Wi-Fi: nasce il Registro degli Installatori? Alla faccia delle Semplificazioni lanciate da Corrado Passera e Mario Monti

di Alessandra Talarico |

Il paradosso di una tassa occulta alle vecchie corporazioni.

Italia


ADSL

In un momento in cui si sta cercando d far ripartire l’economia italiana, sta destando grandi perplessità la decisione di creare un “registro degli installatori” con il conseguente divieto per le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli utenti, di installare autonomamente una rete Wi-Fi con più di 24 ‘punti di accesso’ e la creazione di nuove, complicate procedure burocratiche che renderebbero più difficile e costoso l’accesso alle nuove tecnologie per tutti gli utilizzatori.

 

Il registro viene introdotto da un regolamento adottato dal Ministero dello Sviluppo Economico che traspone la direttiva 2008/63/CE relativa alla “concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni”.    Il regolamento – sottoposto a una consultazione pubblica e licenziato dalla commissione europea – sta per essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma è stato fortemente contestato dalle associazioni di settore come Assoprovider, AIIP, AIRES e anche da Confcommercio poiché oltre a creare di fatto un nuovo e inutile ordine professionale restringendo la prestazione di alcuni servizi, costringe le imprese a rivolgersi ad installatori autorizzati per ottenere, a pagamento, la documentazione relativa alla validità del proprio impianto. Una vera e propria tassa occulta.

 

I dubbi degli addetti ai lavori sono tanti: il decreto, innanzitutto, mette fuorilegge gli impianti wi-fi presenti nelle case o nelle aziende e introduce pesanti costi amministrativi per le imprese e per le amministrazioni pubbliche, con la previsione di multe da 15 mila a 150 mila euro per chi non ne seguirà i dettami.

 

 

“Il paese – ha affermato il presidente di Assoprovider Dino Bortolottonon può puntare alla modernità con il modello culturale medioevale delle corporazioni e la qualità dei servizi non si può garantire con misure che tolgono libertà di fare da se agli utenti e alle imprese”.

“L’attuale struttura del decreto presenta purtroppo i tratti delle peggiori misure corporative per cui, ad esempio, punisce chi esegue un lavoro a regola d’arte ma non è iscritto alla corporazione, ma non il viceversa, e pone vincoli che non hanno alcuna relazione con la qualità erogata come ad esempio il numero dei dipendenti dell’iscritto”, ha aggiunto Bortolotto, sottolineando che, inoltre, “…l’obbligo di inoltrare la documentazione degli impianti agli ispettorati territoriali oltre a non produrre alcun incremento della  qualità erogata alza i costi per le aziende e per lo Stato, proprio mentre il decreto semplificazioni dichiara di voler fare il contrario”.

“Da qualsiasi punto di vista la si voglia affrontare l’attuale formulazione del regolamento è fallimentare ed è totalmente da riscrivere secondo i principi della liberalizzazione del mercato”, conclude il presidente Assoprovider.

 

Già durante la consultazione di aprile 2011, Assoprovider ed altri avevano segnalato come fosse una “follia” imporre che solo gli iscritti al registro potessero connettere e configurare apparati di rete che chiunque trova in commercio presso la grande distribuzione. Apparati che, per la maggior parte sono molto semplici da configurare e la cui installazione non richiede alcuna competenza tecnica. A seguito di queste osservazioni, il testo è stato modificato, diventando quello attuale dove solo gli iscritti al registro possono realizzare cablaggi con più di 24 punti di utilizzo.

 

Assoprovider ha quindi spiegato, anche in una lettera inviata ad aprile 2011 al Ministero dello Sviluppo economico, che la direttiva 2008/63/CE nasce per tutelare e garantire l’accesso all’interfaccia di rete pubblica da parte dell’utente, quindi con la prerogativa esclusiva di liberalizzare la commercializzazione degli apparati terminali d’utente connessi alla rete pubblica e cioè in ultima istanza di impedire che i gestori di reti pubbliche possano condizionare il mercato degli apparati terminali.

