crescita economica

Crescita. Innovazione e produttività cognitiva, le traiettorie da seguire per una nuova politica industriale

di Luciano Pilotti, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - ESP - Università di Milano |

Il problema italiano di crescita economica attiene alla domanda di lavoro delle imprese e ai contenuti tassi di innovazione delle nostre produzioni generati dalla debole traiettoria degli investimenti, pubblici e privati, ecco perché si necessita una nuova politica industriale che faccia ripartire i potenziali “cognitivi” del paese.

Crescita Investimenti e Territorio è un think tank indipendente che mira a promuovere un cambiamento negli indirizzi della politica industriale e regionale in Italia e nell’UE. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Crisi d’impresa diffuse, bassi livelli occupazionali, precarietà del lavoro, bassa qualificazione della forza lavoro, produttività stazionaria segnalano che il problema italiano di crescita attiene alla domanda di lavoro delle imprese e ai contenuti tassi di innovazione delle nostre produzioni generati dalla debole traiettoria degli investimenti, pubblici e privati. Da qui la necessità di una Nuova Politica Industriale che faccia ripartire i potenziali “cognitivi” del paese, iniettando innanzitutto fiducia. Gli incentivi fiscali agli investimenti come taglio ai costi di ammortamento infatti si riveleranno utili ed efficaci se riparte la fiducia sia dal lato della domanda di investimenti e sia dal lato della domanda finale di beni e servizi, in particolare ad elevato tasso di innovazione e in settori ad elevata produttività, “cognitiva”, in particolare.

I nuovi investimenti devono essere privati e pubblici o in Partecipazione Pubblico Privata (PPP) e devono essere finanziati dai ricavi che le imprese private conseguiranno sviluppando nuove produzioni, secondo una strategia “trainata dalla domanda” piuttosto che spinta dall’offerta di fattori (incentivi ai capitali e lavoro a basso costo). In particolare, ribilanciando l’obiettivo di un traino da esportazioni verso il sostegno della crescita della domanda interna, anticipandone i mutamenti qualitativi. Con l’obiettivo di promuovere l’espansione delle capacità produttive nazionali orientate al mercato interno, seppure in un quadro di “glocalità” e di integrazione domanda-offerta. Esportare non ha sempre significato internazionalizzazione, mentre è in quest’ultima dimensione che dobbiamo crescere, in rete e riducendo le diseguaglianze.

Integrazione domanda-offerta, “glocalizzazione”, sviluppo della produttività cognitiva attraverso la chiave dell’innovazione , richiede di individuare i (nuovi) attori “locali o endogeni” dello sviluppo urbano sostenibile e di definirne i ruoli con azioni e politiche “dal basso”. Il modello a cui ispirarsi è quello della triplice elica e, in tempi più recenti, della quadruplice elica (Istituzioni, Ricerca, Impresa, Società civile). La legittimazione di politiche che puntino anche sul mercato interno richiedono infatti anche il coinvolgimento degli utilizzatori finali e dei destinatari delle politiche per l’innovazione. In questo modo l’innovazione diventa sociale e condivisa e può trovare un posto preminente nelle strategie di ricerca e innovazione per la specializzazione intelligente  e collaborativa al pari dell’innovazione tecnologica. Grazie alla quadrupla elica risulta possibile: una crescita sostenibile e inclusiva; affrontare le sfide strutturali dell’invecchiamento della popolazione, il cambiamento climatico, la dipendenza energetica; modernizzare il settore pubblico; ideare nuove opportunità imprenditoriali; allargare l’accesso all’istruzione (di base e superiore). Lungo questa via riducendo le diseguaglianze nell’accesso alle risorse.

In questo quadro, di fondamentale importanza è la relazione stretta tra ricerca e innovazione in contesti contaminanti e ibridanti per osmosi, e dunque la collaborazione con le Università, anche tramite il distacco di docenti ora impegnati nelle attività didattiche alle attività di ricerca cooperativa o collaborativa con costo a carico delle Regioni (nell’ambito delle III missione delle Università).Un esempio recente  è il progetto TECNOPOL che vedrà il trasferimento di molti dipartimenti scientifici da Città Studi di Milano all’area EXPO a Rho, in stretta collaborazione con cluster di imprese innovative del bio-tech, della meccatronica, della farmaceutica o della domotica. Investimento sui settori innovativi dentro nuovi contesti urbani a elevata densità connettiva tra ricerca, innovazione e creatività.

Ciò significa che lo sviluppo di nuove produzioni e la stessa innovazione non si esauriscono nella sola tecnologia digitale o nei settori high tech, come molti policy-maker ed anche molti macroeconomisti ritengono. Infatti, per aumentare la “produttività cognitiva” nei diversi settori dell’economia sono necessari molti diversi tipi di investimento ad elevata trasversalità sia materiali che immateriali. Così come è necessario diversificare l’economia verso nuovi settori (“smart specializations”) ad alta produttività cognitiva, che non sono solo la manifattura a media e ad alta tecnologia (Industria 4.0), ma anche nuovi tipi di servizi di interesse collettivo, quali i sei diversi “mercati-guida” che si propone di creare nelle diverse aree urbane del Paese: casa, mobilità, tempo libero, cultura, media, salute e formazione, ambiente naturale e nuove filiere produttive collegate, come indicato dal Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio”.

