Il Rapporto

Robot industriali, media globale di 126 ogni 10 mila lavoratori (il doppio di cinque anni fa)

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I Paesi al mondo con il maggior numero di robot per lavoratori dell’industria sono la Corea del Sud, Singapore, il Giappone e Germania. Italia all’11° posto, poco dopo la Cina. La domanda potrebbe aumentare con la transizione digitale ed ecologica, ma rimane lo spettro della disoccupazione tecnologica.

I robot alla conquista del mondo del lavoro

La robotica industriale continua la sua corsa in tutto il pianeta e oggi, secondo l’IFR, l’International Federation of Robotics, in media sono attivi globalmenet 126 robot ogni 10.000 lavoratori.

Un livello record mai raggiunto prima, un dato raddoppiato rispetto al 2015, quando i robot nell’industria erano in media 66 ogni 10 mila lavoratori, secondo quanto contenuto nel 2021 World Robot Report dell’IFR.

Le nuove installazioni di robot industriali a livello globale hanno raggiunto i 13 miliardi di dollari di valore di mercato nel 2020. In totale oggi sono attivi più di 3 milioni di robot industriali a livello globale, il 32% nell’industria automotive, un 25% nell’industria elettronica.

A monte di questo incremento di domanda di robotica industriale c’è la trasformazione digitale e i piani per l’industria 4.0, ma anche la necessità di avviare nuovi impianti per la produzione di auto elettriche, ad esempio, o di batterie e pannelli fotovoltaici, a cui si possono aggiungere altre tecnologie considerate centrali per la decarbonizzazione dell’economia.

In Europa l’automazione è guidata dalla Germania (Italia all’11° posto)

A livello regionale, l’impiego più alto di robot industriali si riscontra in Asia e nel Pacifico, con una media di 134/10.000, mentre in Europa non si va oltre i 123/10.000. Ancora meno negli Stati Uniti, con 111/10.000 in media.

I Paesi più automatizzati a livello industriale sono la Corea del Sud (932 robot ogni 10.000 lavoratori), Singapore (605/10.000), il Giappone, 390/10.000), la Germania (371/10.000) e la Svezia (289/10.000).

Soltanto questi cinque Paesi da soli rappresentano il 78% delle nuove installazioni.

L’Italia si piazza all’11° posto, con una media di 224 robot industriali ogni 10.000 lavoratori, quindi al di sopra della media globale e non molto distante dalla Cina e la Danimarca, che la precedono in Top Ten, entrambe con una media di 246/10.000.

Asia patria dei robot

In particolare, lo studio sottolinea come in Asia ci sia stata una crescita molto rapida dell’utilizzo di robotica a livello industriale. In soli cinque anni si è passati da una media di 49 unità ogni 10.000 lavoratori alle attuali 246 unità.

La stessa Cina nel 2015 era al 25° posto nel mondo, oggi ha scalato la classifica, raggiungendo il 9° posto. Il Giappone, invece, è praticamente il Paese produttore di robotica industriale più forte al mondo, con 174 mila unità prodotte nel 2020 e una quota del 45% del mercato globale.

Lo scenario europeo

In Europa, infine, il dominio tedesco è pressocché assoluto, con il 38% dello stock operativo. Dopo la Germania il livello di automazione maggiore come visto ce l’hanno Paesi come la Svezia, la Danimarca e l’Italia, mentre la Francia, con 194/10.000, si posiziona al 16° nella classifica mondiale.

Il Regno Unito ha addirittura una media nazionale inferiore a quella mondiale, con 101/10.000, raggiungendo a fatica il 24° posto.

Qui, però, c’è da tenere in considerazione che la fuoriuscita di lavoratori stranieri dovuta alla Brexit ha fatto impennare la domanda di robot industriali in Gran Bretagna nel 2020, con inevitabili conseguenze, d’ora in avanti, sul livello di impiego delle macchine nella produzione (anche considerando che fino a marzo 2023 ci saranno massicci incentivi statali per l’automazione industriale, fino al 130% di superbonus, cioè di detrazioni fiscali sugli investimenti in impianti e macchinari).

Lo spettro della disoccupazione tecnologica

Un settore in rapida espansione, guidato dalla transizione digitale ed energetica, ma anche dall’innovazione tecnologica applicata alle catene di produzione e alla fabbrica di nuova generazione, che se da un lato consentirà di aumentare velocemente la produttività e l’efficienza degli impianti, dall’altra creerà notevoli difficoltà in termini di taglio di posti di lavoro, con lo spettro della “disoccupazione tecnologica” che potrebbe tornare ad aggirarsi nei Paesi più automatizzati al mondo.