteva confinata a una prova inedita e durissima: a fronte di un 10 per cento di italiani impegnati a frenare l’aggressione epidemica e a rifornire i negozi dei generi di prima necessità (in pratica il personale sanitario, i dipendenti di ciò che rimaneva aperto e i camionisti che facevano su e giù per la penisola per rifornire i punti-vendita della penisola), il restante 90 per cento cercava di resistere tra le mura di casa. Con il trascorrere del tempo, il confinamento domestico diventava problematico, evidenziava le antinomie caratteristiche del sistema-Italia, anche se la maggioranza dei cittadini continuava a tenere un comportamento rispettoso e civile.

Dopo 57 giorni di lockdown, di rifugio nell’universo digitale e nei mass-media e di aumento esponenziale di patologie relative alla psiche, gli italiani tornavano a uscire di casa, ma le riaperture davano il là a una sorta di “liberi-tutti” e venivano gestite incautamente; il governo non riusciva a programmare durante l’estate un’efficace ripartenza della struttura economica, sociale, civile e culturale cosicché il Paese veniva aggredito da una seconda ondata causata dai vacanzieri all’estero, dai frequentatori di discoteche e locali pubblici, da una mancata riorganizzazione dei trasporti pubblici; imprevidenti e inopportuni risultavano gli appelli di alcuni medici che, definendo il virus «clinicamente morto» a causa della bassa letalità estiva, diffondevano in milioni di persone la percezione che tutto (o quasi) fosse passato (20).

Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno 2020 si registravano dodici settimane continue di rialzi delle curve epidemiologiche e a fine settembre il numero dei morti in Italia superava quota 35 mila unità. Il governo Conte appariva impacciato ed esitante, oltre che connotato da una forte litigiosità politica. Mentre cercava di far ripartire la struttura produttiva del Paese (“Decreto Ristori”, del 28 ottobre 2020, introducente ulteriori misure urgenti per la tutela della salute e per il sostegno ai lavoratori e ai settori produttivi, oltre che in materia di giustizia e sicurezza connesse all’epidemia), il governo perdeva parte della popolarità precedente, imponendo nuove regole per contrastare il morbo, dall’obbligo di portare la mascherina all’aperto (7 ottobre), al varo del coprifuoco notturno (dalle 22 alle 5 del mattino: 3 novembre), alla proroga dello stato di emergenza nazionale al 31 gennaio 2021 fino all’introduzione del sistema a colori per le Regioni che destava un mare di polemiche (21).

Intanto la pandemia continuava ad aggredire: a fine novembre venivano superati i 50 mila morti, dato sottolineato con enfasi dai commentatori – un numero «da grandi catastrofi, da battaglie ottocentesche, più del doppio di Austerlitz, un’immensa pianura disseminata di cadaveri» (22) -, mentre il 3 dicembre 2020 diventava il giorno più nero, con il record di 993 decessi nell’arco di 24 ore, e «un’intera generazione falcidiata, quella dei nonni»: a differenza della prima fase, erano sempre meno i morti in terapia intensiva, la maggior parte si verificava a casa e il resto negli ospedali, «ma nei normali reparti e non nelle terapie intensive» (23). Gli esperti stimavano di aver visto fino a quel momento «il 45 per cento dei morti di questa ondata», mentre un altro 55 per cento era atteso, con una curva che sarebbe calata «lentamente». Quel 3 dicembre i decessi complessivi nella penisola superavano di poco le 58 mila unità; il 19 giugno 2021 – giorno di chiusura di questo saggio – risultano 127.253 (24).

Il governo continuava a gestire l’aggressione epidemica a stretto contatto con un gruppo di esperti, medici e scienziati (Comitato tecnico scientifico), che riportava quotidianamente i dati sul morbo ricavandoli dalle singole regioni, assumendo di volta in volta le decisioni del caso: il monitoraggio della pandemia metteva a confronto i dati epidemiologici del virus (il numero dei casi, l’indice Rt che mostra la capacità di un infetto di infettare altre persone, e il numero dei ricoveri, inclusi quelli in terapia intensiva) con quelli riferiti alle strutture sanitarie, al tasso di saturazione dei servizi sanitari su quello specifico territorio e con quelli utili a valutare la capacità da parte delle strutture territoriali di raccogliere informazioni sull’evoluzione pandemica; il tutto confluiva in una dashboard in cui tali dati venivano combinati per valutare un livello di rischio per ciascuna regione. Un modello, imitato da diversi Paesi del mondo, che però ha mostrato non poche falle.

Sul finire del 2020 i nodi giungevano al pettine e le problematiche emerse nei primi mesi pandemici (l’incomprensione della reale portata del pericolo; l’istituzione di un commissario straordinario per l’emergenza nella figura di Domenico Arcuri, rivelatosi goffo e inadatto; la creazione perenne di task force che si sono poi sovrapposte e scontrate tra di loro; errori di comunicazione) facevano breccia con altre criticità addebitate al premier da parte dell’opinione pubblica: dall’eccessivo decisionismo, simboleggiato dall’utilizzo dello strumento dei Dpcm (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, un puro atto amministrativo), annunciati in diretta televisiva, esautorando di fatto il Parlamento, al congelamento della vita politica, fino alla fiducia mal riposta sulla tenuta della maggioranza governativa che, nel passaggio tra un anno e l’altro, si scopriva notevolmente fragile e rissosa (25).

D’altra parte, la credibilità del premier si era decisamente rafforzata in Europa e all’Italia gli Stati del vecchio continente e di buona parte del mondo avevano guardato come modello da seguire nella difesa dalla pandemia, mentre alle abili capacità di negoziazione dell’inquilino di Palazzo Chigi andava attribuito il principale obiettivo conseguito da Conte, la concessione dei 209 miliardi di euro nell’ambito del Next Generation Eu, base concreta ed essenziale per la ripartenza post-emergenziale.

Tuttavia, a partire dal dicembre 2020 il governo Conte si trovava a contrastare una crisi che più “di palazzo” non avrebbe potuto essere, distante dagli umori e dai bisogni degli elettori, indecifrabile per la stragrande maggioranza dei cittadini.

