Concorrenza

Antitrust: dieci dossier digitali sul tavolo della Ue

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I dossier digitali più caldi sul tavolo del Commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager

Internet e le nuove tecnologie sono al centro di diverse indagini antitrust nella Ue. Un’onda lunga che solleva diversi problemi di carattere regolamentare, che riguardano in molti casi le pratiche commerciali dei big americani del web fra cui Google, Amazon e Apple.

In molti casi, interi ‘ecosistemi’ sono stati sconvolti dall’avvento di Internet, e anche per questo motivo il tavolo di Margrethe Vestager, commissario europeo alla Concorrenza, è pieno di dossier aperti.

Le decisioni che saranno assunte a Bruxelles avranno un impatto forte sul futuro di diversi settori, fra cui lo shopping online, il modo in cui i cittadini europei useranno il loro smartphone e che cosa potranno vedere in televisione. All’orizzonte si profila, sempre più vicino, l’avvento dei Big Data.

Ecco i dieci dossier digitali più caldi sul tavolo dell’Antitrust Ue nell’analisi fatta da Politico.eu.

  1. Le ricerche su Google

 Il caso: se fai una ricerca che riguarda lo shopping sul motore di ricerca, il servizio di Google sarà in cima alla lista dei risultati mentre il tuo servizio arriverà molto sotto. La Commissione Europea, che ha messo sotto indagine l’indicizzazione dei risultati su Google, sta verificando se il motore di ricerca abbia abusato della sua posizione dominante nel mercato delle ricerche, come sostengono siti di shopping come Ciao, Foundem e Twenga.

La società dovrà rispondere, entro il 17 agosto, dell’accusa di presunto abuso di posizione dominante nella ricerca online, dopo aver ricevuto lo scorso 15 aprile la ‘comunicazione di addebiti’ (Statement of Objections).

La posta in gioco: Alta, ma non altissima. Le accuse non vanno al cuore del business model del motore di ricerca, basato sulla combinazione fra algoritmo e pubblicità mirate, un business nel quale Google resta imbattibile. Di certo, se Google dovesse uscire dal caso con una condanna, sarebbe un precedente significativo, che potrebbe danneggiare anche altri servizi di Google.

Prossime tappe: Google sta studiando il dossier della Commissione e sta vagliando la risposta da dare. Intanto la Commissione continua a indagare su altre accuse, legate al modo in cui l’azienda tratta i dati dei suoi inserzionisti e i siti dove piazza le pubblicità, la modalità di aggregazione delle recensioni degli utenti prese da altri siti e come collega servizi come ad esempio Google Maps attraverso il motore di ricerca.

  1. Google II: Il caso Android

Il caso: Android, il sistema operativo mobile (gratuito) di Google, si trova sull’80% degli smartphone che sono in circolazione. Ma secondo i concorrenti l’azienda sta riscrivendo le regole di concessione, costringendo i clienti a promuovere le sue app di ricerca, le sue mappe, il suo app store, Youtube e via dicendo. Una strategia che potenzia di molto l’ecosistema di Google, penalizzando nel contempo le app dei concorrenti, che avrebbero problemi ad emergere, un’accusa che Google rispedisce con forza al mittente.

La posta in gioco: Potenzialmente critica. I consumatori amano il mobile e sono più propensi a concludere transazioni e acquisti online via smartphone piuttosto che da pc. Google è apparentemente ben posizionato nel processo di migrazione verso il mobile, ma questo caso potrebbe distruggere anni di pianificazione.   

Prossime tappe: La Commissione Ue ha aperto un’indagine lo scorso mese di aprile. Per ora non ci sono accuse formali. “Voglio che i consumatori possano godere del numero maggiore di servizi mobili e innovativi nel settore”, ha detto il commissario Vestager, aggiungendo che l’intenzione è quella di esaminare da vicino la presenza di servizi connessi a determinati prodotti di Google con altre app e altri servizi. Google dal canto suo insiste sul fatto che i produttori possono utilizzare Android indipendentemente da Google.

