Fiction, Bruno Zambardino (IEM): ‘Investimenti ancora deboli, ma primi segnali di ripresa’

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Resta, però, il nodo di un sistema normativo ancora poco trasparente che non garantisce un pieno sviluppo del mercato.

Italia


Bruno Zambardino

Riportiamo di seguito l’intervento di Bruno Zambardino, Coordinatore operativo dell’Istituto di Economia dei Media (IEM) della Fondazione Rosselli e direttore didattico di As.For.Cinema., al Roma Fiction Fest 2013 (28 sett.-3 ott.). L’intervento contiene le anticipazioni del V Rapporto sulla fiction commissionato da APT e Regione Lazio e che Fondazione Rosselli presenterà a fine anno.

 

 

“L’audiovisivo è un settore di interesse nazionale?” questo il titolo provocatorio che ho voluto dare all’intervento fatto ieri nell’ambito del Fiction Fest di Roma e che contiene alcune anticipazioni del rapporto annuale sulla fiction realizzato dall’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli.

Ciò che emerge dalle tendenze in atto e dai dati raccolti quest’anno è un quadro in chiaroscuro che ci fa propendere per una risposta negativa al quesito contenuto nel titolo dell’intervento.

Sebbene il nostro Paese vanti un primato assoluto in termini di consumi di contenuti audiovisivi (la fruizione giornaliera tv è pari a 4 ore e 13 minuti, rispetto ad una media europea di 3 ore e 55 minuti), l’industria della fiction italiana, infatti, è destinata a registrare nei prossimi anni tassi di crescita contenuti a meno che non intervengano scelte strategiche da parte degli attori in campo (reti televisive, produttori, decisori pubblici, autorità di regolamentazione) tali da collocare il settore al centro di una politica di rilancio dell’intera industria creativa, di cui la fiction rappresenta senz’altro un pilastro fondamentale.

 

Quali sono i principali fattori critici che ostacolano lo sviluppo del settore? 

La contrazione delle risorse del mercato televisivo (gli investimenti pubblicitari sono calati del 18% tra il 2011 e il 2012 e per la prima volta anche gli abbonamenti da pay tv presentano un segno negativo) sta determinando una rimodulazione delle politiche editoriali delle reti televisive guidate dalla necessità di un forte contenimento dei costi. Lo testimoniano i deboli investimenti in fiction da parte di Rai e Mediaset attestati a meno di 300 milioni di euro nel 2013 (erano circa 500 nel 2008, anno pre-crisi). Sottodimensionato risulta l’impegno di Sky nonostante la ripresa dello sforzo produttivo con titoli molto attesi come ‘1992’ e ‘Gomorra’. Inevitabile anche l’impatto sui volumi produttivi scesi sotto le 500 ore nell’ultima stagione e il ricorso sempre più massiccio alle repliche anche sulle reti generaliste. Non si investe in particolare in contenuti originali sui canali tematici digitali sui quali al contrario si stanno progressivamente spostando fette crescenti di pubblico soprattutto giovane (tra gennaio e luglio 2013 la quota  di share media mensile per i canali digitali è salita al 36,8% mentre quella delle reti ex analogiche è scesa al 63,20 (era al 90% nel 2008).

 

Prosegue il processo di addensamento di film tv e miniserie sulle prime serate delle reti ammiraglie le quali riescono in questo modo a massimizzare gli ascolti sempre sopra la media di rete (Rai Uno vanta ben 67 prodotti di fiction nella top 100 Rai) e al contempo a ridurre i costi orari (da 750K a 600 k per una serie Rai). A rendere statico ed ingessato il mercato contribuisce anche lo squilibrio cronico della bilancia commerciale con una forbice sempre più ampia tra volumi crescenti di importazioni e ricavi decrescenti da export (scesi nel 2011/2012 sotto i 100 milioni), un intervento pubblico non organico, spesso affidato alla buona volontà delle regioni alcune delle quali  particolarmente dinamiche nell’attivare fondi regionali e fornire assistenza tramite le Film Commission (Puglia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lazio).

 

Accanto alle criticità appena evidenziate due sono i segnali positivi evidenziati nello studio: il fenomeno della delocalizzazione all’estero è tornato ad attestarsi su livelli fisiologici anche grazie all’impegno assunto dalla Rai nei confronti delle Associazioni sindacali e produttive: nei primi 9 mesi del 2013 il numero delle settimane lavorate all’estero è sceso a 21, pesando ormai solo per il 2% sul totale (sale  al 56% la quota delle settimane lavorate a Roma e nel Lazio mente il restante 42% si distribuisce nelle altre regioni); il Senato ha appena approvato un provvedimento (si è in attesa del voto definitivo, crisi permettendo) che estende, in modo permanente il tax credit anche alla produzione audiovisiva con un budget di 20 milioni all’anno (che si vanno così ad aggiungere ai 90 del cinema) , allineando il nostro Paese ad altri mercati europei come quello francese e inglese dove la leva fiscale sta generando importanti ricadute sugli investimenti e l’occupazione.

 

Resta il nodo di un sistema normativo ancora poco trasparente che non garantisce un pieno sviluppo del mercato a causa dello squilibrio negoziale tra produttori e reti televisive in materia di diritti secondari.

 

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