Firma sul finale

Se a qualcuno è parsa ingloriosa, in realtà la fine del Conte II era annunciata da tempo. La firma scoperta su di essa l’ha messa – anche se non pochi si sono sbizzarriti in analisi dietrologiche e complottiste, riferendosi ai palazzi europei e ai poteri oscuri – Matteo Renzi il quale il 7 dicembre 2020 avviava lo strappo: i renziani disertavano Palazzo Chigi dove era stato convocato il vertice sul Recovery plan prima del Consiglio dei ministri, mentre il loro capo presentava contestualmente ai giornali la minaccia di ritirare le ministre di Iv se non fossero state apportate modifiche, riguardanti la spartizione dei fondi e la governance, al Recovery. Non era certo il momento più opportuno per far saltare il governo: il Paese fronteggiava con difficoltà e sempre più a malincuore la seconda ondata della pandemia (stavano per essere sacrificate le festività natalizie, la stanchezza nella popolazione era sempre più palpabile, i dati economici destavano crescente allarme) e si apprestava ad assistere al varo della campagna vaccinale e alla ratifica dei fondi europei. Il 9 dicembre Renzi interveniva a Montecitorio sostenendo che il Recovery plan non andava più bene, doveva essere ridiscusso interamente e il 28 seguente proponeva il proprio contropiano – chiamato maliziosamente “Ciao” –, composto da trenta pagine di critiche e tredici di proposte. Seguivano due richiami da parte del Capo dello Stato: dapprima nel discorso di fine anno (Sergio Mattarella richiamava il senso di responsabilità necessario per affrontare tempi di crisi e parlava apertamente di un tempo di «costruttori», sottolineando che non andavano sprecate «energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte») e poi, l’11 gennaio dell’anno successivo, quando una telefonata del Quirinale precisava che non era accettabile che si rallentasse il piano europeo per risollevare l’Italia. Il 12 gennaio 2021 usciva una nuova bozza del Recovery plan (prevedente soldi alla sanità, agricoltura, infrastrutture e turismo), ma per Renzi era ancora insufficiente. Conseguentemente, le ministre renziane si astenevano in Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte saliva al Colle e tentava una mediazione proponendo in televisione un patto di legislatura, ma era troppo tardi: in una nuova conferenza stampa, Renzi e i suoi si chiamavano fuori, parlamentarizzando di fatto la crisi (26).

Non disponiamo ancora di dati completi per poter avallare che si sia trattato di un Conticidio, tesi sostenuta da una ricostruzione giornalistica contenuta in un libro appena uscito, secondo cui sarebbe avvenuto un lungo e lento golpe, durato quasi tre anni, ordito per rovesciare il premier pugliese («il più apprezzato dall’opinione pubblica e più odiato dall’establishment») che si sarebbe scavato la fossa nella notte fra il 20 e il 21 luglio 2020, dopo aver portato a casa il maggiore (e indiscutibile) successo della sua carriera politica, i miliardi del Recovery Fund (27).

L’arrivo al capolinea dell’esperienza governativa di Conte è la conferma che un sistema politico inefficiente come quello italiano dimostra una particolare forza contro chi cerca di elevarsi al di sopra di esso (come già dimostrato con Renzi e in parte con lo stesso Mario Monti).

Il 2 febbraio 2021 il Capo dello Stato ha incaricato della costituzione di un nuovo esecutivo Mario Draghi, l’italiano al momento più autorevole nel consesso internazionale il quale, dopo aver accettato il mandato con riserva, ha formato, il 13 febbraio seguente, il 67° esecutivo della Repubblica italiana. Il varo di quest’ultimo ha portato gli osservatori più attenti a sottolineare l’indubbio rilievo del dato congiunturale. Nei settantacinque anni di storia repubblicana si sono registrati 67 governi con 29 presidenti del Consiglio e le crisi – ossia il tempo che trascorre tra le dimissioni di un esecutivo e il giuramento del nuovo – hanno occupato complessivamente 1.510 giorni, cioè più di quattro anni; dal 1994, con la seconda Repubblica, si sono succeduti 16 governi con 10 premier, per una durata media di 617 giorni; negli ultimi ventisei anni si sono avvicendati in Italia ben 26 governi tra crisi, rimpasti e nuove alleanze: nello stesso frangente, si sono avuti in Francia cinque presidenti (François Mitterand, Jacques Chirac, Micolas Sarkozy, François Hollande e Emmanuel Macron), cinque in Spagna (Felipe Gonzalez, José Marìa Aznar, José Luis Rodriguez Zapatero, Mariano Rajoy e Pedro Sanchez) e tre cancellieri in Germania (Helmut Kohl, Gerhard Schröder e Angela Merkel) (28).

Esordio

Forte di una compatta quanto inedita maggioranza, il nuovo governo Draghi ha iniziato a veleggiare nel mare magnum della politica tricolore, mentre alla comparsa di nuove varianti sul piano internazionale si è accompagnata una gestione caotica della campagna vaccinale.

Eppure, Mario Draghi ha assunto la guida di un esecutivo di emergenza con due compiti sostanziali: mettere in sicurezza la salute degli italiani e condurre in porto i progetti del Recovery Plan. Agendo con determinazione e capacità mediatrice, il nuovo premier, social 0.0, ha utilizzato una certa ironia negli incontri pubblici, controllato le intemperanze della sua composita maggioranza e mantenuto rapporti cordiali anche con l’unica forza politica che si è collocata all’opposizione. Nonostante le forze parlamentari siano in buona parte in vacanza dall’insediamento del suo esecutivo (non casualmente i principali leader politici si sono messi a scrivere libri, rafforzando l’immagine contrastante di un Paese in cui sono più gli scrittori che i lettori), la classe politica italiana è parsa attraversata da decisi cambiamenti.

Forzato ad entrare nella grande coalizione dalla base nordista, Matteo Salvini, con i giri ondivaghi che gli sono propri, ha messo da parte proclami papeetiani, suggestioni no-mask e anti-europeiste per fiancheggiare la proposta berlusconiana di unione del centro-destra, anche per fronteggiare l’ascesa di Giorgia Meloni, e ammiccare al Partito Popolare Europeo (PPE), eventuale transito per rientrare nella tradizione di una destra moderata (29).

Nell’ultima trasmissione stagionale di uno dei talk show di prima serata in chiaro maggiormente seguiti, Giuseppe Conte si è presentato cercando di rassicurare tutto e tutti, a partire dalla base di un M5S sempre più diviso, in crisi d’identità e perdente pezzi; a chi gli sottolineava come, dopo una brillante carriera di docente universitario, avvocato e premier, il passaggio alla guida politica potesse rappresentare un salto nel buio, l’ex premier ha insistentemente ripetuto che avrebbe sbalordito tutti e se n’è uscito annunciando l’uscita di una raccolta di tutti i suoi discorsi pubblici in cui ha detto di aver ravvisato una grande coerenza (30).

L’edizione dei discorsi pubblici di un premier? A parte che nella nostra cultura editoriale tali edizioni vengono quasi sempre realizzate per chi è trapassato da tempo – che sia stata una mossa apotropaica? –, ma poi perché aggiungere un altro libro da far ammuffire nei nostri scaffali? E chi lo leggerà, al di là delle oculate operazioni di marketing che saranno approntate per la sua uscita?

Dopo un anno e mezzo acefalo, il M5S ha perso un terzo dei parlamentari, è preso in un vortice di discussioni su regole, piattaforme, garanti, pagamenti (in buona parte risolta alla fine della primavera) cosicché la sfida di Conte risulta davvero una delle più difficili nell’attuale panorama politico. Quanto al Pd e al nuovo segretario Enrico Letta, l’ex alleato dei pentastellati sta cercando di ridefinirsi e di ritrovare senso e ruolo a una formazione politica che intende recuperare le sue radici di sinistra, «qualsiasi cosa questo voglia dire». Le prossime amministrative costituiranno un serio banco di prova per queste e le altre formazioni di un panorama politica in continua fibrillazione (31).

