Frequenze tv, qual è il vero valore?

di di Quirino Brindisi (Management Consultant) |

La bufera intorno al beauty contest ha creato aspettative di ricavi immediati esagerate che rischiano di far perdere di vista due priorità: l’apertura del mercato della Tv in chiaro e una forte spinta alla costruzione della rete a banda ultralarga.

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Perseguire questi obiettivi porterebbe benefici per il Paese molto più elevati di qualsiasi asta.

Fioccano le stime sul valore delle frequenze televisive in corso di assegnazione con la procedura del beauty contest. Sono tutte sbagliate per eccesso, perché sovrastimano i ricavi di un’eventuale asta, e per difetto, in quanto non tengono conto degli effetti a più lungo termine. Di certo l’esito del beauty contest rafforzerebbe Mediaset e Rai nella tv in chiaro e farebbe perdere un’occasione preziosa per rilanciare le prospettive della banda ultra larga in Italia, ancora piuttosto incerte.

La ragione principale per cui un’asta per le 6 frequenze messe a gara non potrebbe portare all’Erario ricavi paragonabili ai quasi 3 miliardi spesi da Telecom Italia, Vodafone e Wind a settembre, pur essendo i canali loro assegnati quasi identici in origine, è che il valore delle frequenze è proporzionale ai ritorni economici che possono portare. Nel caso della televisione digitale terrestre, i mercati di riferimento sono la pubblicità e i servizi a pagamento che hanno dimensioni e prospettive del tutto diverse rispetto a quello dell’accesso alla banda larga in mobilità. Quest’ultimo, pur avendo una dimensione ancora ben inferiore al miliardo di Euro, contro i 4,5 miliardi della pubblicità sulla tv in chiaro e gli oltre 3 miliardi totali della pay tv, è il servizio di telecomunicazione con la maggior crescita in termini di ricavi (oltre il 20% annuo). La pubblicità televisiva, invece, diminuirà quest’anno del 5%, stretta tra la crisi economica e la concorrenza di Internet, che fattura oltre 1 miliardo. Il mercato della pay-tv sul digitale terrestre crescerà, invece, pur incalzato dal satellite e insidiato dai fornitori di contenuti online, di oltre il 10%.

La banda larga mobile è al centro dell’offerta commerciale degli operatori di telecomunicazione, anche per la rapida riduzione dei ricavi della telefonia, e, grazie alla tecnologia LTE, l’accesso radio sarà parte integrante della rete di nuova generazione (NGN). Le frequenze nella banda 800 MHz, in particolare, garantiranno una copertura molto estesa, anche all’interno degli edifici, a circa metà dei costi delle reti UMTS attuali. Il valore strategico di queste frequenze spiega la determinazione nei rilanci dei partecipanti alla gara LTE che ha fatto lievitare del 40% una base d’asta già fissata a un livello elevato, pur scontando reali incertezze sulla effettiva data della loro disponibilità. Gli importi finali di aggiudicazione miliardari riflettono anche la dimensione di un settore con un fatturato di circa 40 miliardi di Euro nel 2010, contro i circa 9 miliardi di quello televisivo (incluso il canone Rai), i cui protagonisti mostrano una redditività a livello di margine lordo di quasi il 50%, paragonabile nella televisione solo alle attività in chiaro di Mediaset, visto che SKY, pur aggiudicandosi nel 2010 l’80% del fatturato pay, ha un margine lordo del 13%.

Quanto riportato dimostra che l’esercizio di prendere un valore medio di 50 milioni di Euro per ogni MHz netto assegnato agli operatori mobili, stimando così un valore di 400 milioni per ciascun canale da 8 MHz del beauty contest, ha un valore molto relativo. Qualcuno si è spinto su questa strada a stimare per l’intera banda UHF un valore di 16 miliardi di Euro, trascurando di specificare che solo una piccola parte di quelle frequenze è oggetto della gara. Tuttavia, intorno al 2020 si prevede l’esigenza di liberare nuove frequenze al di sotto degli 800 MHz per la tecnologia LTE Advanced e valori di questo tipo potrebbero tornare attuali. Sarebbe utile programmare con anticipo questi sviluppi tenendo conto anche di guadagni di efficienza delle nuove tecnologie per il broadcasting, come il DVB-T2, in accordo col nuovo approccio coordinato che sta emergendo a livello europeo, e della durata media ventennale delle autorizzazioni. Invece di assegnare tutte le frequenze televisive come in passato, in maniera frammentata e ridondante sul territorio sarebbe meglio riservare alcune bande per usi futuri di telecomunicazione, attribuendole successivamente. Così si eviterebbe anche il rischio di doversi “rimangiare” autorizzazioni appena conferite ad alcuni per assegnarle in modo precipitoso ad altri come si è visto nell’asta LTE.

In questo modo si privilegerebbe la diffusione di contenuti audiovisivi molto pesanti in termini di capacità di trasmissione richiesta, come quelli in alta definizione o in 3D – sui quali già si concentra la competizione tra SKY e Mediaset – attraverso le reti di telecomunicazione. La scelta di migrare, almeno in parte, l’offerta di canali pay dal digitale terrestre alla rete fissa darebbe una forte spinta allo sviluppo delle reti di accesso in fibra ottica che troverebbero così, secondo alcuni protagonisti del settore, l’applicazione “killer” che finora è mancata per far partire gli investimenti. Vale la pena ricordare che l’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere una rete di tv via cavo alternativa a quella di telecomunicazione e che quindi non può contare sulla competizione tra due infrastrutture per aumentare la capacità di trasporto, a vantaggio di tutta l’economia. La strada per realizzare un obiettivo di questo genere non è certo agevole, implicando la soluzione di problemi non facili come quello della tutela del copyright, ma rientra nella logica di evoluzione dei settori. Il beneficio economico per l’Italia di un’accelerazione nella rete di accesso in fibra ottica sarebbe quantificabile a spanne in qualche punto di PIL nel corso del prossimo decennio.

