Errore fatale nel Decreto del Fare. I servizi di telecomunicazioni liberati da licenze e autorizzazioni? E il Wi-Fi?

di di Raffaele Barberio |

Italia


Raffaele Barberio

Si proprio così.

La lettura attenta dell’Articolo 10 del cosiddetto Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69) rischia di scardinare l’attuale impianto normativo relativo all’assegnazione di autorizzazioni e licenze per l’offerta di servizi di telecomunicazioni, oggi riservate agli Operatori di TLC (Telecom Italia, Vodafone, Wind, 3, ecc.).

L’Articolo 10, nato per recepire la richiesta dell’opinione pubblica italiani di superare definitivamente i vincoli della norma Pisanu che bloccavano lo sviluppo del Wi-Fi, recita testualmente ai primi due commi, sotto il titolo ‘Liberalizzazione dell’allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica’:

1. “L’offerta di accesso ad internet al pubblico è libera e non richiede la identificazione personale degli utilizzatori. Resta fermo l’obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento (MAC address).

2. La registrazione della traccia delle sessioni, ove non associata all’identità dell’utilizzatore, non costituisce trattamento di dati personali e non richiede adempimenti giuridici. Se l’offerta di accesso a internet non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore, non trovano applicazione l’articolo 25 del decreto legislativo 1 agosto 2003, 259 e l’articolo 7 del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155″.

 

In nessuno dei due commi citati (e neanche nel rimanente terzo) viene esplicitamente nominato il Wi-Fi, mentre al suo posto si fa diretto ed inequivocabile riferimento “all’accesso a internet” tout-court (ovvero l’offerta tipica degli operatori di TLC).

Pertanto il combinato disposto del primo e del secondo comma, senza la previsione di alcun limite “soggettivo ed oggettivo” per il relativo ambito di applicazione (in questo caso il Wi-Fi) estenderebbe la cosiddetta liberalizzazioni invocata nell’articolo 10 a qualsiasi forma di accesso a internet, compreso quello attraverso la rete fissa e la rete mobile, senza la necessità di alcun titolo abilitativo.

Con questa formulazione, il legislatore di fatto smantellerebbe il sistema di autorizzazioni generali e licenze per qualsiasi forma di offerta di accesso a internet, purché esercitata quale attività commerciale non prevalente, sia attraverso rete fissa sia attraverso rete mobile.

Appare evidente come tale risultato traviserebbe la presumibile intenzione del legislatore di semplificare l’accesso tramite Wi-Fi o terminali installati in Internet cafè o in esercizi pubblici (va qui richiamato che Alleanza per Internet è sul punto di lanciare nei prossimi giorni una grande campagna proprio su questo obiettivo).

Un secondo aspetto riguarda la tracciabilità. L’indicazione data dal primo comma (il semplice MAC address, senza alcun altra specificazione) apparire insufficiente a chiarire le modalità di attuazione dell’obbligo di tracciabilità, sia in termini di modalità di estrazione che di conservazione del dato e sarebbe in contrasto con l’art. 5 della direttiva 2006/24/CE (“data retemption“), le cui disposizioni sono chiare, precise ed incondizionate.
Inutile sottolineare (ma, dato il contesto, appare invece indispensabile) che un provvedimento della portata quale risulta dall’applicazione letterale dell’Articolo 10 avrebbe dovuto essere preventivamente notificato alla Commissione europea.
Se, invece, come sembra logico ipotizzare dalle precedenti comunicazioni del governo Letta, si fosse voluto semplicemente semplificare e promuovere l’accesso ad Internet in luoghi aperti al pubblico attraverso hot spot Wi-Fi messi liberamente a disposizione del pubblico da pubblici esercizi, l’Articolo 10 potrebbe, ad esempio, recitare:

Art. 10

(Liberalizzazione dell’allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica) 

1. Quando non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore di un pubblico esercizio, l’offerta di accesso ad internet al pubblico non richiede la identificazione personale degli utilizzatori e non trovano applicazione l’articolo 25 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e l’articolo 7 del decreto legge 27 luglio 2005 , n. 144, convertito , con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. Resta fermo l’obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento attraverso l’assegnazione temporanea a ciascun utilizzatore di un distinto indirizzo IP pubblico e il mantenimento di un registro informatico della associazione temporanea di tale indirizzo IP pubblico al MAC address del terminale utilizzato per l’accesso alla rete Internet.

 

2. La registrazione della traccia delle sessioni, ove non associata all’identità dell’utilizzatore, non costituisce trattamento di dati personali.

 

Ora occorre mettere mano al testo.

Il Parlamento intervenga con l’accortezza e il rigore che deve caratterizzare il metodo del legislatore. Aggiungerei che sarebbe auspicabile un’attenzione maggiore a questi temi che non sono di interesse specialistico e senza i quali non si costruirà mai compiutamente l’economia digitale di cui abbiamo bisogno per essere competitivi e rilanciare il nostro sistema Paese.

Dia la spinta giusta in direzione di una effettiva diffusione delle modalità di accesso alla rete attraverso una riscoperta vera ed indiscutibile delle tecnologie Wi-Fi, i cui avanzamenti tecnologici previsti nei prossimi anni potranno assicurare uno straordinario supporto alla diffusione della Società Connessa.