I cento giorni: segnali di discontinuità

I cento giorni indicano il periodo della storia europea compreso tra il ritorno di Napoleone Bonaparte a Parigi dall’esilio all’isola d’Elba e la restaurazione della dinastia dei Borbone sotto re Luigi XVIII. Nel Novecento i primi cento giorni cui gli osservatori hanno prestato particolare attenzione sono stati quelli del New Deal di Franklin Delano Roosevelt. Da quel 1933 i “cento giorni” sono spesso diventati occasione per consuntivi capaci di testare l’inizio di una nuova esperienza di governo. Ma mai come in questo 2021, almeno nella storia repubblicana del nostro Paese, c’è stata così tanta attenzione come per il governo di Mario Draghi.

Governo che si è subito segnalato per un record originale, poiché esprimeva la terza diversa maggioranza in una stessa legislatura, circostanza mai accaduta nella storia repubblicana e in quella delle democrazie occidentali; inoltre il nuovo governo risulta composto, per venire incontro alle forze politiche che ne fanno parte (Movimento Cinque Stelle, Lega, Forza Italia, Partito Democratico, Italia Viva, Liberi e Uguali) da ventidue ministri, due in più del Conte II, quattro in più del governo Monti, 6 in più del governo Renzi: assieme al governo Letta, quello di Draghi è l’esecutivo più affollato dell’ultimo decennio.

All’atto dell’insediamento, domenica 14 febbraio 2021, in seguito a un colloquio telefonico con Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici dell’Unione europea, Mario Draghi ha subito compreso lo stato dell’arte sul Recovery plan: le premesse del Piano c’erano, ma sui due punti decisivi per attivare i fondi di Bruxelles – riforme strutturali e cronoprogramma – si era al punto di partenza; nelle ore successive lo staff della Presidenza setacciava carte e file, scoprendo che, a parte le futuribili primule del commissario Arcuri, un piano organico per i vaccini non esisteva.

Sulla base di queste imbarazzanti scoperte, Draghi ha subito impostato non solo il modus operandi ma anche lo stile comunicativo del suo governo: il premier ha parlato raramente in pubblico, e per lo più lo ha fatto accompagnato da un ministro (in particolare Roberto Speranza, titolare del dicastero della Salute anche nel Conte II, difeso a spada tratta dalle critiche più disparate), ma i suoi primi cento giorni, caduti il 24 maggio, sono stati dedicati quasi unicamente nel rincorrere le due grandi emergenze: il Covid e il Pil.

Appena sei giorni dopo il voto delle Camere, Draghi ha chiamato alla Protezione civile l’ingegner Fabrizio Curcio e incaricato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini di trovare il militare italiano «più bravo nella logistica»: conseguentemente, è stato congedato Domenico Arcuri e nominato sul campo il generale degli alpini Francesco Paolo Figliuolo che si è costantemente presentato alle telecamere con il cappello piumato e ha ostinatamente ribadito la linea secondo cui qualunque cittadino andava vaccinato, mentre bisognava evitare di buttare le preziose dosi.

Il 17 marzo è giunto il cambio nel Comitato tecnico-scientifico, che a Palazzo Chigi consideravano carente di competenze e pletorico nelle presenze: il potere «esternatorio» è stato consegnato alle navigate voci di Silvio Brusaferro e Franco Locatelli.

Al di là della sicurezza ostentata in pubblico (il «rischio calcolato» di Draghi), le palpitazioni sono di fatto proseguite fino alla fine di aprile quando sono stati somministrati mezzo milione di vaccini. Tre giorni prima il Parlamento ha dato il via libera al Pnnr, il piano per accedere ai fondi europei, gestito in maniera ristretta, cioè con supervisione di Mario Draghi e del ministro dell’Economia Daniele Franco, e stesura di sette-otto esperti di Palazzo Chigi e del Mef.

Sul «rischio ragionato» Draghi ha avuto ragione: fondato su dati in progressivo miglioramento e tenendo conto delle frustrazioni della popolazione, delle pressioni di partiti e regioni e delle proteste di alcuni settori (come i commercianti), si è posto l’obiettivo esplicito di trasformare tale rischio in una straordinaria opportunità di crescita per l’economia italiana. La conseguente reintroduzione delle zone gialle, la ripresa delle attività all’aperto e il riavvio della circolazione tra le regioni ha dato vita a una svolta in cui, accanto alle riaperture, hanno trovato posto scostamento di bilancio e opere in cantiere: altri 40 miliardi, ma con un percorso di rientro dal deficit, ora al 12 per cento con previsione di vederlo al 3 per cento nel 2025, quindi producendo «debito buono» e in direzione della crescita, mentre per le infrastrutture sono stati nominati 57 commissari. Sfida, cronoprogrammi, asticella fissata molto in alto: «Se non vedrete i risultati sarete in grado di dire che il governo ha scherzato» (32).

I primi cento giorni di Draghi sono sfilati senza traumi, ma non privi di scosse, come il richiamo di Draghi a tu per tu a Matteo Salvini sulla lealtà di maggioranza o la comunicazione a Giuseppe Conte della nomina di Elisabetta Belloni, diplomatica e funzionaria di lungo corso, alla guida dei Servizi segreti, considerata dall’ex premier un «colpo basso». L’understatement del premier capitolino ha fatto presto dimenticare gli auto-elogi alla Conte, con due significative eccezioni: nella conferenza stampa dell’8 aprile Draghi ha definito «dittatore» il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dando vita a un incidente diplomatico non ancora ricucito, mentre in quella del 20 maggio si è concesso una licenza fortemente rappresentativa del suo stile: «In varie occasioni della mia vita mi hanno chiesto: “Come pensi di farcela?”. Beh, insomma, abbastanza spesso ce l’ho fatta io, e stavolta ce la farà il governo» (33).

Draghi è riuscito a centrare almeno tre degli obiettivi per i quali è nato il suo governo: sprint alla campagna vaccinale, gestione graduale delle riaperture (nonostante il pressing della Lega,  di Forza Italia e di alcuni governatori) e il nuovo Recovery plan, in cambio di una precisa agenda di progetti e riforme (34).

Come detto, i segnali di discontinuità di Draghi – a partire dalla citata sostituzione di figure-chiave –  rispetto a Conte sono stati diversi, pur sempre con modi e tempi scanditi dal ritmo della pandemia. Finora le cose sono andate bene all’esecutivo e, nello stesso ruolo di domatore dell’inedita maggioranza, l’ex presidente della Bce se l’è cavata bene. Ma i primi cento giorni avvicinano il governo in carica a un passaggio chiave, il semestre bianco, che inizierà a fine luglio 2021, una sorta di terra di nessuno, con tanti che vorrebbero Draghi sia premier che inquilino del Quirinale. Se per le forze politiche che temono le urne tale semestre rappresenta una sorta di “liberi tutti”, che permette di giocare al rialzo senza il rischio di andare a votare, per quelle che invece auspicano le urne è nata la tentazione di giocare la carta Draghi al Colle anche in senso strumentale, cioè per accelerare la crisi politica approfittando anche del respiro concesso dalla pandemia, anche se di questa e dei suoi improvvisi colpi è meglio non fidarsi (specie a fronte della nuova variante Delta, minacciosa e costantemente monitorata) (35).