Un possibile percorso

L’ipotesi della chiusura del beauty contest entro Natale, fatti salvi i numerosi ricorsi amministrativi pendenti, allontanerebbe la prospettiva dei vantaggi di lungo periodo per rafforzare Rai e Mediaset. L’esito quasi certo alla luce della situazione attuale sarebbe, infatti, l’assegnazione alla Rai del canale 55 UHF e a Mediaset del canale 58 UHF, che peraltro già utilizza. È probabile che queste frequenze, le migliori del pacchetto perché meno interferite sul territorio, saranno utilizzate anche per trasmissioni in alta definizione che purtroppo non aumentano significativamente il pluralismo dell’informazione.

A contendersi altri 3 multipex di qualità inferiore, dopo il ritiro di SKY, un gruppo di operatori integrati nella fornitura di reti e servizi, con esperienza ma non di primo piano, come Canale Italia, Prima TV, Europa Way e H3G, che potranno affittare le frequenze o cederle dopo 5 anni, pur avendole ottenute gratis dallo Stato. Il canale 54 UHF, infine, al quale è interessata Telecom Italia è destinato in partenza al sottoutilizzo perché è stato riservato al DVB-H o al DBV-T2. Il DVB-H è usato da anni con scarsissimo successo commerciale per la tv sui cellulari da Mediaset e H3G, che ha già chiesto di poter passare al DVB-T. Il DVB-T2, pur essendo sensibilmente più efficiente del DVB-T, è stato adottato in Italia solo da Europa 7, perché incompatibile con gli attuali decoder e quindi avrà una diffusione molto lenta.

Il beauty contest si segnala in sostanza per la totale assenza di nuovi entranti italiani e esteri di peso in grado di rafforzare sostanzialmente la competizione sul mercato della tv in chiaro, che pura mostra di reagire alle novità, come dimostra la crescita degli ultimi mesi di La7. Il procedimento non sembra quindi rispondere alle preoccupazioni della Commissione europea che, nel tentativo di evitare la traslazione del duopolio televisivo dall’analogico al digitale, aveva avviato contro l’Italia la procedura d’infrazione 2005/5086, attualmente sospesa in attesa di valutare l’esito della stessa gara.

Il ritiro di SKY, che aveva ottenuto dalla Commissione quasi un anno e mezzo fa di partecipare alla gara, a condizione di non offrire per 5 anni servizi pay, oltre a rappresentare un danno per mancati investimenti di parecchie centinaia di milioni di Euro, fa cadere la ragion d’essere del beauty contest. È auspicabile che il governo ne prenda atto e lo annulli, celebrando entro il 2012 un’asta che per ragioni intrinseche di maggior trasparenza favorirebbe l’eventuale ingresso di nuovi entranti. Nel frattempo, alcune frequenze del beauty contest potrebbero essere riallocate, se necessario, alle emittenti locali sfrattate d’urgenza dai canali 61 – 69 UHF assegnati agli operatori mobili, scongiurando il rischio di ulteriori ritardi nel lancio commerciale della tecnologia LTE già offerta in diversi Paesi europei.

L’idea di assegnare le frequenze tv all’asta, anche se non esistono in Europa precedenti significativi, non ha alcuna controindicazione teorica e potrebbe portare editori o gestori di infrastrutture a rivalutare un ingresso nel mercato nazionale. Occorrerebbe però offrire ai potenziali nuovi entranti frequenze di buona qualità, un processo trasparente e una base d’asta non elevata. Il rischio che l’asta vada deserta è oggettivamente alto a fronte di investimenti nei contenuti dell’ordine di qualche centinaio di milioni di Euro l’anno necessari a un editore per imporsi sulla scena nazionale e della fusione tra Mediaset e DMT, che concentrerà nelle mani della prima gran parte del mercato delle torri di trasmissione del segnale televisivo in Italia. In aggiunta, la correlazione tra andamento del mercato pubblicitario e ciclo economico, che nei prossimi anni si presenta quantomeno incerto, non aiuta a fare previsioni ottimistiche.

Nell’immediato, si potrebbe autorizzare la conversione dei multiplex DVB-H in DVB-T per evitarne il sotto utilizzo, il che permetterebbe a Mediaset di raggiungere il tetto di 5 multiplex previsto dall’attuale normativa, e ridefinire i contributi annuali oggi fissati all’1% del fatturato. Per il futuro i contributi dovrebbero invece essere legati al numero di frequenze utilizzate da ciascun operatore, come avviene per le telecomunicazioni, al fine di stimolare un uso più efficiente delle risorse. L’ammontare dei contributi dovrebbe tenere conto di tutti gli oneri oggi a carico dello Stato, incluse le sovvenzioni alle tv locali, senza diventare sproporzionato per gli operatori ma aumentando rispetto ai livelli di oggi.

Una riforma della gestione delle frequenze televisive secondo principi di efficienza e con una visione di più lungo termine non porterebbe sconvolgimenti immediati ma le condizioni per un migliore sviluppo di due settori destinati a convergere come quello delle telecomunicazioni e della televisione. I vantaggi economici diretti per il Paese dall’utilizzo delle frequenze sarebbero limitati ma costanti nel tempo mentre molto più elevati sarebbero i vantaggi indiretti di ulteriori investimenti nelle reti, soprattutto a banda ultralarga, e nella diffusione di nuovi servizi che rilancino la crescita.

 

 

 

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