Ucraina

Democrazia Futura. 5 aprile 2022: l’eccidio di Bucha, una brutta pagina per l’umanità

di Bruno Somalvico, direttore editoriale di Democrazia futura |

La guerra in Ucraina e il dilagare degli eccidi: uscire dal manicheismo e restituire alla diplomazia la possibilità di accordo o perlomeno di tregua.

Bruno Somalvico

Democrazia futura riprende l’analisi del conflitto partendo dalla brutta pagina per l’umanità rappresentata dalla giornata di ieri.  Per l’autore occorre “Uscire dal manicheismo e restituire alla diplomazia la possibilità di accordo o perlomeno di tregua”.

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La giornata del 5 aprile 2022 a conclusione della sesta settimana di guerra è stata caratterizzata dalla scoperta di macabri eccidi appurati dai giornalisti occidentali nei confronti della popolazione ucraina perpetrati dalle truppe occupanti russe, dal prosieguo dell’assedio di Mariupol e dell’avanza delle truppe russo verso Est e verso Sud (Odessa) in modo da assicurare da un lato una continuità territoriale russa fra la regione del Dombass e la Crimea trasformando il Mare d’Azov in una sorta di grande lago interamente sotto controllo russo, dall’altro al contempo una minaccia anche per la Moldavia attraverso la Transnistria e il consolidamento russo nel Mar Nero e infine dall’intervento del Presidente ucraino al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove abbiamo peraltro assistito a dichiarazioni di sostegno alla Russia da parte di due Paesi tanto diversi economicamente e politicamente quanto cruciali sotto il profilo demografico come Cina e India.

Segna decisamente un aggravarsi dello scontro con le accuse di genocidio mosse alla Russia dal presidente ucraino che chiede una sorta di processo di Norimberga e una controffensiva diplomatica della Russia in seno alle Nazioni Unite tesa a favorire come ai tempi della guerra fredda fra Unione Sovietica e Paesi occidentali riuniti nell’alleanza atlantica la crescita di quei paesi che si autoproclamavano “non allineati” pur costituendo generalmente un solido elemento di sostegno all’URSS in seno al Consiglio di Sicurezza in grado di impedire peraltro con il veto russo e cinese qualsiasi forma d trasformazione dello statuto di questo organismo come vorrebbero  

Per quasi tre settimane – complice anche l’aver contratto un Corona Virus – abbiamo evitato di analizzare l’evolversi del conflitto. Giudicavano a metà marzo (quando si era entrati in una fase di stallo che doveva in qualche modo preludere alla ripresa del confronto diplomatico) necessaria un’escalation del conflitto medesimo e soprattutto l’approdo a risultati tangibili in termini di conquiste e prese di controllo territoriali da parte delle truppe di invasione russe affinché la Russia possa avviare questa volta un vero e proficuo negoziato per approdare se non alla pace perlomeno ad un cessate il fuoco.  

Tutto si complica e potrebbe preludere non solo a nuovi confronti verbali ma anche purtroppo a nuove tragiche scoperte di eccidi partendo dalla tragica situazione che conosce la martoriata Mariupol verso la quale secondo alcuni analisti geostrategici ulteriori truppe russe convergerebbero proprio per dissimulare e “pulire” gli eccidi sinora perpetrati dai militari russi medesimi.

In queste tre settimane è proseguita da un lato l’avanzata russa verso est e verso sud intorno al Dombass e verso Odessa e il Mar Nero, dall’altro abbiamo assistito all’allontanamento della lunga colonna che sembrava lasciare presagire una lenta quanto inesorabile conquista anche della capitale Kiev. Analisti di questioni militari hanno spiegato le ragioni del rafforzamento della morsa da un lato, e di questo arretramento dall’altro.  