Di certo la maggioranza del governo Draghi è non meno litigiosa del precedente esecutivo. È bastato il rilancio di Enrico Letta sulle riforme a far litigare il segretario Pd con il leader della Lega: il primo ha rilanciato l’esigenza delle riforme chiedendo di lasciare il governo al secondo il quale, per tutta risposta, ha assicurato il «sostegno totale» da parte della Lega alla candidatura dell’attuale premier al Quirinale, sottolineando maliziosamente che Draghi non troverà lo stesso appoggio da parte del Pd «che ha dieci candidati al Colle». Insomma, le visioni di Salvini e Letta su quanto debba fare ora il governo Draghi divergono sensibilmente: secondo il primo non può essere una maggioranza così variegata a varare riforme cruciali come quelle del fisco e della giustizia; secondo il segretario Pd, invece, c’è bisogno di un’unità politica e governativa per far ripartire la locomotiva del Paese. In casa M5S Conte, leader ancora «sospeso» della forza politica attraversata da discordie e defezioni che però conserva la maggioranza parlamentare, rimane fermo allo schema di coalizione del campo progressista (36).

Con l’inizio dell’estate si apre una nuova fase per la quotidianità degli italiani: sarà tolto dopo nove mesi ininterrotti il coprifuoco notturno, potrebbe presto essere rimosso l’obbligo delle mascherine all’aperto (37) e sulla stessa proroga dello stato di emergenza nazionale sono in corso valutazioni da parte del governo.

Il Colle più alto

Il 2 giugno 2021 è andato in scena il 75° anniversario della nascita della Repubblica italiana. Nonostante l’anno scorso la Lega e le forze di destra abbiano tentato di appropriarsi delle piazze italiane, quest’anno ha parlato, come è opportuno che sia, solo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Quattro mesi dopo essere entrato da arbitro nella convulsa vita politica, non pochi commentatori e dietrologi si attendevano un bilancio da parte del Capo dello Stato, anche in considerazione della vicinanza con l’avvio (a fine luglio) del semestre bianco. Sono tutti rimasti delusi, con in prima fila i principali esponenti dei palazzi romani, dal momento che nelle quasi tremila parole pronunciate la sera del 2 giugno al Quirinale, Mattarella non ha fatto alcun riferimento al governo Draghi, alla campagna vaccinale, alle trattative con l’Europa per il Recovery Fund, al vasto impegno di riforme cui resta subordinata la concessione dei fondi continentali né tanto meno alle tuttora presenti polemiche tra i partiti o agli scollamenti all’interno delle principali coalizioni (a destra come nel centro-sinistra). Mattarella ha volato alto anche su qualsiasi riferimento circa la sua possibile permanenza sul colle più alto, riferimento già precedentemente espresso per ribadire la ferma intenzione di non prendere parte all’imminente corsa quirinalizia.

Il Capo dello Stato ha parlato d’altro e, con saggezza e realismo, ha inteso ricordare l’importanza storica vissuta negli ultimi 75 anni da un Paese che, uscendo da una guerra mondiale persa e gettandosi alle spalle il ventennio dittatoriale e la monarchia, ha saputo risollevarsi dalle macerie e guadagnarsi, con sacrifici e sudore, un posto di tutto rispetto nel quadro delle democrazie occidentali.

Non è stato un messaggio casuale, ma fortemente valoriale, quasi a ribadire che nell’Italia che verrà ci sarà assolutamente bisogno di valori autenticamente repubblicani («libertà, democrazia, lavoro, legalità, solidarietà, difesa della pace e della vita») e di un’uguaglianza più reale e sostanziale, soprattutto in favore delle donne, chiamate esplicitamente in causa e citate per nome, da Lina Merlin a Luana D’Orazio, l’operaia morta di recente sul luogo di lavoro, mentre al contempo andrebbe circoscritto il ruolo e la presenza mediatica dei disfattisti, di coloro «che negano i passi avanti, che remano contro, che non vogliono fidarsi delle nostre potenzialità».

Nella logica con cui «lo Stato siamo noi» – Francesco De Gregori è stato non casualmente citato –, Mattarella ha inteso spiegare concetti complessi, come quello di democrazia, legandoli alle vicende, soprattutto dal basso, di un popolo che ha visto alternarsi stagioni felici e di crescita a fasi buie e di crisi. «Il Paese non è fermo… il cambiamento è già in atto, ed è veloce»: tracciando un parallelo tra l’Italia del 1946 e quella di oggi, la massima autorità ha voluto sottolineare che siamo «una democrazia ben radicata e di successo». Con opportuna tensione etica, Mattarella ha voluto ribadire che l’Italia deve «guardare avanti» e affrontare con coraggio «le sfide nuove», respingendo «le chiusure nel presente per progettare insieme il futuro» (38).

Caos vaccinale

In Italia la somministrazione dei vaccini è avvenuta nel primo semestre del 2021 in un clima di pieno caos, mutando regole in corso d’opera e, soprattutto, a fronte di oltre 65 mila elementi avversi registrati, tra cui alcuni mortali, riscontrando un evidente mutamento in seno all’opinione pubblica, transitata rapidamente – e verrebbe da dire non senza fondamento – dall’iniziale fiducia nell’iniziativa medico-scientifica a sfiducia, diffidenza e progressiva distanza da essa. Il fatto che chi abbia perso la vita – come il caso della diciottenne ligure morta ai primi di giugno e sofferente di una malattia autoimmune – avesse già alcuni problemi di salute aggrava, e non  lenisce, le responsabilità di istituzioni e governanti. Tanto più in un paese che senza tracciamenti e con un sequenziamento carente (dato che analizza meno dell’1 per cento dei genomi di soggetti positivi) resta in balia degli eventi (39). Tra i tanti, repentini mutamenti, la conferenza-stampa dell’11 giugno, convocata a Roma dal Comitato tecnico scientifico, presenti il generale Figliuolo e il ministro Speranza, ha sospeso in via precauzionale la somministrazione delle prime dosi e dei richiami di AstraZeneca agli under 60.

Per il momento si continuava a navigare a vista: chi era stato convocato per le prime dosi e i richiami di AstraZeneca agli under 60 nei giorni successivi dovrà confidare nella fortuna: se il suo hub di riferimento avrà disponibilità di Pfizer o Moderna, farà quelli in buona pace; altrimenti tornerà a casa; le Asl faranno tutto il possibile per contattarli preventivamente (40).

Ogni volta che in questi mesi è stato annunciato un cambio della guardia, è stato gettato, de facto non certo volontariamente, il panico sull’opinione pubblica.