  1. Sky e geoblocking

Il caso: Se sei abbonato Sky non puoi fruire del tuo abbonamento in un Paese euro diverso dal tuo. Si chiama geoblocking e uno dei motivi di questo divieto è che gli studios americani vendono i diritti a prezzi diversi da paese a paese. Una pratica che secondo una recente sentenza potrebbe contrastare con le regole del mercato unico.

La posta in palio: L’indagine del commissario Vestager tocca il cuore del sistema del copyright europeo. In generale, l’obiettivo della Commissione è abbattere in maniera uniforme le barriere e i confini nazionali degli Stati nel mercato online e in quello offline. Una mossa che manderebbe su tutte le furie i creatori di contenuti, secondo cui le licenze territoriali consentono ai film e ad altri contenuti di essere realizzati su misura, in base alle esigenze specifiche legate a lingue e culture differenti.

Prossime tappe: La Commissione deve decidere se sporgere denuncia formale o meno. Il tema del copyright si trova in cima all’agenda della Commissione, in attesa di un’iniziativa legislativa attesa entro l’anno. Gunther Oettinger, commissario all’Economia digitale e Andrus Ansip, commissario Ue al Digitale, hanno preso l’impegno di bloccare ogni pratica ingiustificata di geoblocking, che impedisce agli utenti di accedere ai contenuti oltrefrontiera.

 

  1. Web e fisco

Il caso: Le web company Usa fanno soldi a palate in Europa. La Commissione Ue sta esaminando diversi casi, per verificare se paghino la giusta quantità di tasse. La lente di Bruxelles è fissata anche sui diversi regimi fiscali dei singoli paesi membri. Amazon e Apple, per esempio, hanno per caso sottoscritto in maniera consapevole accordi fiscali scorretti rispettivamente con Lussemburgo e Irlanda?

La posta in gioco: Se fosse accertato che le aziende hanno pagato meno del dovuto, potrebbero arrivare sanzioni multimiliardarie e un verdetto del genere potrebbe essere contagioso. La Commissione potrebbe inoltre voler esaminare gli accordi siglati fra Lussemburgo e altre multinazionali tecnologiche come ad esempio Skype (Microsoft), e Vodafone.

Prossime tappe: Il commissario Vestager avrebbe voluto chiudere le indagini su Apple e Amazon entro fine anno, ma la deadline è già stata superata. Apple dal canto suo ha negato di aver chiuso un accordo speciale con l’Irlanda, mentre Amazon ha detto di non aver ricevuto alcun trattamento speciale rispetto a tutte le altre aziende che hanno sede in Lussemburgo.

 

  1. Apple

Il caso: La Commissione ha cominciato a muoversi incuriosita dall’acquisizione un anno fa di Beats Music e Beats Electroinc, servizio di streaming musicale e produttore di cuffie. Partendo da queste operazioni, la Ue ha voluto approfondire avanzando una serie di questioni relative ai diritti del nuovo servizio musicale di Apple, e in particolare agli accordi con le etichette.

La posta in gioco: Lo streaming musicale è il business del futuro. I ricavi globali sono aumentati del 50% nel 2013, superando il miliardo di dollari. Apple, come del resto i suoi concorrenti Amazon e Google, ha bisogno di aggiungere il servizio streaming nel suo ecosistema di servizi digitali. C’è da dire che Apple nel 2012 era stata accusata di tramare insieme ai grandi editori contro Amazon per alzare i prezzi degli eBook.

Prossime tappe: La Commissione ha aperto questa indagine soltanto da pochi mesi e potrebbe prenderla male se dovesse per caso verificare che Apple non ha imparato la lezione dal caso precedente degli eBook.

 

  1. eBook secondo round

Il caso: Quando Hachette aveva deciso di controllare il prezzo dei suoi eBook venduti su Amazon, la web company di Jeff Bezos di fatto estromise i libri dell’editore francese dal suo scaffale virtuale. Le vendite di Hachette calarono del 18% e alla fine le due parti trovarono un accordo. Ma da allora la Commissione ha cominciato a monitorare se la forza di Amazon nel business degli eBook le consente di tiranneggiare gli editori a scapito dei consumatori.

