Tv e consolidamento: per fortuna che Rupert c’è

di a cura di Michele Mezza (Autore crossmediale) |

Il piano di Rupert Murdoch è semplice: consolidare i tasselli dell’impero Sky, creando un unico player continentale della pay Tv che unisca gli abbonati di Regno Unito, Germania e Italia per prepararsi alla sfida con gli Over The Top.

Unione Europea


Michele Mezza

Per fortuna che Rupert c’è, viene da dire riecheggiando un vecchio e ormai antiquato slogan che oggi è in voga solo a Cesano Boscone, in una clinica per anziani.

 

Dobbiamo, infatti, ringraziare, ancora una volta, Rupert Murdoch, perché spesso esemplifica, con le sue mosse, le tendenze del sistema mediatico, dando corpo e sostanza a quelle prospettive che  vengono invece generalmente  rimosse o schiacciate nel mondo delle elucubrazioni metafisiche.

 

E’ il caso del disegno di costituire un’unica piattaforma europea di pay tv, creando un monopolio europeo, destinato a condizionare l’intero sistema comunicativo, e dunque politico-culturale dell’ Unione.

 

Il piano è abbastanza semplice. Si tratta di unificare i tasselli dell’impero Sky, creando un unico soggetto che direttamente può unire i sistemi di 25 milioni di abbonati TV, il nocciolo più consistente della parte più ricca e pregiata del pianeta. Una strategia che muoverebbe valore per circa 10 miliardi di euro, scardinando l’intero mercato mediatico europeo, con una massa critica che sconvolgerebbe ogni equilibrio. La nuova piattaforma europea privata potrebbe infatti dettare legge sul mercato, costringendo i venditori di content e diritti a doversi adattare a chi garantisce l’accesso alle case più desiderate degli sponsor e degli inserzionisti. Calcio e cinema diventerebbero delle dependance dei Murdoch.

 

In grande, Sky farebbe quanto Berlusconi ha fatto negli anni ’80 e 90 in Italia, controllando la pubblicità televisiva del sistema nazionale. Con le stesse conseguenze politico istituzionali.

 

Siamo infatti in una congiuntura che vede cadere i valori di tutti gli assetti principali del mercato televisivo: frequenze, contenuti, e contatti sono in ridimensionamento sia quantitativo, con una riduzione secca degli ascolti e dell’audience, sia qualitativo, con una  dispersione dell’attenzione su nuove e diversi media, prevalentemente connessi alla rete.

 

Inoltre il quadro europeo vede l’intero sistema della stampa in  discesa, con testate storiche in crisi sia di mercato che di identità: pensiamo a quanto sta accadendo a le Monde o al Pais, o allo stesso Corriere della Sera.

 

Infine, lo scenario si completa con gli annunci degli Over The Top, come Google, Amazon e Netflix dell’imminente lancio europeo delle rispettive piattaforme di web TV.

 

Siamo dunque ad un punto di svolta, dove si intrecciano eventi globali – come la convergenza nella connect Tv dei due mondi fino ad ora separati, i servizi online e i contenuti audiovisivi – e fenomeni  sociali e antropologici, che vedono una graduale sostituzione di tutto quello che prima era di massa, come ad esempio la Tv generalista, con attività individuali on demand, come appunti i menù pay.

 

Sta cambiando il mondo più che il palinsesto, verrebbe da dire. E forse, pensando a quanto sta accadendo in Italia attorno alla Rai, sarebbe ora che la politica si impossessasse di questo tema, uscendo dal complesso di colpa della lottizzazione e nobilitando il suo protagonismo con una strategia da sistema paese, così come nel più generale campo della ripresa economica.

 

Murdoch ci aiuta a capire le dinamiche e le conseguenze in corso.

 

Con la sua mossa, che in sostanza consiste nell’ottimizzare quanto è già suo, accelera le tendenze e acuisce i conflitti, finalmente. Per questo  dobbiamo  ringraziare il vecchio squalo.

 

Il primo elemento che la mossa di Murdoch ci rende ineludibile è l’emarginazione della TV nazione. Con la sua mossa infatti l’intero mercato audiovisivo verrebbe stravolto da un potere di negoziazione esclusivo del nuovo monopolista che renderebbe del tutto marginali ogni  emittente che si esaurisca in un solo paese, in un solo territorio, in una sola lingua. Appunto la TV nazione.

 

La conseguenza sarebbe una trasformazione radicale del sistema materiale dei poteri e delle garanzie. Non c’è da scomodare la pace di Westfalia, per ricordare il legame fra la struttura dello stato nazionale e la relazione con il sistema mediatico: l’avvento della stampa e dei giornali, con la creazione di un’opinione pubblica nazionale diede base sociale allo stato occidentale. Una modificazione drastica del legame fra meccanismo politico istituzionale dello stato e la natura e il comando del sistema mediatico influirebbe in profondità nella trasformazione del sistema democratico rappresentativo.

 

La marginalizzazione della TV nazione non solo vedrebbe una comunità nazionale indebolita nello scambio linguistico e comunicativo con il resto del mondo, ma impoverirebbe anche il sistema economico e commerciale di un paese. Quanto sta accadendo al sistema aeroportuale italiano con la presa di possesso dell’Alitalia da parte di un gruppo estero come Etihad è indicativo. Si limitano le potenzialità di impianti come Malpensa di Milano per una strategia globale dei nuovi padroni. Lo stesso potrebbe accadere per quanto riguarda il modo di parlare al mondo del made in Italy.

 

Infine, si altererebbe la possibilità di intervenire in quella sorta di welfare multimediale che è rappresentato dall’equilibrio fra l’offerta a pagamento e quella gratuita in uno stato. Tutti e tre questi elementi- autonomia e sovranità di uno stato; potenza di interloquire con il mondo; garanzia di offerte accessibili e gratuite – sono esattamente gli elementi che dovrebbero presiedere alla nuova convenzione del servizio pubblico fra Stato e Rai.

 

Una convenzione che,  scritta in un clima non di accademica discussione politologica, ma sotto l’incalzare di un pericolo quale quello descritto, potrebbe risultare finalmente meno provinciale, gretta e limitata di come al momento appare.

 

Infine la questione degli Over the Top. Qui la partita diventa politica concentrata. Si tratta infatti di capire se e come accompagnare la transizione dal sistema di trasmissione verticale  tipico del modello televisivo chiuso, il broadcasting, ad un sistema di scambio aperto e orizzontale, quale è quello insito nella rete. In tal caso i soggetti nazionali di un paese che vuole interferire in questo passaggio epocale dovrebbero, è il caso della Rai, immergersi nella rete e  guidare il cambiamento assicurando che la trasformazione sia radicale e non apparente, come il monopolio di Google o il nuovo monopolio Google/Sky potrebbe imporre.

 

Penso ad una trasformazione del sistema di produzione e di diffusione basato su un decentramento reale, in almeno alcuni canali del bouquet pubblico, sia della funzione produttiva, con formule collaborative da social network, sia di quella distributiva, con una trasferimento in protocollo IP delle rendite di posizione degli asset di frequenze attualmente congelate nei forzieri della Rai, che sposterebbe spettacolarmente l’equilibrio e la potenza di un modello italiano della transizione al digitale. Tutto questo grazie al vecchio Rupert.

Grazie squalo.