Faccio subito un riferimento personale. Sono un under 60 e faccio dunque parte di quella generazione di cinquantenni, figlia del boom economico, a cui sono state spalancate le porte fiduciose di una ripartenza orgogliosamente annunciata, anche se non priva di rischi. Mi è stata somministrata, in quanto docente universitario, la prima dose di AstraZeneca in un hub creato appositamente dall’ateneo in cui lavoro lunedì 15 marzo 2021 e poche ore dopo la fornitura del suddetto vaccino è stata sospesa; la seconda dose era prevista per il 24 maggio, ma in seguito è stata bloccata e rinviata a lunedì 7 giugno; tempo quattro giorni ed è stata annunciata una nuova sospensione della somministrazione. Ora, quando si assumono decisioni così rilevanti bisognerebbe rassicurare la cittadinanza, anziché lasciarla in balia di inquietanti interrogativi e di un’organizzazione tutt’altro che efficace. Senza dar conto di tutte le precedenti puntate, mi limito a considerare le tante, troppe domande emerse in seguito alla conferenza-stampa dell’11 giugno, senza considerare il fatto che le Regioni si sono letteralmente infuriate e restano in attesa di indicazioni precise. Ma vediamo quali sono i principali interrogativi che si pone il cittadino comune. Prima, duplice domanda: a un under 60 che tre mesi fa ha ricevuto la prima dose di AZ (insegnanti, forze dell’ordine, forze armate) si possono proporre Pfizer o Moderna senza problemi e ricadute sull’efficacia della copertura vaccinale e, in assenza di queste specifiche, su quali basi si potranno riprogrammare i richiami? Seconda: le forniture di Pfizer e Moderna saranno sufficienti per coprire le nuove esigenze? E ancora: come sarà possibile raggiungere gli over 60 non ancora immunizzati e cosa farsene delle dosi di AZ che resteranno inutilizzate? (41)

Recenti studi clinici effettuati in Spagna, Germania e Gran Bretagna sembrano confermare la validità della campagna «eterologa» la quale, con il mix che sfrutta le peculiarità di ciascun vaccino, potrebbe essere un’opportunità concreta anche in difesa delle varianti, anche se la percentuale di eventi avversi non gravi (febbre, stanchezza, dolori articolari e muscolari) è salita al 34 per cento – sostengono medici e scienziati britannici –, rispetto al 20-30 per cento della vaccinazione tradizionale. È comunque opportuno ribadire un concetto che ormai abbiamo acquisito tutti: vaccini senza effetti spiacevoli, per lo meno in una certa percentuale di persone, non ce ne sono (42).

D’accordo, ci troviamo di fronte a un evento pandemico unico ed eccezionale e i vaccini richiedono solitamente un tempo di rodaggio anche dieci volte superiore alla velocità con cui sono stati approntati in questo frangente; inoltre l’impianto logistico messo in campo nel nostro Paese non si è rivelato dei migliori, ma pochi si rendono conto delle gravi ripercussioni che tutto ciò sta creando nella comunità nazionale.

Da ultimo, lo stesso Draghi (un over 60) è inciampato sulla questione, annunciando che si sarebbe sottoposto all’eterologa nei prossimi giorni, poiché dopo la prima dose con AZ ha avuto una risposta anticorpale bassa. Meno male che quella conferenza-stampa, in cui il premier era accompagnato dagli immarcescibili Speranza e Figliuolo, era stata indetta per chiarire la «confusione sulla somministrazione dei vaccini» creatasi negli ultimi giorni. Certamente, il tema dei vaccini è la conferma di come il mondo in cui viviamo cambi velocemente, giorno dopo giorno, cosicché quanto stabilito e deciso poche ore prima viene rivisto e aggiornato in maniera fulminea. Draghi e il Comitato tecnico scientifico hanno pure precisato che chi è stato vaccinato con la prima dose di AZ, potrà ricevere la seconda con lo stesso vaccino, «purché abbia il parere del medico e il consenso informato». Insomma, caos e confusione rimangono, l’unica certezza viene così sintetizzata dal premier: «la cosa peggiore che si può fare è non vaccinarsi o vaccinarsi con una dose sola» (43).

Un parallelo: Ciampi-Draghi

Fin dalle prime agenzie di stampa che annunciavano l’incarico di Mattarella a Draghi, la memoria di alcuni è tornata indietro a poco più di un quarto secolo fa, precisamente al 50° governo della storia repubblicana, quello presieduto da Carlo Azeglio Ciampi per poco più di un anno (29 aprile 1993-11 maggio 1994), che è già entrato nei manuali di storia come l’ultimo governo della prima Repubblica. Ci sono delle innegabili analogie: innanzitutto oggi come allora venne chiamato a guidare il governo un tecnico, il primo presidente del Consiglio non parlamentare della storia della Repubblica, un esponente che non aveva mai ricoperto cariche elettive; inoltre, anche il governo Ciampi si resse, per tutta la sua durata, su di una eterogenea maggioranza trasversale e fu composto da ministri scelti personalmente dal premier e si mosse al di fuori delle logiche partitiche;  anche allora l’Italia viveva uno dei frangenti più drammatici della sua storia tra inchieste giudiziarie e delegittimazione della classe politica, crisi economica e occupazionale, ripresa della criminalità organizzata, proprio mentre alcuni arresti svelavano pericolosi intrecci tra quest’ultima e il mondo politico; entrambi i premier hanno dimostrato alto senso dello Stato e una matura responsabilità politico-civile nell’accettare la carica governativa, evidenziando una forte determinazione nell’affrontare i problemi del momento.

Se ne potrebbe aggiungere un’altra, tutta però da realizzare, il passaggio da Palazzo Chigi al Quirinale, anche se Ciampi vi andò dopo cinque anni (tre dei quali, dall’aprile 1996 al maggio 1999, trascorsi come ministro del Tesoro  nei governi di centrosinistra Prodi I e D’Alema I). Tra analogie e differenze, va poi ricordato che quando Ciampi arrivò a Palazzo Chigi c’era un’attività preparatoria predisposta dal precedente governo (Amato I), una sorta di programma, realizzato  contestualmente all’emergenza economica e dell’ordine pubblico e a un evidente crisi di regime, che doveva solo essere attuato. Tuttavia, l’Italia non aveva ancora fatto il suo ingresso ufficiale nell’Unione monetaria europea (lo avrebbe compiuto nel maggio 1998 grazie alla riduzione del deficit realizzata dal ministro del Tesoro Ciampi), mentre la recessione, che aveva colpito tutte le economie occidentali, non permetteva il rilancio delle attività produttive, nonostante la progressiva diminuzione del costo del denaro e l’accordo raggiunto con i sindacati sulla diminuzione del costo del lavoro.

Divisi dal temperamento e dalla carta d’identità (che ha consentito a Ciampi, classe 1920, di partecipare alla Resistenza, rifiutare l’adesione alla Rsi e compiere una rischiosa marcia con Guido Calogero e altri antifascisti, nella primavera del ’44, da Sulmona verso sud, attraversando le linee tedesche, per raggiungere gli Alleati) e dalla formazione, i due premier hanno trovato una comune esperienza alla Banca d’Italia dove però Ciampi è stato 47 anni, entrandovi da impiegato e rinunciando per questo posto alla sua vera passione, (l’insegnamento, esercitato per breve tempo al Liceo classico della nativa Livorno), mentre Draghi vi è giunto nel 2005 dopo precedenti esperienze di professore universitario, economista e direttore generale del ministero del Tesoro (1991-2001), chiamato da Guido Carli su suggerimento dello stesso Ciampi. Infine, vanno rimarcati i due ostacoli principali e vischiosi che i due premier si sono trovati di fronte, la crisi economica per Ciampi e il Codiv per Draghi. Insomma il parallelo storicamente regge, pur con le debite differenze, come ha recentemente chiarito Piero Barucci: Ciampi nasceva come apostolo della Banca d’Italia, coscienza civica del Paese. Draghi è un apostolo del civil servant di altissima qualità, abile e coraggioso nelle scelte più difficili” (44). O, come è stato sottolineato da altri, i due premier hanno avuto in comune “visione, curiosità, flessibilità, persistenza, impegno civile e capacità di apprendere dai propri errori”, un patrimonio di conoscenze e di competenze fondamentali per rilanciare l’Italia (45).

