Big Data

Agcom lancia l’allarme Big Data ‘Sono un bene pubblico, serve una legge per renderli trasparenti’

di |

Appello del presidente Cardani al Legislatore: ‘Dobbiamo chiederci se e in che misura si tratta di accompagnare la regolazione che verrà verso forme tecniche di disciplina delle grandi piattaforme digitali e verso un approccio ex ante alla regolamentazione del dato’.

L’enorme massa di dati che circola in Rete è portatore di troppi rischi e per evitare il rischio-monopolio dei big della Rete come Facebook, Google e Amazon, l’Agcom chiede una legge che renda pubbliche le informazioni più rilevanti tra quelle raccolte dai grandi operatori del digitale. La richiesta è contenuta nero su bianco nella relazione annuale sull’attività dell’autorità presentata oggi alla Camera dal presidente Angelo Marcello Cardani (Relazione annuale 2017). I Big Data, secondo l’Autorità, pongono un problema per quanto attiene “il loro uso secondario – si legge nella relazione annuale – Il tema della trasparenza e della neutralità dell’algoritmo. Il tema del governo eterodiretto delle opionion pubbliche mondiali attraverso Big Data e data learning” sono al centro dell’indagine conoscitiva congiunta fra Agcom, Antitrust e Garante Privacy.

L’invito alla politica è di riflettere sulla possibilità di liberare dal controllo dei monopolisti una parte di questo materiale informativo.

“I paradigmi classici non bastano più a leggere e a sistematizzare lo scenario che abbiamo davanti – si legge nella relazione annuale dell’Autorità – Google, Apple, Facebook e Amazon si impongono come monopolisti, anche quando la loro posizione non corrisponde perfettamente al modello consueto di chi controlla un mercato. La stessa definizione classica di mercato rilevante è ormai sottoposta a una rigorosa lettura critica da parte di autorevoli studiosi”.

E ancora, la questione chiama in causa il Legislatore, secondo Cardani “La terza direttrice chiama in causa il legislatore attorno ad un dilemma strategico: se l’immensa galassia Big Data debba restare tutta proprietaria, in nome del diritto dell’impresa e del segreto industriale; ovvero se esista una porzione più o meno rilevante di questi dati che possano essere resi trasparenti e liberamente accessibili sul presupposto della loro natura di bene pubblico”, si legge nel testo di Cardani.

“Dobbiamo chiederci se e in che misura si tratta di accompagnare la regolazione che verrà verso forme tecniche di disciplina delle grandi piattaforme digitali e verso un approccio ex ante alla regolamentazione del dato“, ha continuato il presidente uscente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

I Big Data comportano un “salto di paradigma interpretativo della nostra realtà, a tutti i livelli. I dati e le ricerche sul campo ci dicono quali sono i rischi: un ecosistema governato da poche grandi multinazionali caratterizzate da un elevato grado di integrazione in tutte le fasi; elevate barriere all’entrata; tendenza al monopolio”, avverte Cardani.

Per fare un esempio, il presidente di Agcom dice che sono “solo sei le App installate da più di 1 miliardo di utenti nel mondo e tre imprese detengono otto delle dieci app più scaricate (Facebook, Google e Facebook)”.

Questo potere di mercato, conclude Cardani, crea “crescenti e strutturali asimmetrie informative tra utenti ed operatori; concreti rischi di alterazione dell’ecosistema informativo planetario; allarmanti fenomeni di polarizzazione delle opinioni; crescente esposizione alle derive dell’odio (politico, razziale, religioso) e dell’abuso (stalking, cyberbullismo, omofobia)”.

Tanto più che “sono gli algoritmi che permettono di utilizzare i dati per assumere decisioni in tempo reale e compiere velocemente processi che solo pochi anni fa richiedevano tempi molto lunghi – si legge nel documento – A fronte di questi travolgenti cambiamenti” prosegue la relazione “occorrerà elaborare una vera e propria strategia italiana sull’intelligenza artificiale, anche per affrontare le complesse problematiche ad essa connesse” che riguardano il problema di gestione dei dati prodotti dai dispositivi IoT, che richiedono “professionalità e strumenti ancora non disponibili in forma sufficiente” (le nostre municipalità non sono attrezzate in termini di mezzi e know how) al più ampio problema globale che riguarda la sicurezza. “Come evitare la violazione dei sistemi? Come impedire che la circolazione di veicoli senza pilota diventi uno strumento di offesa? Rendere sicure le reti 5G è una grande sfida perché più diventiamo sofisticati, più siamo vulnerabili”, ammonisce l’Autorità.