Sul fronte diplomatico dopo il primo incontro in Turchia fra i due ministri degli esteri dell’Ucraina e della Russia sono proseguiti i negoziati fra le due delegazioni per iniziativa del padrone di casa Recep Tayyp Erdogan  ma non possiamo certo sostenere per le ragioni sovraesposte che si siano fatti sensibili passi avanti sul fronte diplomatico, nonostante il moltiplicarsi degli incontri bilaterali e degli incontri fra Cina, Stati Uniti, Unione Europea e dei summit da parte dell’Onu, della Nato, e di altri organismi che potrebbero essere chiamati ad esercitare un proprio ruolo non proprio ai margini del conflitto come il Tribunale Penale Internazionale de l’Aja incaricato di perseguire i crimini di guerra.

Da un lato la stampa e l’opinione pubblica interna europea ha concentrato larga parte della propria attenzione sulle misure prese per contenere l’impressionante crescita delle nostre bollette energetiche facendo emergere divisioni profonde non solo sul tema del nostro approvvigionamento di gas e sulle sue modalità di pagamento (dopo la richiesta di Putin che le transazioni siano effettuate in rubli a sostegno della moneta russa) ma più in generale sulle scelte che l’Unione europea non può più rinviare, ovvero da effettuare in materia di fonti di approvvigionamento energetico e relative ai tempi di introduzione della cosiddetta transizione ecologica. Nonostante i propositi del Presidente francese Emmanuel Macron sempre più incerto appare il percorso che avrebbe voluto avviare la presidenza francese verso una politica comune europea in materia di energia e più probabile la realizzazione di cooperazioni rinforzate fra singole aree geografiche e con svariate quanto non sempre coerenti interlocuzioni con i paesi fornitori dalla Russia all’Algeria e alla Libia nel nostro caso.

Dall’altro lato è cresciuta nell’opinione pubblica occidentale l’indignazione contro la guerra e i suoi orrori. Un’indignazione di valore morale che ha conosciuto il suo momento più alto con gli appelli del Papa e che purtroppo – in assenza di chiarezza sugli obiettivi che si vorrebbero raggiungere rilanciando una politica comune europea di difesa e sulle modalità di finanziamento da mettere in campo per poterla realizzare  – è diventata come al solito argomento di scontro fra le forze politiche contribuendo come in passato a comportamenti, divisioni e giudizi manichei ad esempio a proposito della percentuale del PIL da devolvere alle spese militare fra i cosiddetti pacifisti (e post pacifisti nella variante dei nuovi Verdi governativi tedeschi) e i presunti guerrafondai, contabilizzando fra questi ultimi anche tutti i sostenitori di una nuova CED da affiancare alla Nato e che come tale avrebbe il compito di disinnescare i conflitti con i paesi confinanti e in particolare con la Russia.    

Dallo stallo diplomatico alla guerra delle immagini

All’iniziale situazione di stallo è subentrata progressivamente la guerra delle immagini e delle manipolazioni operate nel caso russo essenzialmente attraverso la televisione (e con la chiusura di Internet e il suo splittamento ben evidenziati dallo studioso coreano Eun Chamg Choi, e da Giacomo Mazzone ed Erik Lambert su queste colonne[1]) a destinazione delle proprie opinioni pubbliche attraverso strategie di comunicazione e marketing para bellico che operano – come rivelato bene da Guido Barlozzetti nei suoi “Appunti sulla Guerra” – “Tra voyeurismo, rimozione e invisibilità” [2]. La stessa abilissima capacità comunicativa del presidente ucraino Volodymyr Zelenskij nel suo ripetersi di fronte ai parlamenti di mezzo mondo potrebbe subire un effetto boomerang di fronte alla sapiente tenace quanto consolidata tradizione prima sovietica oggi russa di disinformacyia praticata sistematicamente per discreditare il nemico accusandolo a sua volta di aver messo in scena un’efferata serie di delitti che non saebbero mai stati perpetrati in occasione dell’”intervento” russo su richiesta delle repubbliche indipendentiste del Dombass

Questa guerra dell’informazione e della propaganda chiede ai giornalisti occidentali un difficile lavoro di raccolta di testimonianze degli eccidi perpetrati ai danni del popolo ucraino che non facilita in momenti come questi la ripresa del confronto ma al contrario insinua veleno insulti e sospetti in entrambi gli schieramenti. La stessa opinione pubblica interna in Europa come in Italia alla resa dei conti fa emergere numerose crepe in particolare sull’opportunità o meno di emanare quelle misure sanzionatorie applicate dall’Occidente verso la Russia.  Ciò potrebbe preludere al venir meno di quella compattezza esibita inizialmente non tanto nel loro atteggiamento verso i due contendenti quanto al proprio interno relativamente alle misure per far fronte alla crisi energetica ergo alla crisi tout court.