Come ha rimarcato un insigne costituzionalista, c’è un ulteriore elemento che differenzia il ministero Draghi da quelli “tecnici” del passato, la prospettiva di durata, visto che il record appartiene a Monti con 17 mesi, mentre l’attuale governo potrebbe raggiungere, escludendo elezioni anticipate, ventisei mesi, un arco di tempo circoscritto per realizzare obiettivi di lungo termine: anche se tale ipotesi non può fare a meno di rapportarsi alla situazione politico-parlamentare che potrebbe rimanere tale come cambiare, dando vita a nuove alleanze-maggioranze (46).

Sfida epocale. Riconnettere il Mezzogiorno al resto della Penisola

Presentandosi il 26 aprile 2021 alla Camera e l’indomani al Senato, il premier Draghi ha sostenuto che l’Italia si trovava di fronte a «una sfida straordinaria ed epocale», una sfida che dovrà essere in grado di cambiare «tutto il sistema Paese», mutandone i tratti salienti e colmandone i diversi ritardi strutturali, per evitare un futuro «di bassa crescita» e dunque un declino apparso, dall’inizio del nuovo secolo, praticamente inesorabile.

Mario Draghi ha lanciato una sfida quinquennale, anche se gli opinionisti dubitano circa il fatto che nel 2026 sarà ancora lui la guida politica italiana. Si tratta, secondo il premier, di una «occasione storica»: riconnettere il Mezzogiorno al resto del Paese; rialzare la produttività del lavoro che nell’ultimo ventennio è calata invece di aumentare; correggere il dato macroeconomico strutturale degli investimenti pubblici attestatisi, negli ultimi quattro lustri, la metà di quelli attuati da Francia e Germania; delineare un più alto tasso di inclusività socio-professionale per giovani e donne; riformare settori-chiave quali la pubblica amministrazione, che costituisce uno dei più evidenti e gravi freni allo sviluppo, e la giustizia che, in particolare come sistema giudiziario e incertezza del diritto (la credibilità delle toghe, anche a seguito delle ultime inchieste, non è parsa mai così bassa) sconsigliano investimenti stranieri: in pratica, nuovo miracolo economico, una crescita «robusta e sostenibile», un allineamento dell’Italia ai principali Paesi europei e mondiali? (47).

Ma che dire delle numerose morti sul lavoro degli ultimi tempi, dei morti sulla funivia di Stresa che hanno riempito le prime pagine dei giornali per una settimana ricordando ancora una volta come l’assenza di controlli è un problema strutturale italiano o, ancora, del rischio idro-geologico e della fragilità endemica del nostro territorio che troppo spesso ha recentemente causato lutti e distruzioni?

Per rendere tale sfida davvero epocale e straordinaria vanno fatti nel più breve tempo possibile investimenti seri e di lungo periodo in alcuni settori cruciali: cominciando dalla cultura, dall’istruzione e dalla ricerca, che invece occupano la fetta più piccola dei miliardi che stanno per giungere dall’Europa; continuando con l’affrontare di petto il problema della “povertà assoluta” (cioè l’incapacità di famiglie e persone di permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile), dal momento che gli ultimi dati Istat hanno certificato un forte peggioramento rispetto al 2019, con 5,6 milioni di persone (tra cui oltre 1,3 milioni di bambini e ragazzi) nel 2020 che si sono ritrovate in questa condizione, il livello più alto registrato dal 2005, da quando cioè è stata avviata questa rivelazione (48); pianificando un serio programma di intervento nella società italiana per eliminare disuguaglianze, discriminazioni e disparità.

Sono questi ultimi rispettivamente il primo, quarto e decimo dei diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, definiti nel 2015 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come strategia per ottenere un futuro «migliore e più sostenibile per tutti» (49).

Se si guarda agli altri tredici e non si vuole cadere nella consunta retorica degli annunci fatti e poi disattesi, si evince chiaramente, da una parte, quanto l’Italia sia lontana da una modernità sostanziale e competitiva e, dall’altra, quanto incidentata e complessa sia la strada per diventare tutti – cittadini e cittadine uguali di fronte alla legge, ma non nella quotidianità – parte di un effettivo cambiamento.

L’estate del governo Draghi

Alla vigilia dell’estate, il governo Draghi si era posto quattro obiettivi essenziali, dei pilastri “decisivi” per arginare le diverse incognite che si potevano manifestare prima che la campagna elettorale per le amministrative entrasse nel vivo e complicasse il clima tra le forze di maggioranza: Recovery e ripresa, migranti, summit internazionali e campagna vaccinale (50). Nel complesso, con una maggioranza che tiene nonostante le continue uscite effettistiche di Salvini (51), si può dire che l’esecutivo abbia portato a casa risultati significativi. Poco prima di Ferragosto sono giunti i primi 25 miliardi dall’Unione Europea (52).

L’obiettivo di vaccinare l’80 per cento della popolazione entro settembre, annunciato più volte dal commissario straordinario Figliuolo verrà tagliato (secondo le proiezioni di Lab 24) il 25 settembre anche se, da una parte, gli esperti tendono a spostare la “soglia di sicurezza” al 90 per cento e, dall’altra, la media delle prime somministrazioni è risultata nella seconda settimana di settembre dimezzata rispetto ai dati di agosto (53).

Intanto il Super green pass è divenuto realtà e dal 15 ottobre verrà esteso a tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, con sanzioni immediate e severe (come la sospensione immediata e lo stop dall’incarico fin dal primo giorno) per i disobbedienti (54).

Quanto ai migranti, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, da agosto 2020 a luglio 2021 si è registrato un aumento del 128 per cento del numero di questi giunti nella penisola rispetto all’anno precedente (complessivamente, 49.280 nel suddetto periodo), mentre l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha rilevato una netta crescita delle ondate migratorie in partenza dalle coste libiche e dirette verso l’Europa: se sono lievitati sia gli sbarchi autonomi (l’82,6 per cento del totale, rispetto al 75,6 per cento del 2020) sia quelli di minori non accompagnati (+155, 26 per cento), le operazioni di soccorso hanno consentito il salvataggio di 8553 persone (nel 2020 l’Italia ha accolto 21.616 migranti; erano sbarcati 8691 migranti tra agosto 2018 e luglio 2019) (55).

