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Cybersecurity: Vodafone contro il giro di vite allo studio in Uk

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La compagnia non nasconde la sua preoccupazione per la proposta di legge in materia di sicurezza in gestazione a Londra

Il giro di vite sulla sicurezza in rete voluto dal governo nel Regno Unito (The Investigatory Powers Bill) non piace a Vodafone. La compagnia è preoccupata: c’è il rischio di intrusioni eccessive sulle sue reti da parte delle autorità, che a scopo investigativo vorrebbero un accesso più semplice e diretto al traffico dati dei clienti online.

Lo scrive il Financial Times, aggiungendo che Vodafone, come già altri big del settore tecnologico (Facebook, Google, Microsoft, Twitter, Yahoo e Apple) si è schierata contro la proposta di legge allo studio, che prevede di rafforzare il potere di controllo delle autorità anche sulle comunicazioni di instant messaging (WhatsApp in primis), rischia di “pesare in modo significativo sulla fiducia” dei clienti nelle telco britanniche.

C’è da dire che la nuova norma in gestazione è stata ribattezzata ‘Snoopers’ Charter’, licenza di ficcare il naso.

In particolare, Vodafone non vede di buon occhio la possibilità che le forze di sicurezza installino dispositivi in grado di introdursi nei network e negli smartphone dei clienti, un’eventualità che secondo l’operatore sarebbe “un’imposizione pesante sulla libertà di un operatore”.

Per questo Vodafone ha protestato nei confronti del comitato congiunto che sta lavorando alla proposta di legge, chiedendo se “questo potere intrusivo sia davvero necessario”.

Le critiche di Vodafone si aggiungono a quello di altre aziende, come Apple, che nelle scorse settimane ha puntato il dito contro le proposte del governo, che rischierebbero di provocare “seri conflitti internazionali” e di indebolire la sicurezza dei consumatori.

L’obiettivo del governo è rafforzare la normativa che consente a forze di polizia e intelligence di accedere ai dati sulle comunicazioni elettroniche nella lotta al terrorismo, alla pedofilia e ai criminali.

La proposta di legge prevede quindi che lo storico della navigazione in rete degli utenti venga immagazzinato e conservato dagli operatori, per consentire l’accesso ai dati da parte delle autorità.

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