Particolarmente desolante mi sembra soprattutto non tanto l’impegno del governo di Mario Draghi a tenere sotto controllo la situazione, la coerenza fra una politica atlantista sempre difesa dal nostro Presidente del Consiglio e la volontà di proseguire il processo di unità politica dell’Europa in settori chiavi come la politica energetica, la politica di difesa e la politica estera affinché la nostra Unione possa parlare con una sola voce nel nuovo scacchiere multipolare che si va delineando, quanto quello degli intellettuali e in particolare degli accademici e del mondo della cultura. Fatti salvi rari interventi un po’ fuori dal coro (mi viene in mente Massimo Cacciari) l’impressione è che prevalga il manicheismo interpretativo anche fra gli intellettuali italiani come se fossero chiamati pirandellianamente ognuno a giocare un proprio ruolo da una parte o dall’altra e non a pensare a cosa sia utile per il bene comune, per l’Italia, per l’Europa e per la comunità mondiale. Come se improvvisamente non esistesse più un’opinione pubblica incapace di indirizzare l’agenda delle istituzioni nazionali europee ed internazionali, ma tante opinioni polarizzate (si/no mi piace/non mi piace, si al 2 percento non al 2 per cento): tutto questo mentre nell’ombra muovono i servizi segreti con nuove guerre cibernetiche, si alimentano nuovi e sempre più sofisticati strumenti di propaganda e di “fakeraggio”, eccetera. E’ davvero disarmante sentire certe espressioni rivolte al cattivo Vladimir Putin e altre verso il buono Zelenskij i cui discorsi ai Parlamenti occidentali raramente sono stati oggetto di disamine attente. Ci delude un Federico Rampini neo occidentalista che sembra andare dove lo porta il vento ma non ci convince nemmeno una Barbara Spinelli che rimpiange un mondo in cui si stava oggettivamente peggio di ora: a ciascuno la sua [parziale, troppo debole e parziale] verità”.  

Più interessanti certi commenti di alcuni analisti geo-strategici come Dario Fabbri che interviene nella quotidiana mini-maratona del secondo pomeriggio di Enrico Mentana, ma anche qui non basta analizzare le mosse dei singoli nello scacchiere come un entomologo sia pure dotato di grande capacità di analisi dei dati e delle informazioni che sembra riuscire a raccogliere e a interpretare con un’intelligenza fuori dal comune che si bada su una forte conoscenza non solo geo militare ma anche storica del mondo di questo terzo decennio del nuovo millennio: vanno capiti e interpretati i movimenti profondi e l’inconscio collettivo così come i processi che approdano in decisioni oppure in non decisioni da parte degli attori politici e istituzionali e occorre farne riemergere le ragioni profonde anche e soprattutto nel caso in cui non si rivelino politicamente corrette.

Uscire dal manicheismo favorire il rilancio della distensione attraverso il dialogo e il confronto politico e diplomatico

Democrazia futura contro questo manicheismo vuole lanciare un campanello d’allarme invitando davvero tutti a prenderne le distanze e ad iscriversi alla nuova Congregazione degli Apoti capace di scendere in campo a difesa di alcuni valori e principi a prescindere dagli effetti che le loro prese di posizioni possono esercitare tatticamente sullo scontro in atto.