Quanto ai summit e all’immagine internazionale dell’Italia, nell’anno di presidenza tricolore del G20, Draghi ha rilanciato l’immagine del nostro Paese in un contesto planetario che ha portato alla ribalta la nuova situazione dell’Afghanistan dopo l’abbandono degli Stati Uniti e il ritorno del regime talebano (56) e confermato come il Pacifico sia una delle aree geo-politiche più strategiche e delicate del pianeta, a seguito dell’accordo trilaterale di metà settembre tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia volto a sostenere la flotta sottomarina di quest’ultima (ma sono pure compresi lo scambio di competenze fra i tre stati e l’acquisto di missili Tomahawk da parte degli australiani), accordo che ha allarmato le cancellerie mondiali, in particolare Parigi – che ha visto sfumare un precedente accordo nel settore di 66 milioni di dollari con il Paese oceanico – e Pechino che considera il nuovo patto come il risultato di una «mentalità da guerra fredda e del pregiudizio ideologico» (57).

Mentre rimangono dimenticate le diverse guerre accese nel mondo (58) e la Farnesina è al lavoro sul caso del piccolo Eitan, unico superstite nella tragedia del Mottarone sequestrato dai nonni materni e trasferito in Israele (59), ma continua a dimostrare scarsa presa sull’Egitto (come dimostrano i casi Regeni e Zaki) (60), la popolarità dell’inquilino di Palazzo Chigi ha consolidato i livelli primaverili (61). Time ha inserito Draghi, unico italiano, tra le 100 persone più influenti del pianeta, con tanto di endorsement da parte della segretaria del Tesoro statunitense Janet Yellen che lo ha citato per «una profonda esperienza e un contegno costante» nonché guida «attraverso la pandemia con mano abile», capace di sostenere «una rapida campagna di vaccinazione e misure di soccorso per aiutare le imprese e i lavoratori italiani» (62).

Note a fine testo

(1) Maurizio Cerruto, “La partecipazione elettorale in Italia”, Quaderni di Sociologia, 60, 2012, pp. 17-39; “11. Elezioni e attività sociale”,  in Istat, Annuario statistico italiano. 2018, pp. 398-420. https://www.istat.it/it/files//2018/12/C11.pdf.

(2) Giulia Ivaldi, ”La partecipazione al voto in Italia: tra astensionismo e pandemia, MtP, 19 ottobre 2020. https://www.msoithepost.org/2020/10/19/la-partecipazione-al-voto-in-italia-tra-astensionismo-e-pandemia/.

(3) Pieraugusto Pozzi, “Una breve storia della grande trasformazione digitale”, in Marco Severini (a cura di), L’originalità della ricerca storica. Dieci anni di studi dell’Associazione di Storia Contemporanea, Fano, Aras,  2021, 218 p- [pp. 105-128].

(4) Beppe Severgnini, “La scorciatoia populista tentazione di Renzi”, Corriere della Sera, 29 ottobre 2015.

(5) Raffaele Romanelli, Novecento. Lezioni di storia contemporanea, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 625-627.

(6) Raffaele Romanelli, Novecento…, op. cit. alla nota precedente, p. 499.

(7) Dario  De Vico, “Il potere è più populista dei cittadini (per paura)”, Corriere della Sera, 3 dicembre 2016.

(8) «Noi lasciamo un Paese con più crescita e, tutto sommato, con più lavoro, con più diritti, con i conti in ordine», anche se restavano le cicatrici e le ferite della crisi più grave del nostro dopoguerra: Virginia Piccolillo, “L’addio di Gentiloni: basta poco per finire fuori strada”, Corriere della Sera, 26 maggio 2018.

(9)Luigi Ferraiolj, “Introduzione” a AA.VV., Stiamo meglio o peggio di cinque anni fa? Un bilancio di fine legislatura, a cura della Campagna Sbilanciamoci!, , Roma, Associazione Lunaria, 31 gennaio 2018   p. 4. Disponibile on line. Cfr.

https://sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2018/09/2018_Sbilanciamoci_Bilancio-di-fine-legislatura_def.pdf

(10) Secondo i sondaggi realizzati da Swg per La7, il 31 maggio 2021 e qualche giorno dopo da YouTrend per Agi, Fratelli d’Italia supera abbondantemente il 19 per cento e si trova a due soli punti dalla Lega: “Sondaggi, Fratelli d’Italia cresce ancora”, La Repubblica, 1° giugno 2021; Stefano Rizzuti, “Sondaggi elettorali, nuovo record per Fratelli d’Italia: sorpassato il Pd, Lega più vicina”, 4 giugno 2021. Cfr.:  https://www.fanpage.it/politica/sondaggi-elettorali-nuovo-record-per-fratelli-ditalia-sorpassato-il-pd-lega-piu-vicina/.

(11) Paola Caruso, “Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 14 settembre: 4.021 nuovi casi e 72 morti”, Il Corriere della Sera, 14 settembre 2021.

(12) “Nasce il nuovo governo Draghi: ecco la squadra di governo”, Il Sole 24 Ore, 13 febbraio 2021; Alessandro Sala, “È nato il governo Draghi: 23 ministri, 15 uomini e 8 donne. Più politici che tecnici, più Nord che Sud, Il Corriere della Sera, 12 febbraio 2021.

(13) Il rapporto Ocse-Pisa (acronimo di Programme for International Student Assessment), pubblicato alla fine del 2019, indica che solo uno studente su venti è capace di distinguere tra fatti e opinioni nella lettura di un testo di argomento non familiare; il confronto con gli altri paesi Ocse è decisamente impietoso: Ilaria Venturi, “Scuola, rapporto Ocse-Pisa: solo uno studente su 20 sa distinguere tra fatti e opinioni”, La Repubblica, 3 dicembre 2019. Nel 2019 sono stati pubblicati in media 237 libri al giorno, quasi 1,3 libri ogni mille abitanti; di questi, due terzi sono novità (58,4 per cento) e nuove edizioni (8,5 per cento). Il 40,0 per cento della popolazione italiana legge almeno un libro all’anno: Istat “Produzione e lettura di libri in Italia/Anno 2019”, Statistiche report, 11 gennaio 2021. Cfr. https://www.istat.it/it/files//2021/01/REPORT_LIBRI-REV_def.pdf.

(14) Pierluigi Battista, “La scuola, cenerentola dei problemi italiani”, Corriere della Sera, 29 dicembre 2019.

(15) Federico Mento, Alessandro Valera, “L’innovazione? È orizzontale”, Corriere della Sera, 3 marzo 2020.

(16) Antonio Polito, “Gli eterni ritorni”, Corriere della Sera, 27 febbraio 2021.

(17) Alberto Custodero, “Crisi di governo, mozione di sfiducia della Lega a Conte al Senato”, La Repubblica, 9 agosto 2019.

(18) Antonio Polito, “Forza e debolezza di un’alleanza”, Corriere della Sera, 5 settembre 2019.

(19) Marco Severini, La pandemia in Italia. Storia, problemi, prospettive”, in L’originalità della ricerca storica, op. cit. alla nota 3, pp. 15-16.

(20) Su tali aspetti sia consentito rinviare a Marco Severini, Il tempo del silenzio. Lockdown e altri confinamenti, Fermo Zefiro, 2020, 508 p.

(21) Marco Severini, “La pandemia in Italia…”, op. cit. alla nota 3, pp. 28-29.

(22) Corrado Augias, “I nostri 50 mila morti”, La Repubblica, 24 novembre 2020.

(23) Mariolina Iossa, “Record di morti: 993 in un giorno. Perché in Italia sono così tanti”, Corriere della Sera, 4 dicembre 2020.

