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Democrazia Futura. Appunti sulla guerra. Tra voyeurismo, rimozione e invisibilità

di Guido Barlozzetti, conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore |

Similitudini con il Covid-19 e strategie di comunicazione e marketing para-bellico. Per Democrazia Futura Guido Barlozzetti a più di un mese dall'avvio del conflitto propone alcuni "Appunti sulla Guerra. Tra voyeurismo, rimozione e invisibilità".

Guido Barlozzetti
Guido Barlozzetti

Per Democrazia futura Guido Barlozzetti a più di un mese dall’avvio del conflitto propone alcuni “Appunti sulla Guerra. Tra voyeurismo, rimozione e invisibilità” evidenziando, come recita l’occhiello, “Similitudini con il Covid-19 e strategie di comunicazione e marketing para-bellico”. ” La Guerra sta funzionando come il Covid dal punto di vista della comunicazione? … In entrambi i casi, nel contesto nazionale, europeo e occidentale (tre piani che si sovrappongono ma con sfasature e attriti) si è consolidato un discorso mainstream … nei talk-show, come durante la fase più acuta della Pandemia si cercavano i no-vax da contrapporre ai virologi e alla maggioranza-vax, così nella Guerra si cercano i dissidenti dal pensiero dominante per alimentare il dibattito e costruire una squadra di Antagonisti che alimenti il discorso. Si parla di Guerra e, con qualche paradosso, il modello è lo scontro, l’attacco, la difesa, l’avversario da sconfiggere sia pure in un dibattito”.          

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Riprendendo il filosofo Slavoj Zizek, viene da dire che accadono cose interessanti. Ancorché tremende perché stiamo parlando di Guerra.

E subito i luoghi comuni, molti, “non succedeva dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”, “nel cuore dell’Europa”…

Provo a mettere in fila alcuni punti che dicono del nodo della Guerra e della Comunicazione, del modo in cui la Comunicazione fa parte della Guerra e del modo in cui attraverso la Comunicazione ci stiamo noi.

Dico “Comunicazione” perché comprende un ambito più largo di quello dell’Informazione in senso stretto, con le sue routines e i suoi formati. E anche con i limiti dovuti alla sproporzione tra la singolarità di uno sguardo e l’immenso panorama composto dalla stampa, dalla televisione tradizionale, dai social network… Dunque, saranno osservazioni “limitate”, relative cioè a quello che della Guerra ho potuto leggere, vedere, ascoltare.

Similitudini

L’oggetto è diverso ma il soggetto lo stesso. La Guerra sta funzionando come il Covid dal punto di vista della comunicazione? Sono gli stessi i riflessi condizionati che stanno scattando nella macchina della comunicazione e nell’insieme delle opinioni e dei punti di vista che si confrontano sulla questione?

Guai a generalizzare, ma alcune consonanze ci sono.

In entrambi i casi, nel contesto nazionale, europeo e  occidentale (tre piani che si sovrappongono ma con sfasature e attriti) si è consolidato un discorso mainstream.

Nel primo caso, costruito sul paradigma della verità della pandemia (di contro ai negazionisti  sostenitori di una messa in scena…) e sulla necessità del vaccino (arma fondamentale per uscire dalla emergenza di contro alla rivendicazione di una individuale libertà di scelta)…

Nel secondo, fondato sui pilastri dell’Invasione e del Dominus demoniaco (Il Presidente Vladimir Putin), di contro a una minoranza di sostenitori della “complessità”, di fautori di un antioccidentalismo in nome di patrie, religioni e popoli, e di un pacifismo spesso testimonial di una nostalgia… sovietica e d’ispirazione anti-americana.

Non si danno giudizi di valore, si constata: nei talk-show, come durante la fase più acuta della Pandemia si cercavano i no-vax da contrapporre ai virologi e alla maggioranza-vax, così nella Guerra si cercano i dissidenti dal pensiero dominante per alimentare il dibattito e costruire una squadra di Antagonisti che alimenti il discorso. Si parla di Guerra e, con qualche paradosso, il modello è lo scontro, l’attacco, la difesa, l’avversario da sconfiggere sia pure in un dibattito. La metafora bellica del confronto riunisce schieramenti che si dislocano da un talk all’altro e riuniscono generali in congedo, analisti geopolitici, editorialisti della stampa, docenti di sociologia internazionale, filosofi, scrittori, esponenti del volontariato, politici… variamente distribuiti sul campo.

La Televisione, per quanto la riguarda, non ha verità né morali, confeziona di volta in volta il mix più funzionale, variamente declinato secondo le esigenze di ascolto, il dibattito politico, l’emotività del pubblico e lo statuto aziendale.

Tutto questo nella Televisione dei paesi democratici.

