Telecom-Telefonica, le reazioni della politica. Bernabè: ‘Non diventiamo spagnoli, il riassetto riguarda Telco’

di Alessandra Talarico |

Il Pd chiama il Governo a riferire in Senato. Per il Pdl, la vicenda è segnale preoccupante per il capitalismo e il Paese. Domani Franco Bernabè in audizione alla Commissione lavori pubblici del Senato.

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Franco Bernabè

Nonostante le rassicurazioni del presidente Franco Bernabè sul fatto che Telecom Italia non diventerà spagnola perchè “è solo Telco che ha avuto un riassetto azionario” e l’impegno di Telefonica a non aumentare la sua partecipazione in Telecom e a “contribuire allo sviluppo di Telecom Italia sul suo mercato domestico, attraverso sinergie e condivisioni di best practices“, la politica italiana è in tumulto per l’accordo, concluso nella notte, che porterà il gruppo di Cesar Alierta a possedere il 100% di Telco, la holding che controlla il 22,4% dell’operatore storico italiano.

In una nota, il gruppo iberico sottolinea che “la rinnovata stabilità azionaria nella società italiana consentirà di esplorare le migliori opzioni strategiche per ritrovare la sua flessibilità finanziaria”, sottolineando che “Telefonica continuerà ad astenersi dal partecipare o dall’influenzare quelle decisioni che riguardano i mercati in cui sono presenti entrambe le società”.

E anche il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, facendo riferimento alle ricostruzioni di stampa, ha sottolineato che c’è ancora molta confusione. “Telco, che possiede un 22,4% di Telecom Italia, era già a maggioranza Telefonica, che passerà dal 46 al 66%. Mi pare che sia dura sostenere che Telecom diventi spagnola”, ha detto il ministro.

 

In attesa di sapere cosa dirà domani Bernabè nell’audizione alla Commissione lavori pubblici del Senato in merito alle prospettive del gruppo, una sola cosa è certa: un altro pezzo importantissimo dell’industria telefonica italiana parlerà sempre più straniero. Gli altri operatori attivi nel nostro paese sono infatti tutti controllati da gruppi esteri: Vodafone è britannica, Wind russa (dopo un breve periodo egiziano), Tre è in mano cinese e Fastweb svizzera.

Certo, Telefonica era già presente in Telco, ma la scalata degli spagnoli – che dal prossimo 1° gennaio potranno salire al 100% di Telco e acquisire i diritti di voto su tutto il capitale della holding – inquieta ancor più anche perchè la cronaca di questi giorni la affianca a un’altra vicenda, quella di Alitalia, che testimonia il declino dell’italianità in più di un settore strategico.

Il tutto avviene, inoltre, a prezzi di realizzo: complessivamente, infatti, gli spagnoli mettono sul piatto circa 841 milioni di euro per arrivare al 70% del capitale di Telco.

 

La prima voce ad alzarsi è quella del presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda, che chiede al Governo di riferire in Senato “a riferire sul grave declino del sistema industriale italiano che coinvolge due imprese strategiche per i nostri servizi pubblici”.

Non c’è, infatti, solo Telecom Italia, ma anche Alitalia a testimoniare, dice Zanda, “in modo impietoso l’esito di una lunga catena di errori in gran parte dovuti all’assenza ventennale di una politica industriale e, conseguentemente, alla prevalenza degli interessi privati sugli interessi pubblici”.

Il caso Telecom è, sotto il profilo dell’interesse nazionale, ancora più serio di quello Alitalia, aggiunge, perchè “…l’Italia sta perdendo il controllo di una grande società che, prima di essere privatizzata era all’avanguardia tecnologica, non aveva debiti ed era in grado di crescere in Italia e nel mondo”.

Un’azienda strategica, di cui Telefonica “sta assumendo il controllo di Telecom con poche centinaia di milioni”.

Anche il capogruppo Pdl alla Camera, Renato Brunetta, chiede al presidente del Consiglio, Enrico Letta – attualmente in Nord America – di riferire alla Camera dei deputati per “illustrare la valutazione e le considerazioni del governo su un’operazione che rientra nelle logiche di mercato, e come tale non è stata preannunciata, ma coinvolge da molto vicino tutti gli sforzi e gli investimenti che le imprese e le pubbliche amministrazioni stanno mettendo in campo per affrontare la sfida dell’economia digitale”.

 

Per il capogruppo Pdl al Senato, Renato Schifani, “la cessione di Telecom Italia agli spagnoli è un segnale preoccupante per il capitalismo italiano e per il nostro Paese… un vero disastro per il sistema industriale italiano”, mentre per il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri “a questo punto diventa ancora più urgente definire il tema della rete…necessario proprio per la rilevanza strategica dell’infrastruttura”.

 

Su Twitter, il deputato Pd ed ex ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni rilancia sulla golden share: “#Telecom Grave il ritardo del decreto attuativo del golden power del Governo su rete tlc. La legge lo prevede, va fatto SUBITO!”, scrive, mostrando unità d’intenti con una parte del mondo sindacale (Leggi articolo Key4biz).

 

Più neutra la posizione di Confindustria: per il direttore generale Marcella Panucciquello che rileva non è la nazionalità del capitale né le bandiere, quello che rileva è che siano promosse le condizioni di concorrenza che peraltro ci sono un mercato come quello delle telecomunicazioni. E soprattutto, che sia consentito di sfruttare al massimo le potenzialità delle reti di nuova generazione, quindi staremo a vedere quale sarà il piano che presenterà Telefonica”.

 

Netta la posizione dei piccoli azionisti Telecom riuniti nell’associazione Asati: “Se il 3 ottobre al cda non sarà proposto un aumento di capitale di almeno 3 mld di euro, il declassamento annunciato dalle agenzie di rating sarà impietoso, con indubbi riflessi negativi sull’andamento del titolo. Infatti, la manovra su Telco è, come nel passato, una manovra che avviene sulla scatola alta di controllo, e non altera assolutamente i parametri economico-finanziari della Società”, spiega il presidente Franco Lombardi.

 

Gli analisti si soffermano invece sul futuro delle attività sudamericane: per ICBPI Equity Research, “…al rafforzamento di Telefonica dovrà necessariamente seguire una decisione importante sul futuro di Tim Brasil, per la quale appare difficile un’operazione che massimizzi il ritorno di Telecom Italia“, mentre secondo Equita “la cessione di Tim Brazil rischia di diventare una mossa ‘imposta’ dall’autorità brasiliana e quindi non ottimale in termini di valore teorico conseguibile da Telecom”.

“Resta pertanto sul tavolo del management il dilemma se accettare un downgrade del debito o considerare un aumento di capitale”, aggiungono gli analisti della sim milanese.

Secondo Bernstein, invece, l’accordo costringerà il gruppo italiano “a fare la cosa giusta per i propri azionisti e vendere con un’asta Tim Brasil piuttosto che perseguire un aumento di capitale”.