(24) Quindi 347 in meno di quella previsione, fatta da Stefano Centanni, docente di Malattie respiratorie alla Statale di Milano e primario di Pneumologia all’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Santi Paolo e Carlo: Sara Bettoni, “Corona virus e decessi, l’esperto: «Siamo nel picco il numero dei morti calerà lentamente»”, Corriere della Sera, 3 dicembre 2020.

(25) Marco Severini, “La pandemia in Italia…”, op. cit. alla nota 3, p. 32.

(26) Martina Castigliani, Giuseppe Pipitone, “La crisi di governo: come è scoppiata, come se ne esce e perché c’entra ancora la giustizia”, il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2021.

(26)Marco Travaglio, I segreti del Conticidio. Il «golpe buono» e il «governo dei migliori». Prefazione di Barbara Spinelli, Roma, PaperFirst, 2021, X-496 p.

(28) Milena Gaba­nelli, Simona Ravizza, “Crisi di governo: 66 esecutivi in 75 anni. Quanto ci costa l’instabilità politica?”, Dataroom – Corriere della Sera, 17 gennaio 2021.

(29) Luciano Fontana, “Sotto l’ombrello di Mario Draghi, tutti i partiti stanno cambiando”, Corriere della Sera, 18 giugno 2021.

(30)LA7, DiMartedì, puntata dell’8 giugno 2021.

(31) Luciano Fontana, “Sotto l’ombrello di Mario Draghi”, loc. cit. alla nota 29.

(32) Monica Guerzoni, «Zone gialle dal 26 aprile È un rischio ragionato», Corriere della Sera, 17 aprile 2021.

(33) Fabio Martini, “100 giorni di Draghi”, La Stampa, 22 maggio 2021.

(34) Lucia Trotta, “I primi 100 giorni di Draghi tra fiducia e sfide sulle riforme”, SkyTg24, 24 maggio 2021.

(35) Roberto Gressi, “Governo Draghi, le pagelle dei cento giorni. Il bilancio dall’esordio della nuova maggioranza”, Corriere della Sera, 25 maggio 2021.

(36) Giuseppe Alberto Falci, “Anche sulle riforme è duello Salvini-Letta”, Corriere della Sera, 16 maggio 2021.

(37) “Mascherine all’aperto, Speranza chiede parere al Cts per rimuovere l’obbligo”, Il Messaggero, 19 giugno 2021.

(38) Ugo Magri, “Alla larga dallo scontro politico, il Colle indica la via a chi verrà”, La Stampa, 3 giugno 2021; Marzio Breda, “Mattarella, il discorso per il 2 giugno: «Questo è il tempo di costruire il futuro»,” Corriere della Sera, 2 giugno 2021; Claudio Del Frate, “Le donne citate da Mattarella nel discorso per il 2 giugno”, Corriere della Sera, 3 giugno 2021; Concetto Vecchio, “Il 2 giugno di Mattarella e l’appello ai giovani per il dopo pandemia: “Questo è il tempo di costruire il futuro”, La Repubblica, 2 giugno 2021.

(39) “Covid, il ministero annuncia indagine rapida sulle varianti”, il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2021.

(40) Venanzio Postiglione, “La fiducia che adesso meritiamo”, Corriere della Sera, 8 maggio 2021.

(41) “Vaccini è già caos sulle nuove regole: richiami in forse e poche scorte”, La Stampa, 12 giugno 2021.

(42) Giuseppe Remuzzi, “Seconda dose con un vaccino diverso, ora abbiamo le prove: il mix è più efficace”, Corriere della Sera, 18 giugno 2021.

(43) Elisa Messina, “Draghi, la conferenza stampa”, Corriere della Sera,  18 giugno 2021.

(44) “Barucci: “Draghi come Ciampi? Allora il problema era l’economia, ora è il Covid”, La Nazione, 6 febbraio 2021.

(45) Silvia Bosco, “Da Ciampi a Draghi, quando la tecnica si fa politica in grande stile”, formiche.net, 15 febbraio 2021.

(46) Valerio Onida, “Un governo tecnico unico per la prospettiva di durata”, Corriere della Sera, 18 febbraio 2021.

(47) Marco Galluzzo, “Le otto settimane cruciali con 26 nuove norme”, Corriere della Sera, 26 aprile 2021.

(48) “Istat: nel 2020 cresce la povertà assoluta”, il Sole 24 Ore, 16 giugno 2021.

(49) Nazioni Unite, “Obiettivi per lo sviluppo sostenibile”, Centro Regionale di Informazioni delle Nazioni Unite. Collegandosi a  https://unric.org/it/agenda-2030/, è possibile scaricare la versione integrale dell’Agenda 2030.

(50) Tommaso Ciriaco, “L’estate senza soste di Draghi, un’agenda con quattro pilastri”, la Repubblica, 30 maggio 2021.

(51)Emanuele Lauria e Matteo Pucciarelli, “Green Pass, le uscite a effetto e la progressiva ritirata di Salvini”, la Repubblica, 15 settembre 2021.

(52)Emanuele Bonini, “Recovery Fund, primo bonifico all’Italia: 24,9 miliardi dall’Ue”, La Stampa, 13 agosto 2021.

(53) “Vaccini, campagna in stallo: le prime dosi scendono ancora”, Il Sole 24 Ore, 13 settembre 2021.

(54) Paolo Russo (a cura di), “Le nuove regole”, la Stampa, 17 settembre 2021.

(55) “Immigrazione: +128% di sbarchi in Italia, aumenta l’esodo dalla Libia”, 17 agosto 2021, https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/08/17/immigrazione-128-sbarchi-italia-aumenta-lesodo-dalla-libia/.

(56) Lorenzo Cremonesi, “Proteste, spari e morti: torna la furia talebana”, Corriere della Sera, 19 agosto 2021; Antonio Giustozzi, “Afghanistan, terroristi e nessuna donna: ecco il nuovo governo talebano”, la Repubblica, 7 settembre 2021.

(57) Giulia D’Aleo, “Aukus, così Biden sfida la Cina nel Pacifico”, la Stampa, 16 settembre 2021.

(58) Domenico Quirico, “Dallo Yemen al Mali, le guerre dimenticate”, la Stampa, 17 settembre 2021.

(59) Paolo Berizzi, “Eitan, il nonno agli arresti domiciliari in Israele. Indagata per sequestro anche la nonna materna”, la Repubblica, 14 settembre 2021.

60) “Di Maio: Subito la Difesa europea, il G20 sull’Afghanistan si farà”, la Repubblica, 17 settembre 2021; “Patrick Zaki a processo, perché è in carcere in Egitto e cosa rischia ora”, il Sole 24 Ore, 15 settembre 2021.

(61) Secondo un recente sondaggio Ipsos, Il 57% degli intervistati desidera che Draghi resti presidente del Consiglio fino al termine della legislatura: Chiara Lanari, “Sondaggi politici al 13 settembre: gli italiani votano Mario Draghi premier anche per il prossimo governo”, Investireoggi, 13 settembre 2021.

(62) “Mario Draghi tra i 100 più influenti secondo Time, è l’unico italiano”, La Stampa,  15 settembre 2021.