Digitale terrestre: Tribunale Ue respinge ricorso Mediaset. ‘Contributo decoder è aiuto di Stato, deve essere restituito’

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Corte-Europea

Nell’ambito del processo di conversione dei segnali televisivi al sistema digitale, avviato in Italia nel 2001 e che prevede il passaggio definitivo al sistema digitale entro il novembre del 2012, la legge finanziaria del 2004 aveva previsto un contributo pubblico di 150 euro per ogni utente che avesse acquistato o locato un apparecchio per la ricezione di segnali televisivi digitali terrestri. Lo stesso aiuto veniva rifinanziato, nel 2005, per un importo ridotto a 70 euro. Il limite di spesa del contributo ammontava, per ogni anno, a 110 milioni di euro.

A seguito di denunce presentate da emittenti satellitari (in particolare da Centro Europa 7 Srl e Sky Italia Srl), la Commissione avviava un procedimento formale di indagine e nel 2007, qualificava il contributo come aiuto di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi di televisione a pagamento, in particolare servizi ‘pay per view‘, nonché di operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento.

A suo parere, ancorché il passaggio alla radiodiffusione televisiva digitale costituisse un obiettivo di interesse comune, il contributo risultava sproporzionato e non evitava inutili distorsioni inutili della concorrenza. Infatti, non applicandosi ai decoder digitali satellitari, la misura non era tecnologicamente neutra. La decisione imponeva all’Italia di procedere al recupero, nei confronti dei beneficiari, dell’aiuto e dei relativi interessi.

La società Mediaset SpA, emittente di programmi digitali terrestri, ha proposto il presente ricorso al fine di ottenere l’annullamento della decisione, ma nell’ultima udienza, il Tribunale dell’Unione europea ha respinto in toto la  richiesta, confermando che “la misura consentiva alle emittenti digitali terrestri e agli operatori via cavo, fra cui la Mediaset, di godere di un vantaggio rispetto alle emittenti satellitari“.

 

Per poter beneficiare del contributo, infatti, era necessario acquistare o prendere in locazione un apparecchio per la ricezione di segnali televisivi digitali terrestri, ragion per cui, un consumatore che avesse optato per un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari, non avrebbe potuto usufruirne.

Il contributo, quindi, non rispondeva al requisito della neutralità tecnologica e la misura incoraggiava i consumatori a passare dal sistema analogico a quello digitale terrestre. Allo stesso tempo, consentiva alle emittenti digitali terrestri di consolidare la loro posizione sul mercato sia in termini di immagine di marchio che di fidelizzazione della clientela.

La riduzione automatica del prezzo derivante dal contributo era parimenti tale da incidere sulle scelte dei consumatori attenti ai costi.
 

In secondo luogo, il Tribunale ha ritenuto che la misura, i cui beneficiari diretti erano i consumatori finali, ha implicato un vantaggio indiretto per gli operatori del mercato della televisione digitale, quali la Mediaset. Il Trattato vieta gli aiuti di Stato senza distinguere a seconda che i vantaggi relativi siano concessi in modo diretto o indiretto. La giurisprudenza ha peraltro ammesso che un vantaggio direttamente conferito a talune persone fisiche o giuridiche che non siano necessariamente imprese può costituire un vantaggio indiretto e, di conseguenza, un aiuto di Stato per altre persone fisiche o giuridiche che siano imprese.

E ancora, il collegio giudicante ha ritenuto che il carattere selettivo della misura ha prodotto una distorsione della concorrenza tra emittenti digitali terrestri e emittenti satellitari. Infatti, sebbene tutte le emittenti satellitari avrebbero potuto beneficiare della misura offrendo decoder ‘ibridi’ (con tecnologia al tempo stesso terrestre e satellitare), ciò avrebbe implicato per le medesime un costo supplementare che avrebbero dovuto ripercuotere sul prezzo di vendita ai consumatori.

La Mediaset ha sostenuto che l’obiettivo perseguito dal contributo consisteva nel porre rimedio ad una disfunzione del mercato in cui, a causa di un problema di coordinamento tra gli operatori, lo sviluppo della radiodiffusione era ostacolato. A tal riguardo, il Tribunale rileva che il carattere vincolante della data prevista per il passaggio al sistema digitale, spingendo le emittenti già attive sul mercato a sviluppare nuove strategie commerciali, era idoneo a risolvere tale problema, ragion per cui il contributo non era necessario. In ogni caso, anche ammesso che la misura fosse necessaria e proporzionata per rimediare alle disfunzioni del mercato, resta il fatto che tale circostanza non avrebbe potuto giustificare l’esclusione delle emittenti satellitari dal beneficio.

La Mediaset ha inoltre affermato di aver nutrito legittimo affidamento nella coerenza della misura con la politica di promozione del sistema di diffusione digitale condotta dalla Commissione, descritta in una comunicazione del 2004 , che definisce i contributi diretti ai consumatori quali misure idonee ad incentivare l’acquisto di decoder che consentano l’interattività e l’interoperabilità. A tal riguardo, il Tribunale rileva che tale comunicazione indicava espressamente che i contributi dovevano essere neutri dal punto di vista tecnologico, notificati alla Commissione e compatibili con le regole applicabili agli aiuti di Stato. Pertanto, un operatore economico diligente avrebbe dovuto sapere non solo che la misura non era neutra dal punto di vista tecnologico, ma anche che essa non era stata notificata alla Commissione e non era stata autorizzata.

Infine, la Mediaset ha invocato la violazione del principio della certezza del diritto derivante dalla difficoltà, se non dall’impossibilità, di determinare, ai fini del calcolo delle somme da recuperare, da un lato, il numero di telespettatori supplementari attirati dall’offerta di televisione a pagamento e, dall’altro, la quantificazione dell’aiuto e degli interessi. Il Tribunale rammenta, inoltre, che nessuna norma impone che la Commissione, all’atto di ordinare la restituzione di un aiuto dichiarato incompatibile con il mercato comune, determini l’importo esatto da restituire. Il recupero di un aiuto dichiarato incompatibile con il mercato comune deve essere effettuato secondo le modalità previste dal diritto nazionale e spetterà al giudice nazionale, laddove venga adito, pronunciarsi sull’importo dell’aiuto.

Contro la decisione del Tribunale, entro due mesi a decorrere dalla data della sua notifica, può essere proposta un’impugnazione, limitata alle questioni di diritto, dinanzi alla Corte.