il parere

AssetProtection. Istruire i ragazzi alla sicurezza digitale, ma i prof. quanto ne sanno?

di Anthony Cecil Wright |

I ragazzi dovrebbero conoscere la sicurezza digitale, ma per prima cosa devono essere istruiti dagli insegnanti che nella maggior parte dei casi ne sanno meno degli studenti.

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Tra i presenti alla nostra  recente giornata di studi vi erano alcuni giovani universitari; abbiamo loro chiesto quale impressione avessero tratto dalle varie relazioni che si erano succedute.

Ecco un parere che può riassumere l’opinione degli studenti presenti “Ovviamente da ex liceale mi è interessato molto l’ intervento della preside (prof.ssa Licia Cianfriglia); concordo con il fatto che i ragazzi devono essere istruiti sulla sicurezza digitale, ma per prima cosa devono essere istruiti gli insegnanti che nella maggior parte dei casi ne sanno meno degli alunni! Come fanno gli alunni ad utilizzare materiale digitale e sfruttare internet per ricerche riguardanti la didattica scolastica se gli insegnanti in primis non li spronano a farlo?”.

Vi sono dei casi di eccellenza (e noi ne abbiamo incontrati), ma in generale, vista l’ignoranza informatica della maggior parte dei docenti, questi non sono purtroppo nemmeno pronti a spiegare i rischi insiti nell’uso dei social network.

Per completezza informativa, aggiungo una recente notizia: “Bisogna stare attenti al digitale: la tecnologia digitale fa male! Può causare demenza senile!”. Pertanto, genitori attenti! Docenti: bollate dalla scuola i cellulari, gli smartphone, il WiFi, e tutto ciò che è digitale!

Stupiti? Mi è stato fatta notare questa notizia riportata sul loro sito da alcune scuole:  “Tecnologie nelle scuole, può causare demenza senile. A dirlo il professor  Manfred Spitzer, laureato in Medicina e Psicatria,  è stato visiting professor a Harvard e attualmente dirige la Clinica psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l’apprendimento dell’Università di Ulm (Germania)”.

A fronte di queste notizie, mi è venuta in mente la recente esperienza avuta in alcune scuole dove ho incontrato le ragazze ed i ragazzi della scuola media inferiore. In particolare, in una scuola avevo intavolato un dibattito con i giovani della prima media sull’uso eccessivo dello smartphone e dei giochi; a loro avevo indicato come  sia possibile realizzare una propria applicazione, ad esempio, con i personaggi di Star Wars. Ciò invece di scaricare i giochi da Internet, tra l’altro, possibili trappole progettate dai pedofili.

Il mio suggerimento era ovviamente teso a convincere gli studenti che è meglio passare del tempo a imparare l’informatica e a realizzare una propria applicazione, che perdersi in futili e pericolose chiacchiere.

Nella successiva riunione pomeridiana con i genitori e i docenti, sono stato apertamente attaccato perché gli smartphone vanno proibiti! Perché va proibito l’uso dei cellulari!  Ragazze e ragazzi di 12-14 anni non devono sapere cosa sia Facebook, Twitter, Snapchat, ecc.!

Malgrado il momento di stupore, ho chiaramente spiegato come sia meglio “governare” fenomeni come questo che combatterli. Adesso, dopo aver parlato con alcuni docenti e soprattutto con dei rappresentanti dei dirigenti scolastici, ho capito il perché dell’attacco.

Ha così affermato nel nostro recente convegno la professoressa Licia Gianfriglia, Vice Presidente ANP: “L’indagine INDIRE condotta nel 2015 sulle ‘Competenze digitali di studenti e docenti nelle regioni PON’, relativa agli investimenti del Programma PON 2007/2013 mostra che circa il 30% delle scelte dei docenti ha riguardato percorsi formativi sui sistemi digitali. Gli insegnanti pertanto esprimono in modo chiaro l’esigenza di essere formati ed hanno difficoltà ad integrare l’uso delle tecnologie nella didattica quotidiana”.

(…) “Si deve considerare che in Italia vi sono circa 8000 scuole, con circa 40.000 plessi. Il 70% è connesso alla rete, ma le connessioni spesso non sono adeguate per la didattica digitale. L’uso prevalente attuale è per fini amministrativi e solo il 16,5 % delle scuole usa forme centralizzate di piattaforme per la didattica. Poco più della metà delle scuole colloquia digitalmente con le famiglie. Il processo di dematerializzazione, obbligatorio per legge da qualche anno, procede con difficoltà. I registri elettronici sono utilizzati dal 73,6% dei docenti, il 68% delle scuole non ha adottato un sistema informatico di gestione documentale, l’80% non possiede un sistema di conservazione sostitutiva a norma”.

“Da questo scenario si può comprendere senza difficoltà come nella scuola vi sia ancora molto da fare rispetto ad una seria e generalizzata appropriazione delle competenze digitali. La consapevolezza, poi, rispetto alle problematiche di sicurezza è un passaggio ulteriore e di maggiore complessità realizzativa: è come se la scuola fosse rimasta fuori da questo processo di trasformazione digitale generale di cui oggi stiamo ragionando. Ci sono esperienze di eccellenza in cui si sono costruite progressivamente realtà significative, ma la trasformazione dell’intero sistema educativo è ancora lontana”.

(…) “C’è una resistenza generale al cambiamento che può essere compresa: le competenze digitali si acquisiscono con la pratica e il personale della scuola non è mai stato sollecitato in passato ad aggiornare la sua professionalità; ora si sente in difficoltà, inadeguato alla sfida del digitale e in cerca di motivazione per lo sforzo che gli viene richiesto”.

E’ necessario, a mio parere, fare un investimento di responsabilità sui dirigenti delle scuole, in modo che possano realmente essere motori del cambiamento, adeguatamente sostenuti e svincolati da lacci e vincoli burocratici. Bisogna dare pieno riconoscimento alla figura direzionale a scuola, fornendo una maggiore capacità decisionale e strumenti per un’autonoma organizzazione e per il miglioramento dell’istituzione in cui operano ».

Non occorre aggiungere altro, se non, mi si consenta, che anche associazioni come ANSSAIF devono portare il loro contributo alla formazione dei docenti e quindi dei giovani.

Noi possiamo e dobbiamo trasferire anche la nostra esperienza acquisita in tanti anni lavorativi per cercare di avvicinare gli studenti a quelle competenze, conoscenze ed abilità che questo mondo in trasformazione richiede urgentemente.