L’istruzione del futuro: compagni di scuola, compagni di tablet

di di Diana Fabrizi - #DLeaders |

Ma dal punto di vista sociale, è giusto abituare un bambino a ‘dipendere’ così tanto dal web fin dalle prime ore del giorno mentre è a scuola?

Italia


Diana Fabrizi

“Le otto e mezza tutti in piedi, il presidente, la croce e il professore che ti legge sempre la stessa storia sullo stesso libro, nello stesso modo, con le stesse parole da quarant’anni di onesta professione“…così cantava Antonello Venditti, e queste parole appaiono oggi così distanti e anacronistiche rispetto alla scuola 2.0 (o addirittura 3.0) che si sta pian piano delineando nel nostro Paese.

 

L’Italia in realtà è ancora arretrata sul digitale in generale e, conseguentemente, anche sull’informatizzazione della scuola: basti pensare che solo il 54% delle aule ha connessione internet mentre in Gran Bretagna l’80%. Nonostante ciò, passi in avanti si stanno facendo. Il passaggio da “compagni di scuola” a veri e propri “compagni di tablet” è ad esempio agevolato dalle percentuali crescenti di nativi digitali nel nostro Paese: il 79% di famiglie con figli minori ha ormai accesso a internet, il 52% di bambini utilizza il pc per la prima volta intorno ai 3 anni e il 32% circa di bambini di 6 lo usa in media tutti i giorni!

 

Non è tuttavia facile ancor oggi discostarsi dalla concezione “tradizionale” di scuola che ci ha accompagnati nel nostro percorso formativo: aule delimitate da quattro pareti, lavagna, cattedra, file di banchi, libri e quaderni, computer fissi presenti solo (e nemmeno in tutti gli edifici scolastici!) nei laboratori informatici. Il passaggio ad una scuola 2.0 (o addirittura 3.0, dove persino le strutture architettoniche sono concepite e adattate in funzione del mondo digitale) è graduale, ma il MIUR – dopo l’avvio negli ultimi anni del Piano Nazionale Scuola Digitale – ha già delineato ulteriori linee guida per portare avanti il progetto di una scuola sempre più tecnologica e al passo coi tempi: da quel momento scompariranno aule delimitate da quattro pareti, lavagna, cattedra, file di banchi, libri e quaderni, computer fissi presenti solo nei laboratori informatici e, al loro posto, al suono della campanella gli alunni troveranno aule con pareti  mobili, lavagna interattiva multimediale (LIM), tavoli circolari e scomponibili, tablet e computer con Wi-Fi. Da un lato può anche esser visto come un sogno utopico, considerando che i computer attualmente in uso sono in media 1 su 15 alle elementari, 1 su 11 alle medie, 1 su 8 alle superiori. Ma il disegno di una didattica innovativa e trasversale a varie discipline è interessante e concretamente realizzabile (certo, si dovrebbe aprire un discorso oggettivo sui fondi destinati all’istruzione o sulle strutture fatiscenti di molti edifici scolastici). Per gli amanti della tecnologia – o semplicemente per coloro che si rendono conto di quanto il mondo intorno a noi stia evolvendo -, c’è da dire che gli studenti, le famiglie, i docenti e tutto il personale della scuola parteciperebbero in vario modo al processo d’innovazione didattica e di trasformazione degli ambienti di apprendimento attraverso l’utilizzo delle tecnologie informatiche. Senza alcun dubbio gli obiettivi di una scuola 2.0 riguardano un cambiamento radicale nel modo di insegnare e di apprendere, favorendo l’utilizzo diffuso di tecnologie informatiche e telecomunicazioni (LIM, tablet, Internet, e-learning) e contribuendo anche a ridurre alcune spese (le lezioni online e gli ebook consentono un notevole risparmio per le famiglie che, ogni anno, si trovano a fronteggiare il fenomeno del caro libri).

 

Le scuole cosiddette “2.0” finora sono 14 (le aule sono 416) e tra esse spiccano l’istituto Alessandrini Marino-Forti di Teramo e l’istituto tecnico industriale Majorana di Brindisi, dove preside professori studenti e genitori sono entusiasti della rivoluzione digitale in atto e del fatto che “non esiste più il tempo scuola o il tempo casa: con il tablet gli alunni sono sempre collegati e i contenuti delle lezioni che loro producono sono sempre fruibili”. Potrà apparire un paradosso ma, per quanto io sia assolutamente propensa all’innovazione in ogni campo e convinta che l’alto digital divide in Italia si possa colmare anche favorendo iniziative o percorsi formativi supportati dalla tecnologia, allo stesso tempo questo approccio mi preoccupa un po’ dal punto di vista sociale e culturale: siamo sicuri che sia un bene che “non esista più il tempo scuola o il tempo casa”?

 

E’ adatto abituare un bambino a “dipendere” così tanto dal web fin dalle prime ore del giorno mentre è a scuola? Non è rischioso fargli capire fin da piccolo che con un dispositivo tecnologico ha accesso a tutto ciò che vuole, rischiando che i rapporti sociali ed interpersonali passino in secondo piano? Forse sono timori infondati, forse queste preoccupazioni sono semplicemente legate alla consapevolezza che – nonostante l’entusiasmo anche personale per i passi avanti che si stanno compiendo verso la digitalizzazione della nostra società – un tablet non potrà sostituire quel “professore che ti legge sempre la stessa storia sullo stesso libro, nello stesso modo, con le stesse parole da quarant’anni di onesta professione”…

 

Consulta il profilo Who is Who di Diana Fabrizi