Rai, la spending review? Parta dalle frequenze Tv

di di Michele Mezza (Autore crossmediale) |

Non sarebbe meglio spingere la Rai a razionalizzare le due dotazioni oggi assolutamente eccessive, con una tassa di utilizzo dello spettro elettromagnetico?

Italia


Michele Mezza

Metropolitane e tram affollati la mattina del 19 aprile a Roma. Nugoli di sottosegretari e di direttori generali si accalcavano sui vagoni, con tanto di ombrello e di giornale (uno perché altrimenti scatta il contingentamento) sotto al braccio. Il PIL nazionale avrà sicuramente registrato un’impennata e al Fondo Monetario si chiederanno perché non ci hanno pensato prima  a far andare a piedi i membri del governo dei paesi del terzo mondo per recuperare il divide economico.

 

Risolto il problema annoso delle auto blu, si passi al resto. E qui cominciano i guai.

 

Dico subito che trovo la performance di Renzi di giovedì scorso elettoralmente perfetta: cazzotto a grillo e buffetto finale a Berlusconi. Il ragazzo farà bingo alle elezioni.

 

Ma il paese? Quello è un altro discorso.

 

Sicuramente l’Italia ne esce più rimpicciolita dalla tornata di tagli. Enti locali, multiutility, centri di spesa, infrastrutture. Tutto pesa meno. Nel bene e nel male.

 

Vediamo il caso Rai. Premetto sono un dipendente aziendale e il conflitto d’interesse potrebbe farmi velo nel mio ragionamento. Forse qualcuno che ha perso tempo a leggere le mie cose in rete e qualche mio libretto potrebbe ricordare che non sono mai stato tenero con il cosiddetto partito-azienda.

Inoltre sono in causa con la Rai perché da 6 anni non mi fa neanche sfogliare i giornali. Immaginate che indulgenza posso avere con l’apparato dirigente.

 

Provo a fare un ragionamento libero da condizionamenti corporativi.

L’idea di imporre all’unico sistema multimediale pubblico del paese un balzello pari a circa il 10% del suo fatturato lo trovo pericoloso e dannoso, prima ancora che illegittimo.

Tanto più se accompagnato dal pressapochistico invito ad arrangiarsi per provvedere: vendete RaiWay o le sedi o le annunciatrici, o il cavallo, fate voi, l’importante e che ce li diate.

 

Intanto perché la Rai si e, ad esempio, le poste o la Cassa depositi e prestiti No? Perché lo chiede la folla, tipo Cristi o Barabba, per essere in tema pasquale? Perché elettoralmente rende di più? Perché Berlusconi non si dispiace tanto? Perché?

 

Ma poi, ha senso gridare a una S.p.A , benché a completo controllo statale, o la borsa o la vita?

 

Siamo in un tornante particolare, dove il sistema comunicativo di un paese conta più del suo apparato militare. E’ con i linguaggi che si fa la guerra oggi. La Rai è l’unica scorciatoia per dare al nostro paese, che vive di scambio di segni e di sogni, un sistema competitivo sul mercato globale della comunicazione. Per questo l’azienda deve cambiare radicalmente. Deve diventare una vera media company, con meno cantieri e più geometri. Deve essere un’azienda non più ridondante, non più guidata dall’eccentricità di una tripartizione che non risponde nemmeno più al sistema dei partiti che l’aveva fondata, ma solo alla bulimia esponenziale delle attribuzioni internet.

Soprattutto deve essere un’azienda che si immerga realmente nella rete, che trasformi il suo primato televisivo Top down, da uno a tanti, in una nuova pratica bottom up, da tanti a tanti. Il servizio pubblico è l’ambiente per antonomasia per applicare le regole condivise e collaborative del social networking: redazioni in open data, filiere corte fra produttori e utenti, linguaggi altamente personalizzabili, attenzione alle comunity e ai territori. E soprattutto una straordinaria potenza tecnologica, intesa non nel senso di competenze ingegneristiche ma di saperi linguistici: bisogna tradurre in italiani gli algoritmi non importarli passivamente. La Rai deve essere un presidio per l’autonomia e la sovranità della nazione sul proprio sistema semantico, didattico, comunicativo. Al momento stiamo appaltando a Google o a Facebook il modo in cui comunicano o pensano i nostri ragazzi e noi stessi. Questo è il punto nevralgico della guerra multimediale: chi produce senso no invece chi produce audience. Ma per tutto questo il governo che pensa? Togliamo il 10% a un’azienda sotto capitalizzata  e poi vediamo. Follia, forse peggio, malizia

 

Non sarebbe stato meglio, piuttosto, introdurre sistemi penalizzanti per chi accumula indebitamente frequenze? Spingendo Rai a razionalizzare le due dotazioni oggi assolutamente eccessive, con una tassa di utilizzo dello spettro elettromagnetico?

 

Non sarebbe stato meglio introdurre il concetto di una razionalizzazione nel trasporto del segnale spingendo Rai a vendere parte di RaiWay, come si decise nel 2001 con l’operazione Crawn Castlle che doveva portare a Rai 800 milioni per il 49% delle torri e che Berlusconi, accortamente, fece abortire a suo vantaggio? Questo sarebbe una manovra dimagrante razionale che rilancia competitivamente il servizio pubblico. Invece si è gridato o la borsa o la vita, e si è detto, se volete vendete le sedi o RaiWay, fate voi.

 

Ho troppa stima del governo Renzi per attribuire questa approssimazione a semplice insipienza o faciloneria. C’è del metodo nella follia. Stiamo sguarnendo un settore vitale del paese. A vantaggio di chi? Pensiamo chi potrà incassare la privatizzazione di un sistema vitale. Intanto chi vuole ridurre la quota di gratuità dell’offerta incrementando quella pay. Una Rai più debole significa indebolire l’intero offerta free. Pensiamo proprio a quei 15 milioni di italiani che avranno un sollievo con gli 80 euro. A mala pena potrebbero pagarsi un abbonamento a Sky. E con l’arrivo di Google TV e di Amazon peggio. Allora per chi stiamo lavorando uccidendo il cavallo?