Da qui un ruolo strategico del territorio. Infatti, grandi bacini di opportunità e di vantaggio comparato dinamico per nostri sistemi produttivi sono collegati alla domanda potenziale alimentata dalle carenze evidenti e dai bisogni crescenti dei cittadini nel territorio, sia nelle aree di concentrazione urbana sia nei territori interni e nel Mezzogiorno in particolare, in termini di bisogni di edilizia abitativa, di trasporti interni e urbani, di servizi di pubblica utilità, di economia verde/circolare, di servizi commerciali e turistici, di sanità, di formazione superiore e della ricerca. Va inoltre messo in evidenza  che tutte queste produzioni di servizi non creano solo nuove possibilità di occupazione, ma sono in grado di trainare molte produzioni di tipo manifatturiero tecnologicamente avanzate, nella fornitura di beni strumentali e di infrastrutture, promuovendo nuove filiere produttive a scala nazionale, che combinandosi con i nuclei del Made in Italy tipico potrebbero in futuro costituire la base di una diversa specializzazione delle esportazioni italiane verso i mercati globali.  Da qui la necessità di ibridare e contaminare i tradizionali cluster o distretti industriali con le aree urbane per avviare nuove divisioni tecniche e cognitive del lavoro lungo la quadruplice elica e “oltre” la divisione del lavoro alla Adam Smith.

In primo luogo, le sei arene strategiche guida suindicate possono stimolare una ripresa degli investimenti, trainata dalla crescita della domanda di nuovi beni e servizi a scala regionale e nazionale. E’ necessario facilitare l’necessaria ibridazione e la contaminazione di sistemi di imprese differenziati e complementari per soddisfare nuovi bisogni collettivi e individuali, consentire lo sviluppo di nuove specializzazioni produttive (smart specializations) che diversificherebbero la specializzazione produttiva dell’economia, adeguandola a quella di regioni europee più sviluppate assicurando la crescita qualitativa dell’occupazione. Ampliando le varietà industriali e di servizio (oltre che di consumo), si accrescerebbero le modalità di exaptation dei processi innovativi perchè da decenni queste seguono traiettorie non lineari entro contesti favorevoli di attrattività delle risorse di investimento e di capitale umano. Qualificando ed espandendo i processi di social innovation e il social capital nel quadro di un’economia collaborativa e circolare sospinta dalla società della conoscenza.

In secondo luogo, è necessario una politica industriale non solo per le poche imprese molto innovative, ma soprattutto per le molte imprese mediamente innovative e, inoltre, per quelle in difficoltà e che rappresentano forse più di un terzo dell’occupazione complessiva. La crisi economica ha aumentato le disparità tra imprese di successo e le imprese che restano indietro ed è necessario sostenere le aziende italiane e del Made in Italy, che altrimenti vengono sistematicamente acquisite da gruppi finanziari esteri. Da cui la necessità di promuovere l’avvio di processi di innovazione nelle medie tecnologie e non solo nell’high-tech, e promuovere la cooperazione tra le imprese tramite i contratti di rete e forme di collaborazione (non equity) e fusione (equity) tra le imprese in difficoltà con altre imprese in sviluppo e complementari  di filiera.

In terzo luogo, in anni recenti sono infatti emerse “catene globali del valore” o filiere complesse, che ricompongono le competenze produttive, in cui il ruolo delle aziende sub-fornitrici viene valorizzato a seconda della posizione (a monte o a valle) svolta nella catena produttiva. Anche il nostro paese – grazie a una forte tradizione di sub-fornitura – si è posizionato in questo percorso, con diversi casi di successo. Tuttavia, il modello della subfornitura italiana frammentato in una miriade di fasi è altamente obsoleto e le imprese sono troppo specializzate e con dimensioni inadeguate ad affrontare la competizione internazionale  e per questo ne va facilitata e incentivata la integrazione in molteplici forme (industriali, commerciali, innovative) in modalità equity e non equity. Inoltre, le nuove conoscenze sono il risultato di una grande organizzazione a rete adattativa e osmotica che comprende diversi attori, e istituzioni di media-elevata complessità, come le università e i centri di ricerca privati. Pertanto, i piccoli imprenditori isolati non possono più competere basandosi su capacità creative individuali come un neo-artigianato di nicchia e/o super-nicchia esposto alla volatilità dei mercati globali. Da qui fenomeni noti di reshoring in ampie reti di fornitura internazionale. Facilitando spin-off e start-up innovative.

Avviare tutti questi processi su scala regionale coordinata a livello nazionale serve abbracciare “logiche sistemiche” e con un’Agenzia a Rete sul modello francese che svolga funzioni di incentivo e coordinamento flessibile ibridando e contaminando i vari contesti regionali e multi-regionali quale “ponte” tra direttive comunitarie e orientamenti di politica industriale nazionale.

luciano.pilotti@unimi.it

Questo articolo fa parte di una serie su: “I bisogni dei cittadini trainano lo sviluppo del Paese” promossa dal Gruppo di Discussione Crescita Investimenti e Territorio. Altri articoli di questa serie sono stati scritti da Riccardo Cappellin, Maurizio Baravelli, Leonardo Becchetti, Enrico Ciciotti, Luciano Pilotti, Enrico Marelli, Franz Foti, Roberto Camagni, Luca Beltrami Gadola e altri.

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