Se fossimo spettatori russi sentiremmo parlare soltanto – e poco – di “operazione speciale” e di un Paese da “denazificare” e – come è capitato- vedremmo giornalisti russi attaccare le fake news dell’informazione occidentale.

Il marketing della Guerra

Il presidente dell’Ucraina ogni giorno si rivolge a un Parlamento nazionale – europeo, inglese, americano, israeliano, francese, italiano, canadese, … – e perora la causa dell’Ucraina. Si erge a baluardo dell’Europa, chiede assistenza, invoca aiuti, la no flight zone, lamenta un impegno non sufficiente…

Mai successo, impossibile pensare che il capo di uno stato sotto attacco potesse rivolgersi in diretta dal suo Paese a interlocutori dislocati nel mondo. Adesso, invece, le tecnologie digitali della comunicazione rendono possibile che un Presidente in stato d’assedio scavalchi ogni barriera e si muova a piacimento e a tempo pieno nell’immenso, virtuale spazio della comunicazione…

Oltre l’analogico dei confini e dei territori, Volodymyr Zelenskyj apre un altro fronte, del tutto immateriale, che riguarda l’immagine e il consenso che può raccogliere e lo fa lavorando su più piani: le dirette-evento in collegamento, le apparizioni variamente articolate nelle forme e nei contenuti su Instagram, Facebook e Twitter.

Lo fa nella mise più congrua alla sua condizione di assediato e braccato dalle squadre speciali russe, in maglietta verde-militare. Un Presidente-combattente che si rivolge all’Occidente, all’Europa, alla Nato e ai paesi che fanno parte dell’una e dell’altra.

Un intervento così strutturato implica necessariamente una strategia di comunicazione, pianificata e adattata in funzione del diveniente contesto della guerra,  volta a sostenere le ragioni dell’Ucraina  e a chiedere sostegno e aiuto, a indicare i termini di una possibile trattativa e insieme a dare il segnale più forte – con il corpo belligerante del suo Presidente –  della resistenza che l’Ucraina oppone all’invasione.

Dunque, l’agenda-Zelensky si configura come un’attività di marketing para-bellico, volto a influenzare e a creare consenso internazionale e dunque a collegare il teatro del conflitto  alla scena mediatica.

Uno nessuno e centomila

Tutti sono potenzialmente testimonial della Guerra. Chiunque stia dentro i confini dell’Ucraina è un possibile punto di vista, solo per il fatto di risiedere in qualche punto del Paese, a Kiev come a Leopoli.

Anche questa moltitudine è una conseguenza della diffusione capillare delle tecnologie in grado di bypassare le difficoltà che la Guerra porta con sé e di trasmettere da qualunque punto voce e immagini. Basta avere un telefonino con microfono e microcamera.

Ucraini e ucraine vengono ansiosamente ricercati dai talk che vogliono far provare allo spettatore l’emozione della guerra in diretta per interposto testimone sul campo.

Si va da chi fa parte del sistema dell’informazione a italiani rimasti sul posto, a famiglie che non sono riuscite ancora a partire…

Tutti vengono presi in questo voyeurismo esasperatamente curioso e sono sottoposti a un interrogatorio invasivo in cui le domande sono spesso tautologiche oppure annunciate nella risposta, perché si stabilisce immediatamente un gioco di ruoli tra l’intervistatore e l’intervistato che diventa il Civile  vittima della Guerra.

Cosa sta succedendo? Come vive questi giorni? Sono suonate le sirene? C’è gente per strada? Avente sentito esplosioni? Si può uscire e si trovano viveri?…

Ovviamente, cambiano gli stili dell’intervista, il più praticato è quello partecipativo/consolatorio ma può anche accadere di trovarsi di fronte a attivisti che polemizzano aspramente con gli interlocutori in studio o addirittura a siparietti con taglio ironico in trasmissioni di intrattenimento.

Il livello della partecipazione emotiva si alza quando entrano in scena i bambini, esposti a una condizione sconvolgente e destabilizzante. È la faccia (dis)umana della Guerra, rispetto alla quale arretrano il dibattito politico-militare e le differenze di orientamento.

I Bambini sono una categoria prepolitica che attiene al paradigma universale dell’Umano.

La trasgressione in diretta

Mentre va in onda il telegiornale su Russia1, la giornalista Marina Ovsyannikova entra nel quadro e alle  spalle della speaker  esibisce un cartello  in russo e inglese: “No alla guerra, stop alla guerra. Non credete alla propaganda, vi stanno mentendo”.

Sul suo profilo Facebook , aveva appena postato un video per spiegare le ragioni del gesto: “Quello che sta succedendo in Ucraina è un crimine. La Russia è l’aggressore in questo caso. E la responsabilità dell’aggressione è riconducibile alla coscienza di un singolo uomo: Vladimir Putin”, dice la giornalista e aggiunge di vergognarsi di aver supportato con il proprio lavoro la propaganda filoputiniana.

