Tlc e povertà: appello Onu. Spostare la produzione di beni e servizi nei paesi emergenti

di Alessandra Talarico |

Mondo


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Lo si è detto più volte e in diverse sedi: i servizi e i prodotti associati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresentano un volano di crescita senza precedenti per i paesi più poveri, fin qui esclusi dalla rivoluzione digitale a causa della cronica mancanza di infrastrutture di rete fissa. Nel mondo circolano oltre 5 miliardi di cellulari, e la crescita maggiore nei tassi di utilizzo si sta registrando proprio nelle aree più povere del pianeta dove il basso costo dei telefonini e la disponibilità di reti mobili anche nelle aree più remote, compensano la mancanza di reti fisse e di altri strumenti di comunicazione come i Pc. Ma – avverte l’Onu – bisogna fare in modo che queste importanti fonti di reddito siano meglio distribuite e sostenibili, cominciando anche a produrre beni e servizi nelle zone povere del Pianeta.

 

Un telefonino in grado di inviare messaggi di testo costa mediamente una ventina di dollari e molti villaggi o famiglie ne condividono uno sul quale inseriscono ognuno la propria Sim. Secondo l’ultimo rapporto dell’UN Conference on Trade and Development (UNCTAD) – “Information Economy Report 2010: ICTs, Enterprises and Poverty Alleviation” – in Kenya, ad esempio, vi sono attualmente 18 mila agenti che si occupano del servizio M-Pesa, per il trasferimento di denaro attraverso le reti mobili, mentre in Bangladesh ci sono circa 350 mila ‘village phone ladies’. I cellulari, insomma, sono riusciti a sfondare la burocrazia e a raggiungere molte persone da sempre isolate da qualsiasi tipo di aiuto, economico o umano.

Il programma M-PESA, lanciato da Vodafone nel 2007 in Kenya, Tanzania e Afghanistan e poi esteso anche ad altri paesi, a metà 2009 aveva già 6,5 milioni di abbonati con oltre 2 milioni di transazioni al giorno.

 

L’Agenzia Onu si è quindi rivolta ai legislatori dei mercati emergenti, per chiedere loro di porre le tecnologie ICT al centro delle strategie per la riduzione della povertà, alla luce dei benefici che un intervento pubblico in questo senso può garantire nello sviluppo delle piccole e medie imprese ad alto tasso tecnologico.

 

Attualmente, secondo il rapporto, solo pochi Paesi in via di sviluppo sono coinvolti nella produzione di prodotti e servizi ICT, anche se sono molte le imprese che stanno cercando di estendere i servizi nelle comunità rurali, creando nuove opportunità di crescita economica per gli abitanti di queste aree.

L’industria ICT richiede competenze che potrebbero creare in questi luoghi un circolo virtuoso in grado di stimolare anche l’offerta di lavoro per la popolazione con un basso livello di istruzione in settori come le riparazioni dei dispositivi o la gestione di internet cafè.

“Tali imprese commerciali presentano barriere d’ingresso relativamente basse, i costi e le competenze richieste sono spesso modesti e le popolazioni più povere stanno traendo benefici da questo trend: in Gambia, ad esempio, i mendicanti sono stati assunti come rappresentanti di vendita per Gamcel, uno dei maggiori operatori mobili del paese”, spiega il rapporto.

Altri esempi citati nel rapporto sono la vendita di tempo di trasmissione in Bangladesh, Ghana e Uganda; la gestione dei centri informatici in Nigeria e Venezuela e la creazione di imprese ICT nelle baraccopoli di Mumbai, in India.

Il rapporto nota infine che le microimprese ICT operano generalmente in un settore ‘volatile e rischioso’ e che il ritorno sugli investimenti è spesso basso, anche a causa dell’impossibilità di stabilire, in queste zone, relazioni con altre imprese.