La posta in gioco: Di fatto, in gioco c’è il futuro dell’editoria. Il peso di Amazon come venditore di libri e il modo in cui ha creato e gestisce il business degli eBook quasi in solitudine sono fonte di grossa preoccupazione per gli editori, che farebbero di tutto per inserirsi in questa condizione di quasi monopolio o almeno per guadagnare un minimo di influenza nel business.

Prossime mosse: Dopo quasi un anno, la Commissione deve ancora aprire un’inchiesta formale, un’eventualità che si allontana sempre più dopo che Amazon ha trovato un accordo con Bonnier, l’editore svedese che aveva depositato una denuncia formale nei confronti dell’azienda Usa.

  1. Offerte in hotel

Il caso: Il sito di prenotazioni alberghiere Booking.com usava vantarsi del fatto di offrire i prezzi più bassi. Ma ciò era possibile perché chiedeva agli alberghi di firmare una clausola che impediva loro di offrire prezzi inferiori a quelli offerti su Booking.com sul loro sito o su quello dei concorrenti.

La posta in gioco: Alta.  Il sito ha di certo avvantaggiato i consumatori, ma non può più garantire questi prezzi. Le cosiddette clausole di parità di prezzo sono diffuse in Rete, e ciò significa che molte aziende potrebbero essere costrette a rivedere la loro offerta online.

Prossime mosse: La casa madre di Booking.com ha chiuso il caso aperto con le autorità Antitrust francese, italiane e svedese offrendo di limitare la portata della clausola. Ma l’Authority tedesca, il Kartellamt, non ci sta e semplicemente vuole che il sito sospenda del tutto la clausola e ha presentato denuncia. Per questo Booking.com e altri siti internet devono barcamenarsi a seconda dei diversi approcci adottati dalle autorità dei diversi paesi Ue.

 

  1. Acquisti online

Il caso: Tutti i brand controllano con molta attenzione le modalità di vendita dei loro prodotti online e offline. Gli approfondimenti in corso potrebbero semplificare la vendita di merci su siti come Amazon e eBay, una vittoria per i player americani che devono fare i conti con diversi marchi che chiedono apertamente ai rivenditori di non usare i sti di eCommerce per vendere. Un esempio per tutti, Adidas e Asics che hanno chiesto ai loro retailer di non usare eBay.

Prossime mosse: L’Autorità tedesca per la Concorrenza è particolarmente attiva sul fronte eCommerce, tanto da aver già imposto alla Adidas di modificare i termini e le condizioni dei contratti di distribuzione con i rivenditori e tanto da aver messo sotto osservazione la Asics. Quindi, se da un lato le autorità tedesche hanno diversi altri casi da esaminare, anche la Commissione Ue, annunciata a maggio, esaminerà la questione.

C’è da dire che la Adidas ha accettato di buon grado le prescrizioni dell’Antitrust tedesca, modificano le sue policy sulla vendita online visti i recenti miglioramenti nella qualità delle offerte online. Anche Asics ha adottato una nuova policy all’inizio del 2015.

  1. Brevetti

Il caso: La guerra dei brevetti nel settore mobile ha messo i produttori l’uno contro l’altro. Pomo della discordia sono gli standard adottati dalla industry, ad esempio l’MPEG e il 4G, usati appunto come standard de facto negli smartphone. Di qui tutta una serie di dispute sui contratti di licenza, con i detentori dei brevetti che spesso praticano contratti di licenza svantaggiosi per i concorrenti.

Prossime mosse: Nel 2014 la Commissione Ue ha chiuso una lunga faida in materia di brevetti e proprietà intellettuale che vedeva contrapposte Samsung, Apple e Motorola e molti altri produttori. Al momento resta aperta una grossa disputa che vede contrapposti Huawei e ZTE.

 10. Qualcomm

 

Il caso: La Commissione Ue sospetta che Qualcomm, il maggior produttore mondiale di chip per smartphone, metta in pratica politiche di dumping per danneggiare la concorrenza. I fari dell’ autorità si sono già posati quest’anno su Qualcomm in Cina, dove l’azienda ha dovuto pagare una multa di 975 milioni di dollari. L’azienda è sotto la lente anche negli Usa.