In questo caso, siamo in un medium e in un formato tradizionale e la trasgressione è in questo senso tutta nel Novecento della comunicazione di massa, se non fosse l’amplificazione istantanea attraverso la rete, dove quelle immagini si replicano e proliferano, fino a generare un’ondata d’attenzione che si riverbera sulla stessa protagonista e le costruisce attorno uno scudo protettivo, ancorché nella solitudine in cui si è venuta a trovare dopo il gesto.

La diretta presuppone uno spazio-tempo che per quanto codificato e regolamentato non può escludere le sorprese e l’imprevedibilità dell’accadere e l’irruzione di un comportamento distonico e non conformista.

Ancor più clamoroso negli effetti quanto più ferreo e capillare è il dispositivo del controllo. Dopo l’exploit della giornalista, il notiziario di Russia1 va in onda in differita di un minuto.

I mille occhi

Se c’è una topografia della guerra è quella dei telefonini che mandano immagini e mettono insieme un flusso quotidiano puntiforme di cui è il caso di sottolineare l’ambiguità almeno su due piani:

  • quello della verità che riguarda chi parla e dice cosa, con le incertezze che possono riguardare le fonti e le modalità di selezione da parte delle emittenti o di chi posta sui social;
  • il limite della singolarità di un’immagine: abbiamo infatti davanti immagini in un’evidenza che non ha contesto e che dunque non è possibile collocare in un quadro più largo  che le tolga alla loro singolarità e dunque al rischio di essere generalizzate e caricate di un’esemplarità.

Nella Guerra della comunicazione nessuna immagine è di per sé innocente e tutte partecipano a un gioco di posizioni.

Certo, il salto è sostanziale.

Una volta c’erano gli operatori cinematografici – spesso autori di immagini dei combattimenti che venivano secretate per decenni.

Adesso chiunque può affacciarsi a una finestra e riprendere una nave russa in fiamme davanti a Odessa o un elicottero che cade, oppure trovarsi per strada e catturare l’esplosione di un missile che si abbatte su una palazzina.

Visibile/invisibile

Vediamo e ascoltiamo, ma la Guerra non la vediamo.

Nonostante le tecnologie, la loro diffusione puntiforme e l’interattività che consentono, non si mostra la linea del fronte, non si vedono gli attacchi dei Russi e, quando gli Ucraini sono in condizione, i contrattacchi. Insomma, non si vede la linea del contatto, le truppe dispiegate, i reparti che avanzano o arretrano, la linea su cui si contano le. migliaia dei morti. Non si vedono le truppe degli assalitori e le forze degli assaliti, i comandi, le operazioni, le avanzate e le ritirate, ma anche le violenze sui civili, di una guerra che resta inevitabilmente novecentesca perché costretta nell’analogico di un territorio e dunque del linguaggio con cui vi si applica: invasione, occupazione, avanzata… E questo nonostante le infiltrazioni del digitale, a cominciare dai missili telecomandati e dai droni…

Insomma la Guerra in atto, nel suo farsi, nell’attrito violento e indicibile  è rimossa, confinata nell’invisibilità.

Questa assenza ha come contraltare una mancanza nell’immagine della Guerra, di cui pure vediamo gli effetti tremendi (inutile ripeterlo, presi nel deliberato e ambiguo gioco della propaganda) e però ha anche una conseguenza che mette il conflitto su un piano diverso rispetto a quello dei combattimenti e dei loro esiti variabili.

L’assenza delle immagini, di quelle immagini, infatti, finisce per creare un’aura, legata all’estremo irrappresentabile in cui si colloca la Guerra e la rimozione della Scena crea un mito a rovescio  dell’estremo dis-umano che la costituisce. Un estremo che sta all’opposto dell’utopia edenica, l’Inferno vs. il Paradiso Terrestre, la sovversione totale della normalità, dove si uccide nell’anonimato e chiunque, si bombardano le città, si stupra, si preme un bottone e … si distrugge. È questo fantasma, un Significante nebuloso e terribile che si deposita,  lavora nell’inconscio sul punto in cui il simbolico arretra, l’immaginario fibrilla e il Reale di un fantasma viene a scompaginare e destabilizzare. Per noi, che non stiamo in un rifugio, che non sentiamo urlare le sirene, che non vediamo all’orizzonte bagliori di fuoco, che non abbiamo lasciato la casa attraversando un “corridoio umanitario”…

(Non) vediamo. Ci sono concessi solo effetti, resti, macerie, frammenti,  esplosioni, bagliori, cadaveri e corpi in fuga… I morti e i profughi, i primi a testimonianza di qualcosa che è stato, gli altri in fuga dal teatro della guerra.