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Che cos’è Uber?

Cos’è Uber? Una società di trasporti oppure un servizio online? Questo il tema (cruciale per il futuro della sharing economy tout court) affrontato oggi dalla Corte di Giustizia Europea, che dovrà esprimersi su un tema davvero fondamentale per il futuro della società californiana da 63 miliardi di dollari, ma più in generale per il futuro di tutto il nuovo settore dell’economia condivisa.

Prima udienza oggi, anche se il verdetto arriverà a marzo del prossimo anno, quando la Corte con sede in Lussemburgo deciderà se la sharing economy è un “servizio digitale”.

 

Il dilemma

Lo scrive il Financial Times, aggiungendo che se Uber sarà definita come una mera società digitale, allora potrà operare senza ostacoli in tutti i paesi dell’Unione Europea (al momento in Italia il servizio UberPop è sospeso dal 26 maggio del 2015, dopo la pesante diatriba con i tassisti di Milano e la sentenza del tribunale meneghino).

Se al contrario la Corte deciderà che Uber rientra nella categoria delle aziende di trasporto, come chiedono appunto a gran voce gli acerrimi nemici tassisti, allora le cose saranno completamente diverse, perché in questo caso l’attività di Uber potrà essere regolata in maniera molto più severa in base alle leggi che regolano il trasporto pubblico nei 28 stati membri. Ma in questo secondo caso, Uber potrebbe anche essere vietata in certi paesi (per concorrenza sleale secondo l’interpretazione che i singoli stati vorranno dare delle norme antitrust); oppure potrà essere ammessa in altri a seconda delle policy che i singoli stati vorranno adottare.

La app UberPop consente di prenotare via smartphone un servizio di trasporto pubblico non di linea a prezzi vantaggiosi, senza i vincoli che valgono per la categoria dei taxi e degli Ncc.

Conseguenze per la sharing economy

La decisione della Corte non sarà comunque indolore perché avrà conseguenze dirette sul futuro di molte società online della sharing economy, che mettono direttamente in contatto lavoratori indipendenti con potenziali clienti. Stiamo parlando di Airbnb (la cui regolazione fiscale in Italia, con un’aliquota del 21% proposta in legge di bilancio è stata congelata), Deliveroo e Hassle. Tutte società che in passato hanno attirato su di sé l’occhio del regolatore per l’effetto dirompente della disentermediazione del servizio offerto.

Insomma, la sentenza di oggi segnerà un precedente per il modo in cui si diffonderanno (più o meno) servizi online che consentono di affittare bici in rete, ordinare cibi via web, prenotare pranzi, dogsitter, babysitter o domestici per pulire le finestre di casa o persone in grado di montare al volo i mobili dell’Ikea, ha detto Debbie Wosskow, fondatrice e presidente di Sharing Economy UK.

Il caso odierno, che nasce da un ricorso che arriva da una Corte di Barcellona, non implica tuttavia che la Corte di Giustizia debba esprimere un aut aut. La Corte potrebbe decidere che Uber ha in parte alcune caratteristiche di un servizio “della società dell’informazione” e altre che appartengono ad un’azienda di trasporti. Il che, secondo il Financial Times, creerebbe ulteriore caos normativo e operativo per tutte le piattaforme di intermediazione online che operano nella Ue.

Regolare dei software come se fossero de taxi o degli hotel non ha senso e non aiuterebbe certo a proteggere i consumatori né a stimolare l’economia, ha detto James Waterworth, vice-president della CCIA, una lobby dell’industria tecnologica.

Sull’altro fronte, i detrattori di queste aziende della sharing economy contestano il vantaggio competitivo che ottengono rispetto ai player tradizionali grazie alla mancanza di regole chiare.

Lo scontro con i taxi

Lo scontro fra Uber e le compagnie di taxi di tutta Europa è cominciato nel 2011 e nel frattempo la app è stata vietata in Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Spagna. In Francia e Italia chi gestiva le attività ha subito diverse minacce e già nel 2014 le proteste dei tassisti contro la ‘app abusiva’ hanno investito le maggiori capitali europee.

Da un paio d’anni Uber ha adottato una strategia più conciliante che le consente di operare il 21 dei 28 paesi della Ue, fra cui il Belgio, dove i suoi driver rischiavano multe salate in passato.

Per questo quello di oggi è un appuntamento importante. Un panel composto da 15 giudici ascolterà le argomentazioni della società Usa e dei rappresentanti dei diversi stati Ue che vogliono intervenire (regolamentando l’azienda come un servizio di trasporto pubblico). Fra questi c’è ad esempio l’Irlanda.

I paesi più favorevoli a Uber sono quelli più digitalizzati del Nord Europa, come la Finlandia, ma anche la Commissione Europea è a favore di una maggiore diffusione del servizio come servizio digitale (e della sharing economy in generale). L’Antitrust Ue, sempre molto severo nei confronti di Apple, Microsoft e Google, sembra molto più morbido nei confronti di Uber e della sharing economy, spingendo per un approccio soft da parte dei regolatori nazionali (l’Antitrust italiano è da sempre bendisposto nei confronti di Uber).

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