DTT: question time IDV alla Camera. Per il ministro Vito, la sentenza Ue ‘non riguarda il Governo’. Di Pietro, ‘Si recuperino i contributi 2004-2005’

di Alessandra Talarico |

Italia


Digitale terrestre

La sentenza del Tribunale europeo di Lussemburgo che, confermando le tesi della Commissione europea secondo cui gli incentivi concessi nel 2004 e 2005 per l’acquisto di decoder digitali hanno consentito alle emittenti digitali terrestri e agli operatori via cavo, fra cui Mediaset di godere di un vantaggio rispetto alle emittenti satellitari, “si limita a respingere il ricorso presentato da Mediaset, confermando la legittimità della decisione della Commissione. Di tale sentenza, peraltro appellabile, il Governo italiano non è in alcun modo destinatario, avendo invece condiviso con la Commissione europea il recupero dell’importo (di 6 milioni di euro) già introitato nelle casse dello Stato”.

 

E’ quanto ha affermato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, rispondendo a un’interrogazione sollecitata dagli esponenti IDV Antonio Di Pietro, Massimo Donadi, Fabio Evangelisti e Antonio Borghesi per conoscere “…quanti soldi ha speso lo Stato e quanti soldi ha guadagnato Mediaset nel periodo di contributi all’acquisto dei decoder per il digitale terrestre” e “…se e quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per superare in via definitiva il conflitto di interessi… e quali elementi, alla luce della decisione recentemente assunta dal Tribunale europeo di Lussemburgo, ritenga di dover riferire al Parlamento in ordine alle modalità di formazione e deliberazione delle leggi finanziarie varate durante la XIV legislatura, nonché all’effettiva osservanza alle disposizioni della legge n. 215 del 2004 in materia di risoluzione dei conflitti di interessi”.

 

Secondo il ministro Vito, quindi, “…In base alla decisione numero 270 del 2006, della Commissione sull’aiuto di Stato relativo al contributo per l’acquisto di un decoder digitale concesso con le leggi finanziarie 2004-2005 e a seguito della richiesta inoltrata il 17 novembre 2009 dalla direzione generale concorrenza, in data 4 febbraio 2009 la società RTI ha adempiuto alla richiesta versando allo Stato italiano l’importo di 6 milioni di euro”.

L’importo, di sei milioni di euro, ha specificato il ministro Vito, “…è stato peraltro quantificato dalla stessa Commissione in misura contenuta, proprio in ragione della non gravità della violazione contestata”.

“Fin dal settembre 2005 – ha aggiunto – lo Stato aveva comunque comunicato alla Commissione di sospendere l’erogazione del contributo e con la Finanziaria 2006 sono stati richiesti ulteriori requisiti di neutralità tecnologica”.

 

Nel 2004, in previsione del passaggio definitivo al sistema digitale, che – avviato nel 2001 – dovrà concludersi nel 2012, la legge finanziaria aveva previsto un contributo pubblico di 150 euro per ogni utente che avesse acquistato o locato un apparecchio per la ricezione di segnali televisivi digitali terrestri. Con la finanziaria 2005, tale aiuto veniva successivamente rifinanziato per un importo ridotto a 70 euro, per un finanziamento complessivo pari a 220 milioni di euro. Per il 2006, quindi, approvando con voto di fiducia un maxi-emendamento al disegno di legge finanziaria, il Governo ha previsto un finanziamento pubblico di 10 milioni di euro per l’anno 2006 a sostegno dell’acquisto da parte dei cittadini italiani di apparecchi decoder per il digitale terrestre.

 

Immediato il ricorso alla Commissione europea di diverse emittenti satellitari, tra cui Centro Europa 7 e Sky Italia, in seguito al quale l’esecutivo europeo ha avviato un procedimento formale di indagine e, nel 2007, ha qualificato il contributo come aiuto di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi di televisione a pagamento, in particolare servizi pay per view, nonché di operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento.

Secondo la Commissione europea, il contributo risultava “sproporzionato e non evitava distorsioni inutili della concorrenza” e, non applicandosi anche ai decoder digitali satellitari, non rispondeva al requisito della neutralità tecnologica.

 

Mediaset ha, quindi, restituito circa 6 milioni di euro, depositando però un ricorso al Tribunale europeo di Lussemburgo, al fine di ottenere l’annullamento della decisione adottata dalla Commissione europea.

Il Tribunale europeo di Lussemburgo ha però respinto il ricorso, confermando le tesi della Commissione europea, cioè che le misure introdotte durante la XIV legislatura avrebbero consentito alle emittenti digitali terrestri e agli operatori via cavo, fra cui Mediaset di godere di un vantaggio rispetto alle emittenti satellitari, sancendo per la prima volta che, ha sottolineato Di Pietro, “le misure introdotte in Italia in materia di decoder hanno implicato un vantaggio indiretto per gli operatori del mercato della televisione digitale, come Mediaset, ovvero l’azienda di proprietà della famiglia Berlusconi”.

Mediaset ha annunciato ricorso alla Corte di giustizia europea, che rappresenta il secondo grado di giudizio in sede comunitaria.

 

Dura la replica di Antonio di Pietro, che, rispondendo al ministro Vito ha sottolineato che “il problema dei problemi” è che l’Italia ha come Presidente del Consiglio “un signore che la mattina prende le decisioni con cui il pomeriggio favorisce la sua azienda”.

Il fatto che la problematica evidenziata dalla Commissione europea, secondo Vito, sia stata superata con l’introduzione, nel 2006, di ulteriori requisiti di neutralità tecnologica, non ha soddisfatto Di Pietro, che sostiene di aver chiesto proprio il contrario, e cioè: “Che cosa ha fatto il Governo per recuperare i soldi dei contributi stanziati nelle finanziarie 2004-2005?”.

“Chi l’ha deciso – ha aggiunto – che fossero sufficienti i sei milioni restituiti da RTI se non il Presidente del Consiglio?”, ha concluso Di Pietro, sottolineando la necessità, ancora una volta, di risolvere il conflitto d’interessi, e di far pagare “alle concessionarie televisive il 20% degli utili, come in tutti gli Stati, e non l’1%, questo sì un vero aiuto di Stato, irriguardoso sia della legge che del buon senso”.