quale futuro?

Cresce la pubblicità via Internet, ma per i cookie il futuro è segnato

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Ma non c’è solo Apple, ovviamente. Anche Google ha deciso che su Chrome (dopo Safari e Firefox) i cookie di terze parti saranno bloccati, a partire dal 2023: questo significa che sarà praticamente impossibile vendere inserzioni pubblicitarie personalizzate sulla base della navigazione degli utenti.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

“Il miglior trimestre che abbiamo visto negli ultimi vent’anni”: una frase che non ci si aspetterebbe di leggere in periodo di crisi economica diffusa. L’ha pronunciata David Cohen, presidente di IAB (Interactive Advertising Bureau) la principale associazione di categoria che rappresenta oltre 600 aziende di comunicazione e pubblicità in USA e Unione Europea, riferendosi all’ultimo trimestre del 2020. In quei tre mesi, infatti, la pubblicità su Internet ha fatto registrare un rimbalzo dopo ai cali dovuti alla pandemia davvero sorprendente, con una crescita annuale del +29%. Grazie a questa performance, l’advertising online nel 2020 è complessivamente riuscito ad aumentare del 12% rispetto all’anno precedente.

Come ha chiosato Cohen, la salvezza per il settore pubblicitario è arrivata proprio dall’advertising in Rete, che è cresciuto anche per il massiccio ricorso di mezzo mondo all’e-commerce: in altre parole, chi aveva fondi da parte da investire in promozione l’ha fatto puntando su Internet, in particolare negli ultimi mesi dell’anno scorso, quando in diverse parti del mondo la morsa del coronavirus sembrava essersi allentata (e le notizie ormai sempre più confortanti di un vaccino, anzi di più vaccini, hanno fatto intravedere una luce dopo l’epidemia). L’IAB ha non a caso chiamato il 2021 l’anno del “Grande reset”: nel mondo post-pandemico la tipologia di investimento pubblicitario si assesterà con ogni probabilità su modalità ben diverse rispetto a quelle pre-COVID,  e bisognerà venire a patti anche con quei sistemi anti-tracking (come quello sviluppato da Apple) che renderanno più difficile, per motivi di privacy, offrire pubblicità personalizzate ai propri utenti.

Quattro ore a guardare pubblicità sullo smartphone

Che i dati siano comunque più che lusinghieri per chi vende pubblicità su Internet è dimostrato anche dalle analisi di App Annie: dai 240 miliardi di dollari spesi in ad per il mercato mobile (in assoluto quello più in salute nell’ambito digitale) nel 2021 si dovrebbe passare a 290 miliardi. Cifre che non devono stupire più di tanto, se è vero che gli utenti, oggi, passano più di quattro ore al giorno sullo smartphone (per fare un confronto, negli Stati Uniti la gente rimane in media l’8% in più con le app che a guardare la televisione). Non è un segreto che tra i segreti del successo ci sia il ruolo degli influencer e delle celebrities di ogni genere, che ricevono emolumenti più che generosi per mostrasi su Instagram o altri social mentre sorseggiano la tal bevanda gassata, indossano il piumino di marca o mettono il loro nome in una partnership di qualsiasi prodotto sia presente sul mercato. Harry Styles sponsorizza Calm, l’applicazione dedicata alla mindfulness, mentre il trapper Travis Scott si è esibito su Fortnite arrivando a un pubblico di 12.665.324 spettatori, infinitamente di più di qualsiasi evento non online, anche senza contare la pandemia. E nel frattempo Clubhouse, l’app dedicata alle chat audio, ha annunciato Payments, la funziona che permetterà di pagare i propri creatori di contenuti preferiti, rendendo sempre più prossimo un modello in cui gli influencer più famosi organizzeranno delle dirette a pagamento per i loro (tanti) fedelissimi. Da notare che di questo denaro Clubhouse non prende un centesimo di commissione, a parte una piccola quota che serve per pagare Stripe, il fornitore del servizio di pagamento, a conferma di un approccio che preferisce puntare sulla trasparenza e su una community sempre più ampia prima di iniziare a monetizzare.

In giro, una nuova voglia di privacy

Ma è davvero tutto rose e fiori per la pubblicità su Internet, e in particolare per quella mobile? Non proprio, perché ricevere annunci personalizzati e calibrati sui propri gusti ha un prezzo che è sempre più noto (e meno apprezzato) anche al grande pubblico: le nostre informazioni private, che non di rado concedevamo cliccando distrattamente un “sì” alle richieste espresse, ma che ora tendiamo a custodire molto più gelosamente di un tempo. Sensibili alle preoccupazioni dei loro utenti – che sempre di più scelgono il dispositivo, la piattaforma, il sistema operativo che consente di mantenere il controllo sulla propria privacy – le grandi aziende hi-tech stanno progressivamente rendendo più difficile la vita ai pubblicitari della Rete.

Per quanto riguarda Apple, la data cruciale è quella del prossimo aggiornamento di iOS e iPadOS, la 14.5, che obbligherà le app a chiedere il consenso diretto da parte degli utenti prima di tracciare i suoi dati per fini pubblicitari. La parola, insomma, passa agli utenti: ormai sempre più online sui propri dispositivi grazie a quelli che di fatto sono “giga infiniti” per la telefonia mobile (su SOSTariffe.it si possono trovare le offerte che permettono di non rimanere mai senza traffico per la Rete), sono potenzialmente molto più tracciabili di qualche anno fa, con evidenti rischi per la privacy. Un messaggio, simile a quello sui cookie che ormai ci accoglie a ogni apertura di un sito Internet, ci permetterà di scegliere se condividere o meno le nostre informazioni, ma anche di cambiare idea e modificare quello che si è stabilito in passato.

Anche Chrome dice addio ai cookie di terze parti

Ma non c’è solo Apple, ovviamente. Anche Google ha deciso che su Chrome (dopo Safari e Firefox) i cookie di terze parti saranno bloccati, a partire dal 2023: questo significa che sarà praticamente impossibile vendere inserzioni pubblicitarie personalizzate sulla base della navigazione degli utenti (che non siano elaborate direttamente da Google, ovviamente). In base alle analisi dell’Osservatorio internet media della school of management del Politecnico di Milano, tutto questo si tradurrà in un profondo cambiamento del panorama dell’advertising in Rete. Secondo il responsabile scientifico dell’Osservatorio, Giuliano Noci, «l’intera filiera del Programmatic advertising si troverà ad affrontare questi profondi cambiamenti, dal momento che proprio i cookie sono alla base del processo di cookie sync necessario per il matching tra le diverse piattaforme al fine di veicolare l’annuncio targettizzato all’utente. Negli anni questo settore ha aumentato la sua rilevanza all’interno dell’industry pubblicitaria proprio grazie alle sue alte potenzialità di targetizzazione, raggiungendo nel 2020 il valore di 588 milioni di euro in Italia, in crescita del 6% rispetto al 2019. L’impatto derivante dall’eliminazione dei cookie di terze parti su questa filiera sarà quindi molto significativo se gli operatori non si attrezzeranno per adottare soluzioni alternative». In tutto questo rientrano anche gli editori, che poco dopo aver trovato una nuova frontiera per gli incassi pubblicitari si troveranno a dover cambiare ancora una volta il modo di rapportarsi a Internet, studiando nuove alternative come l’uso dei dati di CRM, il Mobile advertising Id e l’Universal Id. Scopriremo presto se c’è vita oltre i cookie.