Ma la direttiva non parla in alcun modo di regolamentare “l’attività di progettazione, installazione, manutenzione delle reti private (sia che esse siano di privati sia che esse siano di aziende), ovvero di tutto ciò che sta a valle del terminale di rete lato interfaccia privata, evitando correttamente di mettere vincoli al libero mercato e alla libertà di impresa di tutti gli operatori che gravitano attorno al contesto ICT”.

 

Già nel 2006, inrealtà, Assoprovider aveva evidenziato che l’evoluzione tecnologica e la privatizzazione di Telecom Italia rendevano assurdo il DM314 del 1992 (che è tuttora in vigore fino a quando non diventa operativo il nuovo registro installatori) che poneva fuori legge l’installazione di un qualsiasi modem/router ADSL da parte di un privato cittadino.

Con il Dlgs 198, quindi, viene abrogato il DM314 che è anacronistico ma si coglie l’occasione per fare “goldplating”, piazzando un articolo che stabilisce che esso sia in vigore fino a quando non sia sostituito entro 12 mesi (scaduti a ottobre 2011) da un registro degli installatori di apparati terminali. In pratica invece di abrogare “tout court” il DM314 (come Assoprovider chiedeva dal 2006) viene istituito il nuovo “ordine” degli installatori.

 

Gli obiettivi della direttiva europea, quindi, sono stati distorti, mentre il Mise adduce a sua discolpa il fatto chela Commissioneeuropea non ha sollevato dubbi sostanziali sul regolamento.

 

Decisamente contrario al regolamento anche Giorgio Rapari, Presidente della Commissione Innovazione e Servizi di Confcommercio – Imprese per l’Italia, secondo cui il decreto, se promulgato nella forma notificata alla Commissione Europea, rappresenterebbe un problema per le aziende piccole e grandi, obbligate – non si capisce per quale motivo – a ricorrere a una ristretta categoria di professionisti autorizzati, senza benefici oggettivi: “per i piccoli imprenditori utenti, dover ricorrere ad un’azienda abilitata, in possesso delle numerose caratteristiche definite nella bozza di decreto, costituirebbe un aggravio di spesa non giustificato dalla complessità dell’apparecchiatura da installare”, ha spiegato Rapari.

“Un simile decreto – ha aggiunto – oltre ad  essere in contrasto con gli orientamenti verso la semplificazione auspicati dal Governo, può rivelarsi un fattore di  rallentamento o  di difficoltà per l’adozione e l’uso della tecnologia digitale nelle micro e piccole imprese”.

 

Negativo anche il parere di Paolo Nuti di AIIP, che già in sede di consultazione pubblica sulla bozza di decreto aveva evidenziato “la necessità di emendare il testo al fine di un più corretto recepimento di una Direttiva comunitaria che avrebbe come obiettivo quello di promuovere la concorrenza sulle apparecchiature terminali di rete e non quello di mantenere surrettiziamente in vita il vetusto patentino per installatori di reti telefoniche private”.

“AIIP – afferma ancora Nuti – auspica che il governo superi le prevedibili resistenze corporative ad una piena ed efficace liberalizzazione del settore che rischiano di soffocare la necessaria crescita del settore”.

 

Ma, a che pro, ci si chiede allora, insistere sulla creazione di questo registro degli installatori? Quale interesse pubblico andrebbe a tutelare? E ancora, qual è il rapporto costo-benefici?

 

Domande retoriche, forse, ma che vale la pena porre in un momento in cui l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di alleviare e non di appesantire gli oneri in capo alle imprese, alle pubbliche amministrazioni e ai privati cittadini. Cosa si dovrà fare, quindi, quando in un futuro non troppo lontano, grazie all’avvento dell’internet ‘delle cose’, saranno connessi in rete anche gli oggetti che normalmente utilizziamo nella nostra vita quotidiana?

Sarà allora necessario chiamare un installatore autorizzato anche per collegare il frigorifero?