Come rideclinare i principi dell’Onu in un mondo multipolare

Come ricostruire un’opinione pubblica “dal basso” ovvero dai legittimi interessi dei singoli territori 

Come saper tutelare e ricomporre questi interessi locali in ambito nazionale ed europeo 

Come riscrivere i manuali di storia in maniera problematica evidenziando le criticità e la complessità dei nodi e degli interessi in campo rinunciando a semplificazioni manicheistiche ma anche a denunciare laddove necessari i comportamenti impropri se non addirittura i crimini perpetrati dalle varie forze in campo soprattutto in occasione di guerre calde come in questa occasione e nella fattispecie in questo momento di stallo che sembra rinviare drammaticamente  l’ora della ripresa dei negoziati. E’ giunto il momento di capire come è possibile uscire da quella che avevo chiamato l’ultima crisi di un secolo lungo nato al momento dello scoppio della prima guerra mondiale e che solo in parte sembrava essersi concluso con la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica ma che ha visto invece il riproporsi di vari conflitti regionali nati probabilmente anche dall’assenza di una Conferenza in grado di fotografare i nuovi equilibri in campo un secolo dopo la pace di Versailles e 80 anni dopo Conferenze come quella di Yalta che stabilivano le rispettive aree di influenza fra le potenze che si accingevano a vincere la seconda guerra mondiale. Perché non ripartire come ha fatto coraggiosamente su queste colonne il Presidente del Movimento europeo dall’idea di promuovere a poco meno di mezzo secolo di distanza una seconda Conferenza di Helsinki in grado di creare condizioni effettive per il rilancio della distensione [3]? Intorno ad essa oltre che sull’idea di dar vita a nuovi accordi fra tutte le  grandi potenze mondiali e regionali non solo per un ridisegno/ripartizione delle loro rispettive zone di influenza ma su risposte concrete su temi improcrastinabili come la tutela del clima e dello sviluppo. Riuscendo magari a compiere dei miracoli favorendo ad esempio un buon compromesso sul tema della governance della Rete evitandone lo splittamento e favorendo il tentativo – sempre più difficile ma non per questo inutile – di rilancio operato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite


[1] Eun Chang Choi, “Splinternet: la guerra in Ucraina divide l’internet”. Edizione italiana a cura di Giacomo Mazzone, Democrazia futura, II (5), gennaio-marzo 2022. Anteprima il 21 marzo 2022  https://www.key4biz.it/splinternet-la-guerra-in-ucraina-divide-linternet/396648/. Giacomo Mazzone, Erik Lambert “Dalla ‘Cortina di ferro’ alle ‘Cortine di Silicio’: sarà l’Internet globale la principale vittima del conflitto russo-ucraino?”, eodem loco. Anteprima il 1 aprile 2022 https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalla-cortina-di-ferro-alle-cortine-di-silicio-sara-linternet-globale-la-principale-vittima-del-conflitto-russo-ucraino/398412/.

[2] Guido Barlozzetti, “Appunti sulla guerra. Tra voyeurismo, rimozione e invisibilità”, Democrazia futura, II (5) gennaio 2022. Anteprima 30 marzo 2022 https://www.key4biz.it/democrazia-futura-appunti-sulla-guerra-tra-voyeurismo-rimozione-e-invisibilita/397962/.

[3] Di rilievo l’intervista dell’ex senatrice Emma Fattorini, storica della Chiesa del Novecento e in particolare del Papato di Pio XI, rilasciata a Umberto De Giovannangeli per Il Riformista il 6 aprile 2022 dal titolo “Il papa silenziato e strumentalizzato. Ma la sua sfida è una nuova diplomazia”, in cui la Fattorini torna sull’idea di una “nuova, grande, seconda Helsinki dopo quella del 1977, voluta dai sovietici per riconfermare i confini usciti dalla seconda guerra mondiale a Yalta e mai con un trattato vero e proprio. Ebbene a Helsinki i sovietici, quasi mai senza rendersene conto e grazie alla Santa Sede firmarono l’autodeterminazione delle nazioni, la pace e la garanzia dei diritti umani che cominciarono ad erodere dall’interno i regimi comunisti. E’ a quel livello che avremmo dovuto incalzare e sanzionare la Russia, non per allontanarla, ma nella prospettiva di Giovanni Paolo II per farne il polmone orientale dell’Europea. Un’Europa vitale solo se avesse respirato con tutti e due i polmoni, quello orientale e quello occidentale. E quell’incontro tra ovest ed est sarebbe dovuto essere agevolato dall’incontro tra le chiese ortodosse e quella di Roma”.